(Redazione) Lo spazio vuoto tra le lettere - 02 - La dinamica del silenzio in Claude Roy
di Sergio Daniele Donati
E poi, sì: c'è il Silenzio e la descrizione silenziosa del silenzio.
Il poeta lo sa: è all'interno di questo segmento del reale, i cui vertici appaiono guerrieri medievali in corazza e pronti alla tenzone, che il suo dire e il suo non dire devono muoversi.
E, più si pone la questione del proprio rapporto col silenzio, più il poeta trova nella via della parola diversi gradini del proprio nascondimento - dalla esplosione gioiosa di un ego esuberante fino alla più completa evanescenza.
Poetare è tanto dire della propria capacità di sparizione ai propri stessi occhi.
Anche come percorso psicologico scrivere poesia è spesso essenzialmente un processo di defogliazione, di decorticamento; una via fondata sulla demotivazione, sulla diluizione di un sentire personale nel flusso collettivo di parole che da millenni sostiene chi scrive.
Per questo scrivere poesia è essenzialmente un esercizio d'ascolto profondo, come una sorta di trascrizione di un dettato.
E chi sia il dettatore-dittatore non sono proprio in grado di dirlo.
Poi - è banale, ma va detto - scrivere poesia è anche tanto gioco di prestidigitazione; e non c'è prestigiatore che, prima di svanire in un puf fumoso, non avvisi i suoi spettatori con il suo: “Attenzione sto per svanire..meno tre, meno due, meno uno. Puf”.
Lo fa certo per creare suspense, ma anche perché da sempre ciò che svanisce, ciò che si rende assenza, ciò che manca, acquisisce maggior valore del manifesto agli occhi di chi osserva.
Anticipare la propria sparizione significa porre il lettore a contatto con il fenomeno della preziosità poetica dell'assenza.
Il poeta che svanisce è sempre un dio minore che si cela per creare uno spazio pneumatico di comunicazione col lettore.
O forse, il ritiro del Creatore dal Creato del settimo giorno è la prima espressione poetica dalla notte dei tempi e il poeta non fa che tentare una imitatio dei dai contorni drammatici.
Claude Roy - Immagine di repertorio |
Nella sua silloge Le pas du silence - suivi de Poèmes en amont (ed. Gallimard 1993) il tema del silenzio è sempre presente, anche se spesso sotteso.
E questo evidentemente rafforza il tema stesso.
L'evanescenza diviene "tema evanescente" in tutta la silloge, in altre parole.
«Pensée qui a peine se pense
la neige neige sur la neige
Entends-tu qui marchent pieds nus
s'approcher le pas du silence?» 1
Già in questo esordio troviamo molta della poetica di Claude Roy.
Il silenzio come stratificazione lenta, come richiamo all'ascolto, come inverno sono elementi dalla potenza dirompente che non possono non portare a un questionare - e questionarsi - denso di non detti; altra forma di evanescenza su cui molto si potrebbe dire. Il poeta si rivolge ad un altro da sé e si sente vibrare nella sua domanda finale un "anche tu" tanto potente quanto silenzioso.
Ché l'ascolto del Silenzio è una via minata di pericoli, il primo dei quali è sempre quello della solitudine dell'ascoltatore.
È questa assenza che mi pervade solo per me o condizione esistenziale di tutti?
E la nostalgia che crea un altro da sé che se ne va, che si cela è qualcosa di comunicabile a chi assiste vicino a noi allo stesso spettacolo?
Lo senti (anche tu), l'avanzare lento di qualcosa che si nasconde sotto stratificazioni nevose?
E, se non lo senti (anche tu) che cosa mai è questo mio sentire ciò che non esiste che per me?
Roy comincia qui poi la descrizione del silenzio attraverso la ripetizione.
Non so dire se il poeta ne fosse consapevole; certo è però che questo metodo di descrivere il silenzio è tipico del narrare biblico.
Il testo sacro è pieno di canti cantati, danze danzate, parole dette per dire (monito quest'ultimo a evitare la cattiva parola che è in primis quella che tutti usiamo per non dire). 2
Ogni volta che il testo biblico ci pone davanti a queste ripetizioni, a queste anafore dense, l'effetto è quello del silenzio, dell'attesa, dello stupore.
La ripetizione forte richiama l'altro da sé, non serve solo a mettere l'accento sul termine ripetuto.
E quell'altro è spesso veicolato dal silenzio.
La prova di questo è anche nel famoso passo dantesco di Paolo e Francesca (canto V - Inferno), forse l'anafora più conosciuta della letteratura italiana.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ’l poeta mi disse: "Che pense?".
La ripetizione di termini legati al registro amoroso, il tamburo battente che Dante sa creare attorno all'impellenza amorosa, gioca certamente, da un lato, un effetto di climax e potente accentuazione del termine ripetuto.
D'altro canto crea un effetto d'attesa di quell'altro dall'amore, di quel polo contrario all'amore capace di contrastarne la potenza - la morte; Thanatos e Eros, ancora una volta. Se non ci fosse stata un'anafora così potente, il richiamo alla morte avrebbe perso di valore.
