Su "Al di là della polvere" (Fabio Ivan Pigola - Divergenze ed. 2021) - recensione di Sergio Daniele Donati
Mi diceva quand'ero ragazzo un anziano signore, un vero amante delle parole, che la grande letteratura è una burla in cui il lettore parte, lancia in resta, con un'idea già formata su cosa leggerà e si trova poi disarcionato da un cavallo imbizzarrito e, in breve tempo, con la faccia nella polvere.
«La letteratura, quella seria,» diceva, «è un cavallo pazzo e ti porta dove vuole lei, senza neanche chiederti il permesso».Con gli anni le mie abilità di lettore si sono raffinate e ora posso dire cosa sia per me la grande letteratura, forse.
Ma, anche se non rinuncio a trovare un poco inutile cercar definizioni, tuttavia, quell'idea dalle tinte western, in cui la letteratura prende il ruolo d'una sorta di mustang indomabile che ti porta lontano da una destinazione facile e attesa, mi è rimasta nel midollo.
È sempre questo il primo criterio di valutazione per me, che mi avvicino con entusiasmo a volte eccessivo all'altrui scrittura: prendo un libro in mano e, prima ancora di leggere, osservo cosa nella mia mente si sia formato come immagine di ciò che quel libro mi aspetto che dica.
Poi apro la prima pagina e leggo. Salgo sul dorso del cavallo. E se non mi disarciona in breve tempo – in poche pagine – scendo mi metto la sella sulle spalle e, come un cowboy dei film western, cammino verso uno splendido tramonto sui Canyon dell'Arizona, strascicando gli speroni sulle rocce.
Ma, anche se non rinuncio a trovare un poco inutile cercar definizioni, tuttavia, quell'idea dalle tinte western, in cui la letteratura prende il ruolo d'una sorta di mustang indomabile che ti porta lontano da una destinazione facile e attesa, mi è rimasta nel midollo.
È sempre questo il primo criterio di valutazione per me, che mi avvicino con entusiasmo a volte eccessivo all'altrui scrittura: prendo un libro in mano e, prima ancora di leggere, osservo cosa nella mia mente si sia formato come immagine di ciò che quel libro mi aspetto che dica.
Poi apro la prima pagina e leggo. Salgo sul dorso del cavallo. E se non mi disarciona in breve tempo – in poche pagine – scendo mi metto la sella sulle spalle e, come un cowboy dei film western, cammino verso uno splendido tramonto sui Canyon dell'Arizona, strascicando gli speroni sulle rocce.
I cavalli docili non sono adatti ai miei percorsi nella parola; ormai di questo sono certo.
La grande letteratura, lo ripeto, deve disarcionare; e, se non, lo fa, è destinata all'oblio. Almeno al mio.
Il libro di Fabio Ivan Pigola - «Al di là della polvere» (Divergenze ed. 2021) - è grande letteratura per tantissimi motivi, non da ultimo per la sua capacità di sgroppare in fretta il lettore e portarlo a terra; quella terra dove ci ritroviamo tutti, come per incanto, a giocare ai cowboy.
Si sale sul dorso del libro con la sicumera di chi sa, di chi si aspetta un'ennesima narrazione delle storie di una comunità; e ci si ritrova subito a terra, perché Al di là della polvere è molto di più.
È la dimensione della Storia, quando si fa narrazione; parola.
È la linea sottile di una ricerca che attraversa l'autore per far parlare le voci di un comunità.
Sì, questo diviene evidente quando si rimonta in sella e si carezza il collo del mustang, sussurrandogli all'orecchio: «Ok portami dove vuoi tu».
La scrittura di Fabio Ivan Pigola è tramite dorato, priva di vezzo ma densa di ricercatezza, e affonda in radici profonde delle comunità che descrive.
Leggere Fabio Ivan Pigola è sentire l'autore raccontarsi narrando le altrui storie, e dirsi figli di un flusso che attraversa i secoli e ci sfiora il volto, per andar poi lontano.
La scrittura di Fabio Ivan Pigola è anche il taglio dolce dell'ironia, mai sarcastica; la delicatezza di una visione altra su un mondo che è dinamica, storia, narrazione.
«Molte fiabe iniziano con la formula "c'era una volta" perché nessuna realtà può parlare al presente senza tener conto del passato, e ricordare. I ricordi sono il patrimonio che assicura agli uomini il futuro. E nei ricordi affonda la radice che nessuna vanga toglie dalla terra, perché alla terra tutti s'appartiene e nessuno come essa racconta chi e cosa siamo stati.»
