'Melanconia' di Sergio Daniele Donati Va così, ogni tanto, a ritmi non prevedibili; un refolo che si insinua, spesso a partire dalle tempie, e cola poi piano fino al midollo. Mentre scrivo per un cliente o cerco soluzioni impossibili per casi disperati, soffia lento le sue volute di fumo e culla l'affanno. È la mia nota malinconica, una berceuse antica, di legno stagionato; e tinge di ocra e azzurro pastello i miei fuochi; indomabili. Ho imparato col tempo a metterla a frutto, ad ascoltarne il richiamo, legato a un palo, come Odisseo con le sirene. La lascio cantare; la canzone dei luoghi in cui non fui, delle assenze che mi hanno formato, dello sguardo che volge a un passato nebuloso. Non è mai dominante il mio accordo in minore; si intona ai miei gridi guerrieri, li placa con sfottò inesorabili, ma non li annega. Semplicemente arriva da luoghi inaccessibili, si posa sulla mia pelle e, senza scatenar fantasmi o agitare paure, canta. Allora fermo il vortice della scrittur