Canto
scritto con Silvia Tebaldi
nella primavera del 2020
Siamo tradotti dai Salmi
dal verbo degli uccelli
dalla lingua dell'inconscio
nella rete dei giorni riarsi.
E ci attarda la sera
davanti ai fuochi
della narrazione antica
tra sguardi di bambini.
Tehillim di incipiente primavera
dispaccio dall'inconscio che ci desta
prima dell'alba, prima del nulla
quando si posano
i nostri pensieri di elevazione
sul soffio che unisce,
contenti della terra
che crea spazio e tempo.
O Vampa nera. O Grande vuoto.
O indicibile Nome.
Posati sulle nostre tempie.
Le nostre nuche anelano
al soffio della tua Parola.
Trema la vite, trema il gelso,
La terra è secca.
Sia il soffio pioggia, sia la pioggia,
sia.
E i morti nei nostri cuori
e natura che va per la sua strada.
Il ruscello tace, la foglia trema, la terra è secca,
la mano in attesa del passo
del Silenzio. Maestro.
O nostra madre angoscia,
nostra traccia teofora nell'alba.
Sorride la stella
guida le nostre ansie
i sussulti l’incontro
e piega lenta
la sua luce d'argento
sui nostri sospiri.
Bambini,
noi quaggiù in terra, neonati
guitti a giornata, fratelli nel rancore,
noi progenie di polvere e di pietra.
E ora tace e sussulta la fiamma
antica, sorregge lo sguardo.
Tace e sussulta
la foglia che carezza
il mondo. L'airone
che non teme l'orizzonte.
Le lacrime, le valli, la nostra argilla,
i verbi lasciati chiusi nel cassetto.
Tutto qui, qui al tuo sguardo, o nostro Antico,
permane e sostiene e trattiene,
incita il nuovo a coprirsi di porpora
affinché non si pronunci
ciò che deve esser taciuto.
Siamo tradotti dai Salmi
nel nostro gergo di polvere:
manda la pioggia, Signora delle Api,
manda la pioggia antica,
e l’ora,
che sia l'ora del tasso e del pruno,
che sia l'ora del risveglio della volpe,
che sia l'ora in cui la lupa
bianca si attarda
a guardare le stelle.
Che sia l'ora del mondo, del vento da nord-est
che porta pioggia. La traccia del passaggio
della volpe,
la scrittura dei Salmi che ti cerca.
Che il libro antico rompa
ogni sigillo, ogni speranza.
Che sulla terra si spargano
semi di coscienza
delle nostre tribù.
È ora, è l'ora diletta, l’ora della prima parola,
in elenco stretto, senza punto, né sospensione:
ora dell'invocazione
cantiamo l'elenco
Dio, Siepe, Sera,
Albero, Vita, Ginestra.
Madre, Acqua, Crepuscolo. Sale Inchiostro Fermento
Alloro. Albero della vita posto a dimora.
E ancora: sibili, sussurri, silenzi
e vie, e passi di neonato, e stelle marine,
vette nascoste e gemme e quarzi.
E il brillio delle scaglie
di selenite. E le guance
e gli sguardi
dei ragazzi. E l'aver partorito, l'aver generato
e la continuità dei parchi. E i giorni lasciati a mezzo nella polvere,
che è vita e sangue e vene pulsanti,
e anela all’Ippogrifo.
E rotolarci in fanghi fertili, celando al mondo la purezza del nostro sguardo.
Nell'arco stretto dell'insonnia
noi vi chiamiamo,
nomi e benedizioni,
gerarchie di piante, serafini e insetti.
È ossidiana la pupilla
ematite l'iride
giada sono le ciglia,
ma è solo nel palmo della mano,
che palpita l'argilla.
Sono cedri le tue gambe
e querce nodose le mie spalle,
forte come l'ulivo è la mia nuca.
Ma è solo dallo sterno
che piange ciò che ancora
non si immagina,
la flessibilità del giunco.
Ed è nella chiocciola e nel quarzo,
nella piccola samara dell'acero,
il nostro sussurro di fiducia a te.
È spirale il suono
che torna
e ci lancia lontano.
Spirale centripeta e di fuoco.
È spirale il canto che torna
e ci lancia lontano.
Noi ci illudiamo di remare in questa
corrente che ci trascina
terre e tronchi e muschi
su un destino già detto.
E di questa illusione noi siamo sentinelle;
perché mai sia detto che non sia tentato,
lanciato (anche se già estinto),
accudito e nutrito
il grido di libertà
che ci dice
Donne e Uomini.
Plasma la nostra argilla
col tuo Soffio,
sia nostra la forma
e nostro il canto
che eleverà le tue lodi.
Eterne, come brezza su un mare
che non si increspa.
E lodare nel Silenzio
il tuo nome indicibile,
ossimoro e infinito,
e poi perdere il conto delle lodi
e numerare gli astri dall'insonnia.
Si uniscano le nostre labbra,
si intreccino le dita,
manifestino i corpi
sforzo e primo e unico
anelito del canto muto
di chi discerne
poi conta lettere
legge numeri
e tace
avanti l'universo
che si dispiega
nel suo profondo in un quaderno, nel timore,
nella nostra fatica di capire,
nel cartiglio cucito in mezzo ai panni
perché non sia perduto il nome,
carbonio azoto e luce.
Nostra comune argilla.
sublime patto poetico, grazie
RispondiEliminaGrazie Davvero. Sono colpito da queste parole.
EliminaUna magnifica poesia, con un ritmo che incanta e una scelta delle parole che lancia il lettore da un simbolo all'altro con leggerezza.
RispondiEliminaGrazie davvero per queste sue parole
Eliminaparole traboccanti di purezza. Rendono immagini che restano impresse e non potrò più dimenticarle....
RispondiEliminaLa ringrazio davvero per queste sue parole
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