Gli occhi umidi, sbarrati, stupefatti di chi quei racconti ha ascoltato manifestano la nostra fame, tanto umana, di ricevere narrazioni e allo stesso tempo di sentirci parte di un tempo, di una storia, che ci attraversa e trascina lontano.
E questo Fabio Ivan Pigola lo sa, fin troppo bene. E sa che nessuno si volta indietro senza progettare un futuro.
La grande letteratura, lo ripeto, deve disarcionare; e, se non, lo fa, è destinata all'oblio. Almeno al mio.
Il libro di Fabio Ivan Pigola - «Al di là della polvere» (Divergenze ed. 2021) - è grande letteratura per tantissimi motivi, non da ultimo per la sua capacità di sgroppare in fretta il lettore e portarlo a terra; quella terra dove ci ritroviamo tutti, come per incanto, a giocare ai cowboy.
Si sale sul dorso del libro con la sicumera di chi sa, di chi si aspetta un'ennesima narrazione delle storie di una comunità; e ci si ritrova subito a terra, perché Al di là della polvere è molto di più.
È la dimensione della Storia, quando si fa narrazione; parola.
È la linea sottile di una ricerca che attraversa l'autore per far parlare le voci di un comunità.
Sì, questo diviene evidente quando si rimonta in sella e si carezza il collo del mustang, sussurrandogli all'orecchio: «Ok portami dove vuoi tu».
La scrittura di Fabio Ivan Pigola è tramite dorato, priva di vezzo ma densa di ricercatezza, e affonda in radici profonde delle comunità che descrive.
Leggere Fabio Ivan Pigola è sentire l'autore raccontarsi narrando le altrui storie, e dirsi figli di un flusso che attraversa i secoli e ci sfiora il volto, per andar poi lontano.
La scrittura di Fabio Ivan Pigola è anche il taglio dolce dell'ironia, mai sarcastica; la delicatezza di una visione altra su un mondo che è dinamica, storia, narrazione.
«Molte fiabe iniziano con la formula "c'era una volta" perché nessuna realtà può parlare al presente senza tener conto del passato, e ricordare. I ricordi sono il patrimonio che assicura agli uomini il futuro. E nei ricordi affonda la radice che nessuna vanga toglie dalla terra, perché alla terra tutti s'appartiene e nessuno come essa racconta chi e cosa siamo stati.»
Questo non è solo l'incipit del libro, ne è anche il sunto, l'estratto astratto, come diceva lo stesso anziano del cavallo pazzo.
E le storie di Gardilione, di Scarugi, della Cecchina e di tanti altri non sono solo i pretesti per strappare al lettore, sorrisi e sospiri. Non solo, lo ripeto.
Sono principalmente le praterie dove il cavallo pazzo desidera portarti affinché tu, lettore, forse solo per un secondo, senta dentro di te il tuo flusso personale, le tue storie.
È questo il potere della fiaba e dei racconti, che una volta si facevano davanti a del vino rosso, sulle vite degli avi. Sono principalmente le praterie dove il cavallo pazzo desidera portarti affinché tu, lettore, forse solo per un secondo, senta dentro di te il tuo flusso personale, le tue storie.
Gli occhi umidi, sbarrati, stupefatti di chi quei racconti ha ascoltato manifestano la nostra fame, tanto umana, di ricevere narrazioni e allo stesso tempo di sentirci parte di un tempo, di una storia, che ci attraversa e trascina lontano.
E questo Fabio Ivan Pigola lo sa, fin troppo bene. E sa che nessuno si volta indietro senza progettare un futuro.
E sa anche che ogni storia narrata comunica con quella di chi l'ascolta, la risveglia, la spolvera.
«Al di là della polvere ci sono le parole», vorrei dire a Fabio Ivan Pigola, se un antico demone non mi facesse sentire troppo piccolo per farlo.
E aggiungerei, avessi il coraggio di parlare ancora a questo mustang: «Portami lontano ancora, se c'è qualcuno di domato ora sono io, il lettore. Portami lontano ancora, a ricordare la mia storia.»
«Al di là della polvere ci sono le parole», vorrei dire a Fabio Ivan Pigola, se un antico demone non mi facesse sentire troppo piccolo per farlo.
E aggiungerei, avessi il coraggio di parlare ancora a questo mustang: «Portami lontano ancora, se c'è qualcuno di domato ora sono io, il lettore. Portami lontano ancora, a ricordare la mia storia.»
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