Cum dederit
Seleno e Dioniso - Statua Romana II sec D.C. |
Dedicata al sommo poeta Ronnie Someck
“Cum dederit dilectis suis somnum,Ecce haereditas Domini, filii:Merces, fructus ventris,Fructus ventris.Cum dederit dilectis suis somnum,Ecce haereditas Domini, filii:Merces, fructus ventris,Fructus ventris”
con una nota tenuta,
una corda tesa
tra ventri fecondi
e cieli infedeli.
In mezzo il figlio,
solo,
mostra al dio
del nascondimento
i suoi inciampi
come trofei di latta
per il festino del creato,
o gusci di noce da usare
come barchette
nel fiume del ricordo.
Dona la sua piccolezza
a un'infinita assenza.
E tiene quell'unica nota
nel metatarso,
al primo passo;
un dono sacro,
al Sacro che
in lui dimora; a stento.
È nulla, un passo,
eppure si amplifica,
nell'appoggio a terra,
quella nota che parte dalle
iod delle sue intenzioni.
“Guardami, dio celato,
guarda l'inciampo
di un figlio zoppo.
E accogli lo strazio
d'una parola
balbuziente
tra le ciglia
del tuo creato”.
Dietro al tronco
dell'albero antico
il dio celato
osserva
il suo cammino lento,
e ascolta le sue parole
sgraziate;
e non ride più.
E sporge la testa
da dietro il tronco:
“Era un gioco
perché tu apprendessi
il cammino solitario
e non perché mi portassi
domande indicibili
dal regno dell'indicibile”.
L'albero perde le foglie,
il dio celato
ammette il suo debito.
E balbetta
le stesse balbuzie
del figlio che inciampa.
E gli apre le porte del sogno
perché si disperda infine
quella nota tenuta
per infiniti tempi e passi;
e sia stabilito per sempre
il valore sacro
d'ogni inciampo.
meraviglia e retorica, ma c'e' anche un'ansia profonda del misterioso: Thauma [θαῦμα]
RispondiEliminama grazie dal profondo...
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