Conosco il Tango (Oblivion)
"Infanzie" di Sergio Daniele Donati |
da sempre mi abita una regola
- non so da chi imposta -
che m'impedisce di star al centro
delle altrui praterie.
Osservo di lato passi stranieri
sulla sabbia della mia evanescenza,
questo sì;
danze che parlano una lingua
che non m'appartiene
e fa vibrare le mie scintille.
Mi sono riavvicinato poi
ai miei alfabeti bislacchi
quando la chiamata s'è fatta troppo insistente
per essere ignorata.
Io da sempre vado
lontano, fuggo,
e cerco sottoterra un'infanzia
mai vissuta.
Là tra lombrichi e gemme
ho imparato a scavare a mani nude,
troppo tardi per essere bambino
troppo presto per esser uomo.
Per questo fuggo;
ciò che manca al cominciamento
canta per sempre l'inno dell'assenza
e separa e divide e riempie
di liquidi collosi
le vibrisse d'un uomo-gatto
innamorato della luna.
Ma forse uso simboli strani
per le tue orecchie di cristallo,
troppo fragili per sopportare il suono
d'una voce roca e mal formata.
Allora parlo con lingua piana:
hai fatto bene a rifiutare
il mio selenico sogno
e a continuare sola il tuo eterno tango.
Era una voce sgraziata
- la mia -
callosa e ruvida,
troppo impastata della melma
d'un infanzia negata
per essere accolta.
Eppure dietro c'era un canto
- che quella voce copriva -
un basso continuo angelico
che narrava la storia
di come sarei potuto diventare al tuo fianco,
di ciò che sono diventato
in tua assenza.
Osservo di lato passi stranieri
sulla sabbia della mia evanescenza,
questo sì;
danze che parlano una lingua
che non m'appartiene
e fa vibrare le mie scintille.
Mi sono riavvicinato poi
ai miei alfabeti bislacchi
quando la chiamata s'è fatta troppo insistente
per essere ignorata.
Io da sempre vado
lontano, fuggo,
e cerco sottoterra un'infanzia
mai vissuta.
Là tra lombrichi e gemme
ho imparato a scavare a mani nude,
troppo tardi per essere bambino
troppo presto per esser uomo.
Per questo fuggo;
ciò che manca al cominciamento
canta per sempre l'inno dell'assenza
e separa e divide e riempie
di liquidi collosi
le vibrisse d'un uomo-gatto
innamorato della luna.
Ma forse uso simboli strani
per le tue orecchie di cristallo,
troppo fragili per sopportare il suono
d'una voce roca e mal formata.
Allora parlo con lingua piana:
hai fatto bene a rifiutare
il mio selenico sogno
e a continuare sola il tuo eterno tango.
Era una voce sgraziata
- la mia -
callosa e ruvida,
troppo impastata della melma
d'un infanzia negata
per essere accolta.
Eppure dietro c'era un canto
- che quella voce copriva -
un basso continuo angelico
che narrava la storia
di come sarei potuto diventare al tuo fianco,
di ciò che sono diventato
in tua assenza.
... riparte impetuosa la girandola di emozioni...
RispondiEliminaGrazie davvero
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