La confessione
Foto di Sergio Daniele Donati |
Su Musica di Dmitri Shostakovich
Suite from Lady Macbeth
“ M'ha costretto un coltello, una lama sottile, avvocato, a diventar barocca.
Là, nelle stanze in cui pesavano più le parole che un cuore che batte, ho imparato, a trovar rifugio.
Mie compagne sono state le metriche strette, le cadenze fisse e senza scampo.
Là nelle camere ove soffocavano la bambina, ho appreso l'arte della sopravvivenza.
E mi sono nutrita di larve di sentimenti, catturati dalle ragnatele; della parola.
Tutto era buio e prevedibile, là.
Ora lei mi guarda, e forse non capisce.
Ma il suo silenzio urta e incalza.
Vuole che continui, desidera cenni di significato cui applicare la sua logica stretta.
Il suo pensiero alto cerca di armonizzare il mio racconto con categorie astratte: norme, fattispecie, esimenti e aggravanti.
Ma il mio è reato non previsto da alcun codice.
Un assassinio, se vuole, cui manca l'elemento soggettivo della vittima.
Allora confesso, perché lei capisca: sono reo del crimine più brutale e meno riconosciuto.
Ho ucciso una parola, con taglio netto, di machete.
E mentre le segavo la carotide mi guardava.
Uno sguardo stupito.
Come quello che ha chi non si aspetta l'imprevisto.
Tagliata, eliminata o, se vuole che parli la sua lingua: espunta, stralciata dal fascicolo dell'umano.
Là nelle camere ove soffocavano la bambina, ho appreso l'arte della sopravvivenza.
E mi sono nutrita di larve di sentimenti, catturati dalle ragnatele; della parola.
Tutto era buio e prevedibile, là.
Ora lei mi guarda, e forse non capisce.
Ma il suo silenzio urta e incalza.
Vuole che continui, desidera cenni di significato cui applicare la sua logica stretta.
Il suo pensiero alto cerca di armonizzare il mio racconto con categorie astratte: norme, fattispecie, esimenti e aggravanti.
Ma il mio è reato non previsto da alcun codice.
Un assassinio, se vuole, cui manca l'elemento soggettivo della vittima.
Allora confesso, perché lei capisca: sono reo del crimine più brutale e meno riconosciuto.
Ho ucciso una parola, con taglio netto, di machete.
E mentre le segavo la carotide mi guardava.
Uno sguardo stupito.
Come quello che ha chi non si aspetta l'imprevisto.
Tagliata, eliminata o, se vuole che parli la sua lingua: espunta, stralciata dal fascicolo dell'umano.
Quella parola nel mio vocabolario non esiste più.
Resta il ricordo del suo suono, ma giace a terra inanimata, priva di ogni significato.
Un ammasso di consonanti e vocali, una carcassa decomposta di sillabe la cui radice non dà più virgulto.
Si chiederà perché io abbia commesso un crimine così efferato; e già immagino la sua mente cercare la mia difesa in moventi che affondano nella patologia psichica.
No, avvocato, il mio è stato un gesto deliberato, cosciente e voluto.
Non il frutto di raptus.
Se accetta il mandato io voglio che lei non mi difenda, che divenga il mio peggior accusatore, che urli nelle aule la mia colpevolezza.
Oh, mi creda, io non bramo la punizione. Il mio è un reato senza pena, non assimilabile ad altro, nemmeno per analogia.
Desidero solo che il mondo sappia che esiste chi ha ucciso quella parola deliberatamente.
Desidero che il mondo agisca su un essere così abbietto la sua più antica sanzione: l'esilio, la scomunica.
E che poi non si interessi più a me.
Non c'è niente da capire, avvocato.
Si chiuda definitivamente la stanza dove soffocavano la bambina.
Si chiuda la porta della stanza con me dentro, e i fili barocchi della parola ad avvolgere la carcassa decomposta di una parola che non è più.”
Resta il ricordo del suo suono, ma giace a terra inanimata, priva di ogni significato.
Un ammasso di consonanti e vocali, una carcassa decomposta di sillabe la cui radice non dà più virgulto.
Si chiederà perché io abbia commesso un crimine così efferato; e già immagino la sua mente cercare la mia difesa in moventi che affondano nella patologia psichica.
No, avvocato, il mio è stato un gesto deliberato, cosciente e voluto.
Non il frutto di raptus.
Se accetta il mandato io voglio che lei non mi difenda, che divenga il mio peggior accusatore, che urli nelle aule la mia colpevolezza.
Oh, mi creda, io non bramo la punizione. Il mio è un reato senza pena, non assimilabile ad altro, nemmeno per analogia.
Desidero solo che il mondo sappia che esiste chi ha ucciso quella parola deliberatamente.
Desidero che il mondo agisca su un essere così abbietto la sua più antica sanzione: l'esilio, la scomunica.
E che poi non si interessi più a me.
Non c'è niente da capire, avvocato.
Si chiuda definitivamente la stanza dove soffocavano la bambina.
Si chiuda la porta della stanza con me dentro, e i fili barocchi della parola ad avvolgere la carcassa decomposta di una parola che non è più.”
Sergio, hai scritto qualcosa di grandioso! Hai un talento sconfinato e spero che non rimanga costretto nell'etere ineffabile del web.
RispondiEliminaGrazie per questi doni che ci fai.
Grazie dal profondo, Gianni
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