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Visualizzazione dei post da aprile, 2020

Ayin

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Sai, figlio mio,  la prima luce illuminò  sessanta volte mille  e settantacinque soli,  e furono sette, figlio mio,  i raggi di stella  nella pupilla del Giusto.  La luce del risveglio,  figlio mio,  è lode eterna e tripudio  per settanta generazioni;  e nell'occhio del sapiente,  figlio mio, è custodito  ogni fertile dolore;  sulla corteccia ruvida dell'albero del silenzio,  figlio mio, il Giusto  posa la sua mano  e pulsano radici  e vibra il fogliame,  il Giusto che salva,  figlio mio, e punta  il suo occhio antico  sui tuoi volti e  benedice il tuo nome.  E ora riposa, figlio mio,  al suono delle settanta  cantilene che diedero  Gloria e Armonia al Creato

Cinque poesie inedite di Patrizia Caffiero e una nota di lettura di Sergio Daniele Donati

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  «...Forse questa montagna che ti ombreggia/questo ostacolo corposo e sfuggente/è soltanto la conseguenza amara/del tuo non dare un Nome alle Cose.» scrive in uno degli inediti che oggi pubblichiamo la poeta Patrizia Caffiero.  E in questi versi che paiono centrali mi pare di poter scorgere tracce di un pensiero che ha radici nelle profondità da un lato del Mito e dall'altro in un pensiero mediorientale ben preciso. C'è sempre tanto delle cose nel Nome delle cose , la loro essenza secondo alcuni pensieri, e c'è tanto di ricco nel saper tornare all'origine dei lemmi che danno Nome alle cose.  Ma questo pensiero, sembra suggerirci la poeta, porta con sé un'amarezza di fondo, ché altro non è che la constatazione dell'impossibilità di poter sfiorare la realtà delle cose al di fuori del linguaggio, della parola.  Ed, in fondo, è la stessa ossimorica dolce amarezza che ritroviamo nei versi: «...Ho costruito la casa nel mar/ma non avevo il progetto/quando sono andata ...

Mi attarda (Mon Enfance)

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Mi attarda,  lo sai,  lo sguardo sul muro, e il volo di rondine. Fischiano e picchiano,  come aghi di pino  nel bosco dell'impossibile E ride al canto del merlo, il ricordo d'un volto-mirtillo  da bambino. E tace lo sguardo che si perde nell'ora del tramonto che tutto cela.  Sospendevo allora, con gesto della mano, il flusso del tempo.  Poi la posavo, non ancora uomo,  sulle cortecce degli alberi. Erano pianti, lo sai.  E sai che il bello   e lo stupore calano goccia a goccia,  prima d'ogni parola nel cuore di chi canta in lingua antica e sovrana. Allora ti prego,  amico,  non ridere se m'attarda ancora, nell'ora che prepara  la battaglia, il ricordo di occhi bambini, da gufetto  nel bosco della vita.

Nun

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Adam è perso, eradicato  Adam è diviso e spezzato  Norah, coricata al suo  fianco, si fa lanterna  per reni e stomaco e cuore  e suona per lui  la sua arpa d'argento  su polvere e sangue e fiele  e gli sussurra: alzati  e lo chiama Uomo

La Flussa

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Disegni di Judith Sideri Canto all'antica in sibemolle minore per ragù e orchestra Bolle il brodo e borbottano gli aromi e si mescolano odori e ricordi  e immagini e penne e parole tra i peli ormai bianchi della mia barba. Sanno di desiderio, il mio,  mentre il tuo vissuto canta nelle cucine in cui giocavi coi tuoi  sei fratelli tra una risata  e un rimbrotto della rezdora. Io non lo so, anzi lo so cosa ti ha reso muto; non so, anzi lo so,  cosa mi ha reso ciarlone.  E so che ciò che mi ferisce  ora ti ferì allora, papà.  E scusami, se ho aggiunto bacche di ginepro  ai tuoi ragù, ma i miei boschi  si insinuano ovunque. Sono i sentieri che ho percorso  per allontanarmi da te, le vie che ora  mi riportano a te. E il merlo di cui tu imitavi il fischio canta sul mio balcone a ogni tramonto. Ci toccheremo finalmente le mani sotto un larice, papà, e forse mi tirerai c...

Mem

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Il secchio, guardia dell'abisso, copre acque che, goccia su goccia, scorrono sotterranee. Ti celi al nostro sguardo e lasci tracce,  ridente, tra nespoli e ali di falco. Noi, quaggiù, popolo devoto al tuo nascondimento eleviamo un canto umano in tua gloria, chissà se uditi, chissà se udito.

Concerto

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Note stridenti,  acide,  metallo  contro metallo, legno secco  su legno secco. Intervalli di settima,  di seconda,  disarmonie. Muti gli ottoni,  squillanti i silenzi Eppur presente, ancora, tenue e inascoltato il canto altro,  mai sopito

Au commencement (בראשית)

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Quadro di Paul Klee - particolare Viene di lontano il primo soffio dell'amore,  e strabica, come Venere,  è la prima carezza.  Tu non chiedermi i percorsi  del nostro incontro.  È ancora incerto il mio passo  lungo la spirale centripeta  della vita e m'incanta il battito d'ala dell'airone sulla linea dell'orizzonte