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Due poeti allo specchio (Mirjana Zarifović e Sergio Daniele Donati)

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  Qui, sui lauri, vedi il miracolo staccarsi dall’addio, nessun altro azzurro che conti la rosa, a gloria d’oblio, indugiando, alle dita un vetro, una libellula mette – consola, sovverte, in altra tintura, dissi, ardesse – così vive in noi l’enigma, rispose alto, che Michele è il Re del mondo, il primo grido di Dio all’imbrunire, le sette lucerne… predisse di restare. E batte, batte l’ala e non sgretola, scurissimo pianto di vetro la lacrima, tu la metti sulle labbra come un soffio che si ama se esiste, se non esiste ugualmente torna l’anima, lievissima contea che vela e frangia aurea vidi camminare poco fa, poco fa mi venne incontro tra le vigne, fosca di giade e mia, cento angeli di morte, disse, cento angeli d’amore. E veglia, sul mondo intero veglia un canto, di bocca in bocca pollini di zafferano e tutto un decoro lungo, per lungo il fianco impollinando, questo è il suo nome, agli stigmi lo sussurra come tu reggevi un madrigale alto, per quella seta che taglia il mondo, che tardo,

Estratto da due raccolte edite di Alberto Barina con nota di lettura di Sergio Daniele Donati

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  Che sia cosciente o voluto, ogni scrittura porta con sé sempre tracce della percezione del mondo che l'autore ha. Per questo l'antico e veritiero adagio,  per il quale la poesia è sostanzialmente fenomeno  di attraversamento nel quale saper ascoltare le voci è almeno altrettanto importante della capacità di trascriverne i timbri, deve sempre tener conto della qualità di tale ascolto. Trattasi, evidentemente di un ascolto attivo il cui esito  - la parola del poeta - non può non tener traccia del terreno attraversato - il poeta stesso - , quasi ne assumesse i sali minerali , da rilasciare poi lentamente al lettore.  Le poesie di Alberto Barina che vi proponiamo oggi -  in estratto da due raccolte i cui riferimenti troverete sotto ogni composizione - di questo movimento che dall'ascolto parte, e, attraverso l'irrorazione di un campo, arrivano poi al lettore, sicuramente di tale andamento sono coscienti. Ed è esercizio molto interessante, scorrendo le due raccolte, poter

(Redazione) - Figuracce retoriche - 17 - Epifrasi

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  A cura di Annalisa Mercurio Le epifrasi non sono, come si potrebbe pensare, frasi di Epicuro. L'epifrasi è la figura retorica del mese. Deriva d al greco ἐπιϕράζω ( ep í phrasi ), termine che viene spesso tradotto come aggiunta.  Treccani, invece, riporta la traduzione che mi sembra più aderente al caso: epifrasi = soggiungere . Soggiungere quindi, o meglio ancora, aggiungere qualcosa che soggiunge all’ultimo minuto, come in questi versi di Guinizzelli: Verde river' a lei rasembro  e l'are Guido Guinizzelli (Rime) Sarò come sempre irriverente -  I’m sorry, Guido - e andrò a fare una parafrasi   personalizzata  che mi permetterà di spiegarvi meglio questa figura retorica. Dunque, le parafrasi classiche traducono il verso così: Le paragono la verdeggiante campagna e l’aria. Immaginiamo invece un Guinizzelli con carta e penna alle prese con questo verso, vediamolo assorto a pensare come descrivere la ragazza: ed eccolo che scrive: Paragono a lei la verdeggiante ca

Dialoghi poetici coi Maestri - 69 - Paul Verlaine

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  Chant D’Automne Les sanglots longs Des violons De l’automne Blessent mon cœur D’une langueur Monotone. Tout suffocant Et blême, quand Sonne l’heure, Je me souviens Des jours anciens Et je pleure. Et je m’en vais Au vent mauvais Qui m’emporte Deçà, delà, Pareil à la Feuille morte. Paul Verlaine tratto da  Poèmes saturniens (Paris, Lemerre 1866) Canto d'autunno I perduranti singhiozzi dei violini dell'autunno mi feriscono il cuore con un languore monotono. In asfissia  e stanco, quando l'ora batte io mi rammento dei giorni andati e piango. E mi lascio trascinare dal vento malevolo che mi trasporta di qua e di là simile a foglia morta. Traduzione libera di Sergio Daniele Donati Mon regard se repose sur la peau d'un cri d'absence monotone et épuisé. Et il n'y a pas de saison  dédié à pleurer pour ceux qui ont choisi le chemin de la lente évanescence. Sergio Daniele Donati -  inedito 2024 Il mio sguardo riposa sulla pelle di un grido d'assenza monotono e sposs

