Un pomeriggio con Chagall di Paola Deplano
Marc Chagall - Mosè riceve le tavole della legge (acquaforte) |
A dispetto di una immeritata cattiva fama, trovi che è una città carina, raccolta, piena di palazzi liberty. Il traffico è tranquillo, ad agosto sono tutti in ferie. Con la tua amica andate a mangiare in un posto molto bello, che si trova in un parco alberato, passeggiate dopo pranzo e poi tornate in centro, ma è ancora presto per la mostra, che apre alle 17.00. Ritornate a camminare per il corso e sulla destra ti cattura una vicolino stretto stretto, che scende. Riconosci subito un luogo sempre uguale in tante città diverse e dici alla tua amica: «È il ghetto», lei ti risponde che nelle città antiche tutti i vicoli sono così. Tu insisti, le dici che è troppo stretto, che i palazzi ai lati sono troppo alti, i piani delle case sono irregolari, sempre più bassi man mano che salgono, lei non capisce, non può capire. Sono le case di un popolo che non si doveva disperdere all’esterno, eppure è stato il più disperso, suo malgrado. Un popolo che doveva stare stretto e costretto e possibilmente sparire, invece è dappertutto, anche nel sangue dei suoi discendenti ignari di essere ebrei. Anche nel suo. Forse.
Marc Chagall - Mosè riceve le tavole dell'alleanza |
La tua amica al cellulare controlla, pensando che siano i tuoi soliti sogni demodé. La lasci fare, tanto sai di aver ragione, ma poi da un sito attendibile si evince che proprio quella è la zona. Ti inoltri trionfante e scatti foto su foto, mentre lei, che è odontoiatra, scopre di essere in ferie per modo di dire, mentre parla al cellulare con la sposa col mal di denti il giorno prima del matrimonio e con l’anziana con la protesi che le dà fastidio.
Tu continui a camminare, la lasci indietro al suo tempo presente e vedi la gente antica camminare ancora per strada, tutti affaccendati, più giovani, più anziani, le donne velate, gli uomini col vestito scuro e quegli strani cappelli, i bambini che giocano mezzi nudi, le urla e quella parlata strana che non esiste più, che è morta con loro, quel misto di ebraico, calabrese, italiano, judezmo. Loro non ti vedono, non ti possono vedere. E neanche tu li vedi, se non con gli occhi del sogno. La tua amica, alle tue spalle, ripete per l’ennesima volta, con voce calma, ma ferma: «Signora, purtroppo le protesi mobili sono così, deve portare pazienza » e intanto ti fa vedere l’orologio, la mostra apre tra poco, dovete tornare indietro. Ti risucchia il tempo di adesso, ma prometti di tornare.
Alla biglietteria vi chiedono il green pass. Tu ce l’hai, ovviamente, te lo sei fatto scaricare non appena è stato possibile, cartaceo, naturalmente – perché quando uno è imbranato è imbranato. Provano a leggerlo, ma non ci si riesce. Attimo di disperazione, ma ti ripeti a me niente mi ferma. Chiedi alla bigliettaia stessa di aiutarti a scaricarlo sul telefonino. Non è una ragazza, è uno degli angeli di Chagall con gli occhi color giada e, sorridendo e sussurrando, fa tutto lei, scaricandoti il green pass sul telefonino. Così entrate. Finalmente.
Nelle sale della mostra, un altro paio di persone e un silenzio concentrato. La foto del pittore troneggia all’inizio, con la sua vita scritta al lato. Per carità, è interessante sapere certe cose ma, più che l’uomo, conta l’arte. E poi ci sono le sue parole: «Fin dalla mia prima giovinezza sono stato conquistato dalla Bibbia: mi è sempre apparsa e ancora mi appare la più grande fonte di poesia di tutti i tempi».
Dietro queste parole ti perdi a pensare alle suggestioni poetiche che stai scrivendo adesso, perfettamente coincidenti con le sue. E poi pensi anche che nel Novecento l’arte non amava più rappresentare il sacro come un tempo e invece lui, unico in tutto, ebbe il coraggio di farlo. Poi pensi che si deve rendere onore a un artista che in un tempo in cui imperavano l’odio, il materialismo, il nazionalismo, fondeva, mischiava e universalizzava le suggestioni ebraiche, russe e francesi che componevano la sua personalità. Poi pensi ad altro – e pensi troppo, come al solito.
La tua amica è andata oltre e sta già guardando le opere. La raggiungi.
Nelle prime sale ci sono le acqueforti realizzate tra il 1931 e il 1939, grazie alla proposta del mercante Vollard di illustrare i testi sacri. Prima di iniziare il lavoro, l’artista visitò i luoghi santi con la moglie e la figlia. Che cosa bella e preziosa, che ha fatto. Doveva riavvolgere il filo – pensi, ma non dici, per non sciupare il silenzio della sala – doveva riavvolgere il filo delle radici per uscire fuori dal labirinto del mondo terribile che si stava preparando (e si capiva). Questo pensi, senza dirlo, davanti a queste immagini scure che inspiegabilmente nascondono una luce, forse la luce della Terra Promessa. Lo immagini chiudere gli occhi e rivisitare quei luoghi col pensiero, mentre lavora a ciò che stai ammirando adesso. La creazione dell’uomo, l’arca, l’arcobaleno dopo il diluvio, Abramo, la storia di Giuseppe e quella di Mosé e quella di Davide e tante altre storie ancora, quelle che viviamo tutti, a modo nostro, sul sentiero della vita.
