Cambiamento e angoscia
"Il cambiamento" di Sergio Daniele Donati |
Il Saggio coltiva il cambiamento
come un frutteto nascosto
ne raccoglie i frutti
e interra i semi
con gesto lento.
A me, che saggio non sono,
il cambiamento pare
una screziatura,
una fessurazione dell'Altrove
da cui colano
parole di silenzio
su pergamene vissute.
A me, che non conosco
la pazienza del contadino,
né sono saggio,
il cambiamento pare
una preghiera
a un cielo che ride
delle mie più antiche angosce.
Io non creo, né trasformo:
prego che il cambiamento
si manifesti
nella lingua dei miei avi,
e copra d'un velo spesso
i miei volti inadeguati
a farne fiorire la memoria.
O forse saggio fui da piccolo,
quando attesi a dirmi ebreo,
sino al giorno in cui
quel Maestro mi spiegò
che nel mio nome era scritto
chi fosse il mio Giudice.
Allora iniziò il cambiamento
e mi dissi ebreo;
e fu una rincorsa verso gli odori
del tempo perduto.
La radice ignorata e negletta
langue sotto terre nere;
solo la parola
ne sgretola le rocce
e rende fertili
i deserti delle angosce;
dona ossigeno al respiro corto
della sopravvivenza
e rende vitale
il primo passo di ritorno.
Io non ho la pazienza del contadino,
né sono saggio,
ma conosco il peso
del mio nome
e prego perché
dalle striature dei cieli
colino parole antiche
di cambiamento
per un mondo
inadatto a sé stesso
e bisognoso di cure.
...e poi l'incanto...
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