Panim - Volti (Stanze)

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Ritmo del soffio apnee di dolce attesa esfoliazioni lente  consapevolezza dell'epitelio che respirando muore Eppure argille e terrecotte plasmano la via del sacro sui volti trasfigurati  di un bimbo-uomo  prima del suo primo vagito Siamo fatti della memoria di ciò che dovremmo essere di ciò che siamo stati nell'iride del grande occhio prima della nostra stessa nascita. Ma tu non cercare nelle mie rughe il lamento del poeta o la mano salda del guerriero. Ricordami piuttosto di ricordare in vita il bimbo che non fui. Io svaporo in volute verticali e con me la nenia di un abisso lontano il canto dentro la caverna ben poco platonica del mio desiderio di resa. No, non piangere se perdo a terra nomi e maschere. Nell'oblio si agita il vento che prepara lento la manifestazione di un refolo di sacra e sottile presenza. _____ Foto e testo - inedito 2024 - di Sergio Daniele Donati 

In breve (riconoscenza)

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  Solo bagliori e bisbigli prima del sonno che mi conduce al Tuo silenzio. _____ Testo - inedito 2024 -   e foto   di Sergio Daniele Donati  

In morte del Samurai

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  Foto dal web Ho colto un sorriso nella tensione degli archi. Tra le urla di guerra e le chiamate alla vendetta il pruno immobile mandava richiami odorosi al ricordo, e il ciliegio depositava fiori sul fango con la delicatezza del daino.  E forse per questo ho girato le spalle al campo di battaglia,  e infranto  il mio unico giuramento servile. Per un istante d'attesa sublime nella punta della mia katana un riflesso di luna ha testimoniato l'etica della resa e muoio così,  col suono delle corde d'argento di un koto  antico nel cuore e il canto di un  shakuhachi nei midolli.  E non pesa per nulla nei miei polmoni  la freccia d'argento che mi toglie il respiro. Muoio così, tradendo la finzione  di un'esistenza vana, e mi accompagna nel lungo ponte una voce d'ambra, ora che divengo fossile e restituisco la mia spada al dio dell'oblio.  Muoio così, nella rinuncia al conflitto, accolto dalle brezze marine di un pianto di consolazione.      Tutto è stasi, tutto

Lettera aperta di Sergio Daniele Donati a Danila di Croce (a proposito della raccolta "Ciò che vedo è luce" - pequod ed., 2023)

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  Mette rami più degli alti alberi  quel seme. E la forza  di quel seme ora è nel volo degli uccelli che lassù fanno il loro nido. dici tu, e io, abituato a sporcarmi le mani con l'humus nero della parola, non posso non pensare che la forza del seme — di ogni seme — è nella sua morte, nel suo sapersi annullare, perdere essenza per divenire altro da sé: germoglio, pianta, luogo di nidificazione e riposo per gli uccelli dell'interpretazione.  Ogni nostra parola dice — banale a dirsi — e, dicendo, si annulla, abbandona sé stessa e la culla del non detto da cui giunge, per permettere un volo sacro: quello dell'interpretazione, di un ermeneutica che è sempre altro da ciò che è stato detto.  Ecco la luce della tua raccolta, Danila, e — permettimi di dirtelo — anche la sua fertile penombra.  Perchè tu scrivi senza contorni, eppure in questo tuo approccio ai sacri pennini sembri non dimenticare mai il limite creativo del foglio.  Che occhi ha quell'ombra che mi gira attorno e

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 31 - Declinare il silenzio - in dialogo con una poesia di Avraham Ben Yitzhak e per aprire a André Neher