E non per niente anche Dante di fronte all'accorata narrazione di Francesca che fa? Tace.
Ecco il silenzio creato dalla ripetizione.
Silenzio che può essere interrotto solo da un richiamo, una domanda della voce maestra di Virgilio.
Questo gioco tra ripetizione e silenzio si appalesa ancora di più nella poesia Neige/Vent/Silence della stessa silloge della precedente di Claude Roy (pag. 120).
In questa meravigliosa poesia non solo si reitera il binomio neve/silenzio, uno dei temi centrali della poetica di Claude Roy, ma lo stesso viene declinato in chiave nuova e inattesa.
La caduta dei fiocchi infatti è qui già silenzio volontario; fiato trattenuto.
E la neve è silenzio che cala su una landa in cui le narrazioni si fanno indifferenti, e il silenzio stesso è carezza e monito a non lacerare, strappare il cielo che diviene materia grigiastra e informe, assieme al mare.
Noi lettori siamo il vento e raccogliamo la narrazione di un mare che sa poetare come poetava Ungaretti, il quale, quando gli chiesero in una famosissima intervista che cosa fosse la poesia e perché si scrivano poesie rispose:
E non per niente anche Dante di fronte all'accorata narrazione di Francesca che fa? Tace.
Ecco il silenzio creato dalla ripetizione.
Silenzio che può essere interrotto solo da un richiamo, una domanda della voce maestra di Virgilio.
Questo gioco tra ripetizione e silenzio si appalesa ancora di più nella poesia Neige/Vent/Silence della stessa silloge della precedente di Claude Roy (pag. 120).
La lumière blanche de la neige
Le flocons tombent en retenant leur suffle
Il neige du silence
Le silence en silence caresse le silence
Le très noir corbeau lui-même
empêche son cri de déchirer le ciel
Si nous allons plus loin
sur le chemin de la lande
nous entenderons parler la mer indifférente
la vague histoire gris
qu'elle raconte au vent
En cette saison
le jour finit avant de commencer 3
La caduta dei fiocchi infatti è qui già silenzio volontario; fiato trattenuto.
E la neve è silenzio che cala su una landa in cui le narrazioni si fanno indifferenti, e il silenzio stesso è carezza e monito a non lacerare, strappare il cielo che diviene materia grigiastra e informe, assieme al mare.
Noi lettori siamo il vento e raccogliamo la narrazione di un mare che sa poetare come poetava Ungaretti, il quale, quando gli chiesero in una famosissima intervista che cosa fosse la poesia e perché si scrivano poesie rispose:
"Mah, si fa poesia (non so, lo sento) non pensandoci, perché occorre farla". 4
È la stessa necessità, la stessa occorrenza grigia e silenziosa del dire del mare al vento di Claude Roy.
La poesia di Roy cala come neve, annunciata da un silenzio sovrano e figlio della ripetizione dell'altro da sé.
La poesia di Claude Roy tace; fa tacere e mette all'ascolto supremo del nascondimento e dell'evanescenza, del creato e del tempo; di quel giorno (di quella luce, traducendo diversamente il verso finale), che finisce ancor prima di cominciare.
Pensiero appena pensato
la neve nevica sulla neve
li senti mentre camminano a piedi nudi
i passi del silenzio che si avvicinano?
(traduzione libera di Sergio Daniele Donati)
2
Per non dire si usi il silenzio non la parola che copre o, ancor peggio, che mente.
La poesia di Claude Roy tace; fa tacere e mette all'ascolto supremo del nascondimento e dell'evanescenza, del creato e del tempo; di quel giorno (di quella luce, traducendo diversamente il verso finale), che finisce ancor prima di cominciare.
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NOTE
1 Pensiero appena pensato
la neve nevica sulla neve
li senti mentre camminano a piedi nudi
i passi del silenzio che si avvicinano?
(traduzione libera di Sergio Daniele Donati)
2
Per non dire si usi il silenzio non la parola che copre o, ancor peggio, che mente.
“Non dire” sia sempre una scelta; la parola sia sempre una scelta.
3
La luce bianca della neve
I fiocchi cadono trattenendo il fiato
Nevica del silenzio
Il silenzio in silenzio carezza il silenzio
Lo stesso nerissimo corvo
Impedisce al suo grido
Di lacerare il cielo
Se andassimo più lontano
lungo la landa
sentiremmo parlare il mare indifferente
la vaga storia grigia
che racconta al vento
3
La luce bianca della neve
I fiocchi cadono trattenendo il fiato
Nevica del silenzio
Il silenzio in silenzio carezza il silenzio
Lo stesso nerissimo corvo
Impedisce al suo grido
Di lacerare il cielo
Se andassimo più lontano
lungo la landa
sentiremmo parlare il mare indifferente
la vaga storia grigia
che racconta al vento
In questa stagione
il giorno finisce prima di cominciare
il giorno finisce prima di cominciare
(traduzione libera di Sergio Daniele Donati)
4
Incontro con Giuseppe Ungaretti a cura di Ettore della Giovanna (1961)
Il video dell'intervista si può trovare facilmente anche su YouTube
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