That old slow blues

"Marea" di Sergio Daniele Donati

Mi sono immaginato per un momento
figlio d'un altra storia
in cui non ridevi
del mio batter sempre
sugli stessi tasti
e capivi che l'ultimo
accordo di settima minore
di un giro di blues
richiama sempre il primo;
in cui accettavi la feroce legge
che vuole che due suoni
siano identici
solo in teoria
- lo stesso tasto d'un piano, lo sai
è influenzato dal peso
del dito che lo percuote
e, non meno, dalla sua umidità.
Ma tu ridi,
perché non sei figlia dell'umido.
Per te il diverso
non ha mai nulla a che fare
con la ripetizione
- come se le stagioni,
diverse, sì, ogni volta,
non si ripetessero ogni anno.
Io però dell'umido sono ben figlio,
ho labbra rosse e gonfie
e la mia armonica
è piena della mia saliva,
i miei occhi colano
umidità salata quando tengo
un micro-secolo in più
l'ultima settima,
prima di tornare al primo accordo
- non commuovono anche te
gli ultimi caldi autunnali
prima dell'inverno?
E poi diciamolo,
io sono ebreo
e gli ebrei, anche quelli non credenti,
si concentrano dondolandosi;
un movimento consolatorio
di ritorno, verso il centro,
consolatorio e ripetitivo
- non commuove anche te
questo testo che da millenni
torna, come un'onda
sempre uguale, sì
- immutato e statico -
ma dentro ci giocano vivaci
migliaia di generazioni di bambini?
Noi figli dell'umido lo sappiamo:
il nuovo non è un altrove che strappa.
Nuovo è saper tornare
eretti dopo aver dondolato,
o mescolare la propria saliva
con il proprio fiato
su un'armonica che tiene quell'ultimo
accordo di settima
un attimo in più,
prima di tornare al primo.

Non ridi più?
Qualcosa s'è crepato sul tuo volto
e sembra che ne coli cera; calda
e umida.



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