Robert Pirsig - Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta
Come parlare di te Fedro? Come parlare con te?
Tu, giovane, troppo giovane, filosofo della Qualità, ormai celato, nascosto, ritroso, lasci tracce del tuo passaggio.
Ma sono orme di cervo in un bosco in cui fitta cade la neve. Troppo presto cancellate.
E obblighi noi, fragili cercatori, ad iniziare la nostra narrazione per arrivare alla tua storia.
Tu, ormai fantasma, sei l'emblema, dell'oggetto della scrittura, della narrazione.
Si narra di sé per scoprire la presenza di altro in sé.
Un Chautauqua, un'auto narrazione dei nativi americani, un raccontarsi interiore per arrivare a percepire la tua presenza, non più come traccia, ma come condizione del proprio essere.
Tu, Fedro, ormai diluito nel mondo, elettorshockato, lobotomizzato, ormai fantasma, non puoi che implorarci di lontano, dalla tua assenza, di avere memoria del tuo passato.
Ma le tue tracce sono così flebili che siamo obbligati a narrare il nostro presente per ritrovare te.
Ed è uno sforzo immane, in cui la mentalità romantica e quella classica, si scontrano, battagliano, senza eroi, né vincitori, in cui la qualità sfiorata sfugge, come è sfuggita alla tua ricerca l'essenza vera del bello.
Ed io il mio Chautauqua lo feci, ricordo, la prima volta a sedici anni per ritrovare il mio nome in tracce flebili.
Furono giorni di riscoperta di ciò che mi aveva attraversato sin allora.
Fu, forse, grazie alla lettura di quel libro, che si manifestò la mia prima apertura alla scrittura di sé per l'altro.
E poi lo rifeci, ogni anno, ogni due anni, per diciotto volte, come una sorta di meditazione prolungata sulle mie memorie.
Ed in quell'agire silenzioso sulla mia storia ho incontrato amori e disfatte, entusiasmi e cadute nell'abisso, proprio come successe a te.
Fedro tu, celato, esorti tutti noi a cogliere la necessità di narrarsi, senza schemi, senza metodo apparente, come in una sorta di monologo interiore dove le montagne fanno da sfondo ed i luoghi sono sempre simboli del passaggio della propria interiorità.
Archetipo del legame, anche se spezzato, tra esperienza ed interiorità, tu Fedro ci indichi, in un silenzio implorante, di essere considerato oggetto di narrazione, parola, memoria.
Ci indichi la via della rielaborazione anche del più ignorato dei propri passati, ci esorti a divenire maestri narranti del bimbo che fu.
E lo fai senza pietà, con una certa crudeltà e incapacità di compromesso con le piccolezze della natura e delle relazioni umane.
Filosofo intransigente, solitario, tu Fedro, altro non sei che il nostro anelito alla Qualità.
Un anelito dai tratti a volte malati, ma non privo di genialità e capacità di costruzione.
Ti è mancato il passo, la nota armonica dominante. Ti è mancata la capacità di ritrovare nel piccolo il seme del bello. Hai percorso altezze e da altezze vertiginose sei caduto, incapace di cogliere nel limite umano barlumi di verità.
E chi oggi, cercatore indefesso, raccoglie tracce dei tuoi cocci, da te apprende grandezze e chiusure, verità ed incapacità di vivere il mondo.
Hai fatto dell'Assoluto la tua ricerca, l'Assoluto ti ha reso fantasma implorante di essere narrato.
In un percorso “on the road of our inwardness”, ci obblighi a percepire in noi gli stessi semi dell'assoluto ammonendoci però ad evitare le tue stesse cadute, per non divenire noi stessi fantasmi delle nostre memorie.
Leggere lo Zen è parlare di sé a sé. Leggere lo zen è cominciare una lenta, inesorabile, narrazione di sé che ha durata per tutta la vita.
E tu Fedro questo lo sai e nascondi la tua presenza nelle valli innevate, come nel meccanismo sottostante al funzionamento dei pistoni di una moto bicilindrica. Perché la Qualità non ha luogo, vero amico mio? La Qualità è nello sguardo di chi osserva.
O forse lo fai per preservarci lo schianto della tua caduta, per ammonirci a ricercare la morbidezza come legame di vene e sangue con la qualità.
Io questo ancora non so. E mi accingo proprio ora a riprendere la tua lettura per scoprire se questo sia in fondo l'insegnamento del tuo nascondimento.
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