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  A cura di Sergio Daniele Donati Dice il Poeta: Quando si spegneranno i rossi falò della nostra vita ci toglieremo dalla fronte la ghirlanda delle feste con le foglie scompigliate e le rose cadenti, poi in silenzio scenderemo ai fiumi. Al declinare del giorno ci fermeremo sulla loro sponda inseguendone con gli occhi la corsa, – loro, gli abbandonati e infinitamente orgogliosi della propria solitudine. E circonfusi dal rossore del crepuscolo commossi guarderemo, ed ecco arrivare fiori, fiori bianchi recati con tutti gli onori sul pelo dell’acqua – rapiti dai margini di un giardino felice per scherzo a mezzogiorno. Allora sapremo: davanti agli occhi ci è passata la nostra giovinezza. E quando il ricordo tramonterà dentro di noi s’allungherà, si scurirà una dolente ombra di salici sul nostro capo. E tuttavia lassù sorgerà stella dopo stella sulla cima dei monti, santificando una notte grande ed estranea su di noi, e un vento serale ci toccherà gemendo come suonasse violini neri. Avraham

Lettere a una persona speciale - 62 - Aprile 2023 - "Un giullare"

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  Che poi lo sai. Mi basta chiudere gli occhi e dare spazio al senso che più mi parla o, forse, dar senso alla parola solo quando è figlia di un ascolto sovrano.  Sono lento e lenta è la mia intuizione, se e quando si manifesta.  E per farlo, lo sai bene, quel trillo che ogni tanto mi porta a pucciare piedini d'infante nel fresco fiume dell'Altrove, deve saper tagliare come forbice le dense coltri, le nebbie che mi offuscano il cervello.  Che vuoi che sia il mio sforzo di lombrico per drizzare una schiena che non posseggo alla ricerca dell'idea della luce?  Un canto? Un soffio? Un contatto fuggitivo con l'epitelio dell'amore? E che dire di questo mio  — troppo mio —  sentirmi indegno delle parole che mi abitano, incapace di null'altro che non sia un balbettio scomposto? O sì, mi prendo sempre in giro, e circumnavigo ogni giorno la circonferenza della mia seriosità crassa, per trovare un varco ove insinuare quell'ago che mi sgonfia l'ego. Il «gioco di pa

(Redazione) - Lettera aperta di Sergio Daniele Donati a Raffaela Fazio: su «Parlerò io - Il canto di Giobbe» di Raffaela Fazio Tratto da Midbar (Raffaelli ed., 2019)

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  E quel tuo imperativo iniziale , quel tuo ricordati, quel tuo ebraico  זכור (traslitt. " zahor"), richiamo alla memoria, è canto antico , sai? Ché l'uomo nasce nell'oblio e all'oblio aspira e la memoria è, appunto, monito, impegno e fatica: nulla di meno naturale: Nous sommes nés pour effacer les traces  de la mémoire sous la neige de l'oubli. Juste une voix lointaine, c'est ça le passé; juste une lueur dans la nuit; c'est ça le parfum âcre de notre avenir. Io non so dirti il perchè di queste mia parole in francese, né la ragione delle lacrime che la lettura del tuo testo mi ha dato, ma so che tu ricordi e, senza saperlo,  fai tue le memorie del deserto che mi ha formato.  In quel מִדבָּר (traslitt. "midbar), fucina di ogni parola, di ogni elevazione e di ogni trasformazione, io mi spezzai le ossa per poter rinascere, servo felice della stessa parola.  Fu in quel deserto di sogno che sentii il  canto della Moabita farsi strada nei miei midolli

Due poeti allo specchio (Luisa Trimarchi e Sergio Daniele Donati)

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  Luisa Trimarchi Stanza VII Raccolgo e mi raccolgo nella stanza - non ultima - la settima dove intravedo sul tavolo il tuo corpo mai nato: che capelli avevi? E gli occhi? E il tuo ridere? Ti ho parlato per notti intere - cercata nelle tombe dei bimbi morti - dove accarezzavo le foto. Il cimitero luogo perduto - mai visitato se non adulta negato nella memoria antica - memoria di effigi - storie intrecciate a epiteti perfetti - intagliati - tratteggiati come con lo scalpello - di foggia pregiata - angelo innocente vita appena intravista: del tuo corpo morto nessuna traccia. (ti avranno incenerita? Ah la retorica, maledetta retorica! Non si piange - salva sia la dignità - cerca la parola che non gridi ma che effonda!) Addormentavo bambole bambine sognando sorelline: tagliuzzavo capelli - cucivo copertine con buchi enormi mi accompagnavo alla solitudine dei giochi. (fra me e me - attendevo miracoli - scorgevo l’invisibile - mi accompagnavo alla desolazione nutrendo desideri: un giorno tu