Bisbigliavi: "danza".

 


Ottanta passi ancora. Per arrivare alla vetta. 

Stanco, sì, ma col cielo negli occhi.

La “Testa Grigia” non è una montagna per tutti. Quell'ultimo tratto con grande esposizione fa paura. Niente di difficile per un piede esperto, ma bisogna evitare di cedere alla tentazione di guardare in basso.

Perché il basso ammalia e attira; perchè il basso terrorizza e impaurisce.

Allora si fa quell'ultimo breve tratto guardando lievemente il cielo che, pur essendo ovunque, immaginiamo essere sempre e solo quello delle stelle e del sole; immensamente lontano.

Ci aggrappiamo ad un abisso distante per non cadere in un altro, sotto di noi.

E quell'abisso lontano ci sostiene negli ultimi passi, mentre il ritmo cardiaco aumenta per la paura.

È di noi stessi che abbiamo timore.

Sono roccette facili quelle dell'ultimo tratto. Chiunque può affrontarle e non richiedono alcuna esperienza o abilità tecnica.

Eppure non sono roccette per chiunque.

Troppa gente è caduta in quell'ultimo tratto, seppur facile.

Gente che non sapeva che l'uomo è albero. Intimamente albero in costante tensione tra cielo e terra.

Gente che non conosceva il valore supremo di quella paura e di quel ritmo cardiaco accelerato mentre il sole ti brucia il viso e un vento freddo ti ricorda il tuo nome.

Ti accorgi, nel percorrere quell'ultimo tratto, che l'unico ad esporsi sei tu.

La montagna, quella testa di dama antica e possente, grigia e saggia, accoglie solo chi sa avvicinarsi a un duplice abisso con rispetto di sé stesso, dei propri piedi, delle multiple pulsioni che lo attraversano, concentrato sempre e solo sul passo successivo. Lento.

Nessuna montagna è mai esposta. Nessuna.

È chi le scala a denudarsi, a richiamare linfe nascoste dalle dita delle proprie mani e a rivitalizzare le radici salde dei propri piedi.

Salire su certe montagne, specie in solitaria, è un atto estremo di seduzione.

Ci si denuda e si danza, lenti, molto lenti, su rocce spesso vischiose, consci che il rifiuto significa la morte e l'accettazione il grande cambiamento.

La Testa Grigia è una vecchia dama che non si lascia sedurre da un ragazzino. Ti chiede di più. Ti sfianca per qualche ora facendoti salire tra ciarpami e piccole rocce.

Sono salite che sfiancano i polpacci e spezzano il fiato, mentre lei sorride, pensando: “eccone un altro”.

E tu sali, danzando lentamente, di roccia in roccia, di sfasciume in sfasciume, ben sapendo che tanti pretendenti alla verginità della vecchia dama sono caduti in quell'abisso in basso, ancora lontano.

Danzi in quel primo tratto come ci si prepara all'incontro con una donna che ami ma di cui non conosci i sentimenti. Senza finzioni. Solo se stessi, come si è; profumati solo dei propri umori, dei propri odori e sudori, nella speranza che siano proprio quegli effluvi a stordire i sensi della grande vecchia.

L'abisso è ancora lontano, ma tu sai che esiste e che presto dovrai denudarti.

Allora dismetti l'abito del pavone, e indossi la maschera della salamandra. E danzi, sempre più lento su roccette acuminate. È quasi un lento avvicinarsi, chiedendo ad ogni passo il permesso di ridurre sempre più le distanze da quel bacio finale.

E la dama, austera tace, e dal suo silenzio tu, pretendente innamorato, ricavi energia e spinta a proseguire. E danzi, danzi, come danza il fuoco di notte verso il cielo. E lancia scintille in alto quasi volesse dirgli: “ lo vedi anche io ho il mio firmamento, rosso, da offrirti”.

E poi ci arrivi a quell'ultimo tratto. E bevi acqua fresca dalla borraccia, per darti coraggio.

Comincia ora la danza, tribale, cadenzata, sacra. Ti denudi di ogni maschera.

Sei tu e la vecchia dama.

L'abisso in basso chiama, chiama, chiama. E tu non l'ascolti.

Quando esci con una donna non guardi il volto delle altre. Il tuo sguardo è solo per lei.

Quando ami una donna non cedi alle tentazioni delle altre. Il tuo cuore batte per lei sola.

Allora sali su quelle rocce, come se ne carezzassi il viso, il collo o i seni, ripetendo a te stesso, per darti coraggio: “io esisto e sono saldo”.

E accantoni i ricordi uno dopo l'altro, perchè la vecchia dama ogni pretende ogni tua attenzione.  

Pretende che tu sia lì, attaccato al suo corpo, alla sua anima soltanto.

Non esiste il passato, nemmeno quello recente, quando amoreggi con la vecchia dama.

E se riesci a fare questo, la vecchia dama, lentamente, comincia danzare con te, e il vostro paso doble diventa amplesso.

La Dama sorride e ti apre le sue gambe e ti mostra i suoi tesori, e ti permette di salire con una facilità che non avresti mai immaginato. E allora tu danzi dentro di lei, che ogni passo, sembra un movimento del tuo bacino, una spinta dentro ciò che ti trasforma.

Quegli ultimi ottanta passi, vanno fatti alla lentezza del maestro di Tai Chi. È come bisbigliare “ti amo” nell'orecchio della donna (che ami), mentre i vostri corpi diventano uno.

E vederla sorridere, e sentire la sua voce di fata mormorare a sua volta: “ti prego non smettere ora di danzare”.

Poi arrivi alla cima.

Lo spettacolo che hai davanti ti toglie il fiato.

Lo spettacolo che senti essere dentro ti toglie il fiato.

Perché hai penetrato la montagna, hai fatto l'amore con la grande dama, e lei ti ha trasformato dentro, e aperto gli occhi alla sua e alla tua bellezza.

E ti siedi sulla cima. E il tuo sguardo vola lontano. E non è più il falco pellegrino, né il pavone, ad aprire le ali.

Ma un aquila. Reale. Perché solo i re dividono il letto delle regine.

E se sei uno stalliere, un maniscalco, un mugnaio, ti alzerà lei, la grande dama, i ranghi, ad ogni passo della tua danza, se ne sei degno.

Se ti sai spogliare con cautela. Veste dopo veste e arrivare a lei nudo.

Nella tua regalità più profonda. Evitando gli abissi che cantano come sirene in basso.

Il loro canto benché seducente, non è nulla di fronte alla bellezza che dispiega la dama che ami e il cui corpo vuoi penetrare.

Lento. Molto lento. Gustando ogni istante, ogni respiro, ogni sospiro comune.
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