Lavorò ad altro, nel frattempo, Chagall. Poi, di nuovo, ritornò sulle orme dei Padri. In un’altra sala sono esposte le tavole bibliche per la rivista Verve, fondata da Stratis Eleftheriadis (meglio noto come Tériade), in cui le stesse eterne storie sono raccontate in modo uguale eppure diverso, forse più simili allo Chagall che tutti conoscono. Il bianco e nero precedente lascia spazio a sgargianti colori. Sono i suoi colori che si rincorrono e ti rincorrono di sala in sala, quando di nuovo rinarra le storie eterne scritte nel Libro e già rappresentate in precedenza.
La mostra continua poi con 24 litografie che narrano la storia dell’Esodo, punto nodale, cruciale, dolente nella vita di ogni ebreo, quella nostalgia di una patria perduta che in molti non conosceranno mai, se non attraverso la Torah.
Nelle ultime sale, quasi un commiato, due artisti contemporanei, Antonio Pujia Veneziano e Max Marra espongono le loro opere, immettendosi nel flusso dell’arte ebraica e affiancando lievemente e rispettosamente il genio di Chagall.
Poi è finito tutto. Peccato. Dall’angelo con gli occhi di giada della biglietteria compri il catalogo della mostra, ringrazi ancora per la gentilezza del green pass, saluti, vai via.
Sulle scale che portano fuori, la tua amica riceve l’ennesima telefonata di lavoro.
Paola Deplano
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Alla biglietteria vi chiedono il green pass. Tu ce l’hai, ovviamente, te lo sei fatto scaricare non appena è stato possibile, cartaceo, naturalmente – perché quando uno è imbranato è imbranato. Provano a leggerlo, ma non ci si riesce. Attimo di disperazione, ma ti ripeti a me niente mi ferma. Chiedi alla bigliettaia stessa di aiutarti a scaricarlo sul telefonino. Non è una ragazza, è uno degli angeli di Chagall con gli occhi color giada e, sorridendo e sussurrando, fa tutto lei, scaricandoti il green pass sul telefonino. Così entrate. Finalmente.
Nelle sale della mostra, un altro paio di persone e un silenzio concentrato. La foto del pittore troneggia all’inizio, con la sua vita scritta al lato. Per carità, è interessante sapere certe cose ma, più che l’uomo, conta l’arte. E poi ci sono le sue parole: «Fin dalla mia prima giovinezza sono stato conquistato dalla Bibbia: mi è sempre apparsa e ancora mi appare la più grande fonte di poesia di tutti i tempi».
Dietro queste parole ti perdi a pensare alle suggestioni poetiche che stai scrivendo adesso, perfettamente coincidenti con le sue. E poi pensi anche che nel Novecento l’arte non amava più rappresentare il sacro come un tempo e invece lui, unico in tutto, ebbe il coraggio di farlo. Poi pensi che si deve rendere onore a un artista che in un tempo in cui imperavano l’odio, il materialismo, il nazionalismo, fondeva, mischiava e universalizzava le suggestioni ebraiche, russe e francesi che componevano la sua personalità. Poi pensi ad altro – e pensi troppo, come al solito.
La tua amica è andata oltre e sta già guardando le opere. La raggiungi.
Nelle prime sale ci sono le acqueforti realizzate tra il 1931 e il 1939, grazie alla proposta del mercante Vollard di illustrare i testi sacri. Prima di iniziare il lavoro, l’artista visitò i luoghi santi con la moglie e la figlia. Che cosa bella e preziosa, che ha fatto. Doveva riavvolgere il filo – pensi, ma non dici, per non sciupare il silenzio della sala – doveva riavvolgere il filo delle radici per uscire fuori dal labirinto del mondo terribile che si stava preparando (e si capiva). Questo pensi, senza dirlo, davanti a queste immagini scure che inspiegabilmente nascondono una luce, forse la luce della Terra Promessa. Lo immagini chiudere gli occhi e rivisitare quei luoghi col pensiero, mentre lavora a ciò che stai ammirando adesso. La creazione dell’uomo, l’arca, l’arcobaleno dopo il diluvio, Abramo, la storia di Giuseppe e quella di Mosé e quella di Davide e tante altre storie ancora, quelle che viviamo tutti, a modo nostro, sul sentiero della vita.
Lavorò ad altro, nel frattempo, Chagall. Poi, di nuovo, ritornò sulle orme dei Padri. In un’altra sala sono esposte le tavole bibliche per la rivista Verve, fondata da Stratis Eleftheriadis (meglio noto come Tériade), in cui le stesse eterne storie sono raccontate in modo uguale eppure diverso, forse più simili allo Chagall che tutti conoscono. Il bianco e nero precedente lascia spazio a sgargianti colori. Sono i suoi colori che si rincorrono e ti rincorrono di sala in sala, quando di nuovo rinarra le storie eterne scritte nel Libro e già rappresentate in precedenza.
La mostra continua poi con 24 litografie che narrano la storia dell’Esodo, punto nodale, cruciale, dolente nella vita di ogni ebreo, quella nostalgia di una patria perduta che in molti non conosceranno mai, se non attraverso la Torah.
Nelle ultime sale, quasi un commiato, due artisti contemporanei, Antonio Pujia Veneziano e Max Marra espongono le loro opere, immettendosi nel flusso dell’arte ebraica e affiancando lievemente e rispettosamente il genio di Chagall.
Poi è finito tutto. Peccato. Dall’angelo con gli occhi di giada della biglietteria compri il catalogo della mostra, ringrazi ancora per la gentilezza del green pass, saluti, vai via.
Sulle scale che portano fuori, la tua amica riceve l’ennesima telefonata di lavoro.
Paola Deplano
Marc Chagall Bible Verve - Mosè - 1956 Litografia |
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“Chagall e la Bibbia” è visitabile al Complesso monumentale del San Giovanni di Catanzaro fino al 10 Ottobre 2021.
Le immagini che illustrano l’articolo sono tratte dal catalogo della mostra, edito da Rubbettino.
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