Il mio Giorno della Memoria
Ascoltando il concerto num. 1 per violino e orchestra di Max Bruch (Menuhin, Fricsay)
Quella lunga nota tesa iniziale. E il tuo pianto, papà. Sei milioni di lacrime.
Come puoi contenerle, papà?
Come può fare una domanda simile un bimbo di sei anni?
E la tua risposta, impaurita: “non lo so, Sergio”.
E il violino che saltella di nota in nota; a me sembrano ossa rotte, spezzate, e grida e urli.
“Perché a noi papà?”.
“Non lo so, Sergio”.
E i tuoi occhi, le tue lacrime.
E i miei occhi che non capivano, non capivano.
Né capiscono ora; e saltellano nervosi e umidi da un nome all'altro; anche inventato, ché tanto tra i sei milioni di morti uno che si chiamava così ci sarà stato, no?
Quante volte, papà, ho ripetuto nomi immaginari, incapace di contenere quelli veri.
Una memoria diffusa, straziante e senza esito.
Già, io non contengo. Esplodo.
E mi dondolo lento, gli occhi chiusi, come facevano loro prima...dell'indicibile.
Non chiedermi cosa faccio per la loro memoria, papà. Ti prego.
Chiedimi come li trovo tra le pieghe dei vestiti, nelle note di un violino che salta e canta e grida e urla. Chiedimi dei loro volti che, battiti d'ali di colomba, compaiono e spariscono mentre attendo un treno, tra le pieghe dello sguardo di mio figlio (tuo nipote) quando si ribella alle ingiustizie del mondo.
Chiedimi della sua voce rotta quando mi domanda: perché?
E del mio silenzio spezzato quando mormoro come te: non lo so, Gabriel.
Sono piccolo papà, troppo piccolo per dimenticare, troppo piccolo per ricordare.
Sono piccolo Gabriel, troppo piccolo per rispondere.
Mi tenevi la mano, papà, e piangevamo assieme.
Noi, due galassie distanti anni luce, in questo vicini, terribilmente vicini.
Il mondo (un secondo massacro) delega a noi la memoria che egli stesso rifiuta.
Quella quotidiana, nelle pieghe di una vita che finge che l'indicibile non sia stato.
Ma che ne sa il mondo, papà?
Che ne sa di un padre che piange e di un figlio che chiede?
Che ne sa della forza tua? Della potenza di una risposta non data perché inesistente, che ne sa?
Cosa potrà mai capire il mondo delle parole bloccate nel gozzo di un uomo per 53 anni, dell'urlo silenzioso che mi impedisce di prendere un treno d'inverno sotto la neve senza veder volti, udire grida, pianti e strappi; troppi strappi perché la mia pelle non ne resti tatuata.
Era una domanda stupida, papà. Non importa.
Dammi la mano, papà. Piangiamo assieme. Pronunciamo nomi, solo nomi, finché il sonno non ci conceda di arrivare a domani.
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