Da Posthelthwaite al principe Alberico: Oscar Wilde visto da Vernon Lee (di Elisa Bizzotto)
(Tratto da Violet del Palmerino. Aspetti della cultura cosmopolita nel salotto di Vernon Lee: 1889-1935,
a cura di Serena Cenni, Sophie Geoffroy e Elisa Bizzotto,
Firenze: Consiglio Regionale della Toscana, 2014, pp. 153-174).
Fu in occasione di un party a Londra, nella casa di famiglia della poetessa Mary Robinson, amica e poi compagna di Vernon Lee, che la scrittrice incontrò per la prima volta Oscar Wilde, nel giugno 1881. Il salotto dei Robinson era frequentato dall’avanguardia artistica e intellettuale dell’epoca, il cosiddetto Victorian Bloomsbury Group, che annoverava importanti figure del Preraffaellitismo e dell’Estetismo come Ford Madox Brown, sua figlia Lucy con il marito William Michael Rossetti, William Sharp, William Allingham, Theodore Watts-Dunton, Edmund Gosse. Lee, reduce dall’esordio letterario dell’anno precedente con Studies of the Eighteenth Century in Italy, opera pionieristica su musica e teatro italiani del rococò e del neoclassico, fece dunque il proprio debutto negli ambienti culturalmente più avanzati della società inglese, ricevendone, come si vedrà, un’impressione indelebile.i
Stabilitasi a Firenze con la famiglia a diciassette anni nel 1873, dopo molto girovagare per l’Europa, Lee, la cui madre, gallese, era cresciuta in Giamaica e il cui padre aveva origini polacche, non poteva propriamente definirsi inglese, benché lo fosse per cittadinanza e lingua. Aveva anzi scarsa familiarità con la madrepatria, che stava visitando per la prima volta, se si eccettua una vacanza da bambina, nel 1862.ii
Anche Wilde era giunto in Inghilterra tardi, ventenne nel 1874, e dopo la laurea ad Oxford aveva fissato la propria residenza a Londra per consacrarsi alle lettere. Nel maggio del 1881, appena qualche mese dopo l’uscita di Studies of the Eighteenth Century in Italy e poco prima dell’arrivo di Lee in città, lo scrittore, già famoso come arguto conversatore e arbitro del nuovo gusto estetico, aveva pubblicato la sua prima opera Poems, accolta in modo discordante.iii
A testimonianza di quel primo incontro rimangono le impressioni acute e divertite di Lee, che in una lettera alla madre del 22 giugno 1881 delinea il collega con marcata ironia:
[…] the wonderful Oscar Wilde was brought up – the Posthlethwaite [sic] of Punch. I must send you a caricature of him. He talked a sort of lyrico-sarcastic maudlin cultschah for half an hour. But I think the creature is clever, & that a good half of his absurdities are mere laughing at people. The English don’t see that.iv
Una postilla giunse quattro giorni più tardi, quando Lee si rammaricò, sempre con la madre, di godere di scarsa fama in Inghilterra: i soli a conoscerla erano William Michael Rossetti e, per l’appunto, Wilde.v
Le parole della scrittrice consegnano di Wilde un’immagine ambivalente. Mentre da un lato lasciano trapelare sarcasmo verso le sue stravaganze e manie di protagonismo, suggeriscono dall’altro considerazione e il riconoscimento di una certa affinità. La stima professionale era probabilmente ricambiata, se si dà credito al fatto che Wilde conosceva – quasi unico tra gli esteti – l’opera di Lee. Margaret Stetz ha rilevato in effetti significative analogie tra i due scrittori, dovute alla loro estraneità alla cultura inglese:
Lee’s words to her mother hint at […] a connection rooted […] in a shared sense of foreignness, of un-Englishness or even anti-Englishness. Lee’s own cultural identity was pan-European, growing out of her greater experience in her youth with countries other than Britain. […] her performance as an English lady would always be a slightly alien role. What she responded to, in this early encounter with Wilde, was his undercurrent of Irish irony and his mockery of the English in general – a joke, as Lee implies, that his comic targets did not get, but that she, with her own sense of difference and distance from the English, could appreciate.vi
Questo senso di comunanza nella diversità si manifesterà più forte nell’ultima fase del rapporto tra Wilde e Lee, divenendo per costei motivo di profonda e originale ispirazione creativa.
Dopo l’incontro del 1881 seguirono anni di silenzio, nei quali entrambi riversarono grandi energie nella carriera. Tra il 1881 e il 1884 Lee pubblicò sei volumi – Belcaro, being Essays on Sundry Aesthetical Considerations nel 1881, The Prince of the Hundred Soups: A Puppet-Show in Narrative e Ottilie nel 1883, The Countess of Albany, Miss Brown e Euphorion nel 1884 – che ne confermarono la reputazione di giovane autrice colta e combattiva, senz’altro elitaria. Nello stesso periodo Wilde si rivelò autore prolifico, personaggio pubblico e opinionista che non esitava a farsi sentire riguardo alle questioni più disparate, sulla carta stampata o dal palco di seguitissime conferenze. Non furono però tanto gli impegni professionali ad allontanarli, quanto piuttosto il risentimento che nacque in Wilde, non unico tra i contemporanei, per il poco edificante ritratto che sotto un malcelato pseudonimo Lee gli aveva riservato nel romanzo Miss Brown, pubblicato alla fine del 1884. Si tratta di un roman à clef la cui trama scaturisce dall’incontro in Toscana tra Walter Hamlin, pittore-poeta preraffaellita ed estetizzante, e una domestica italo-scozzese, la diciannovenne Anne Brown. I tratti fisici atipici e la personalità ombrosa di Anne – androgina, statuaria, taciturna – ammaliano Hamlin, il quale decide di offrirle l’educazione migliore allo scopo di farne la sua musa e, se accetterà, sua moglie. Seguendo il percorso congegnato per lei, Anne si affrancherà dalle umili origini e dalla condizione di donna sottomessa, abbracciando tuttavia da ultimo un ruolo convenzionale nell’altrettanto convenzionale lieto fine.
Il racconto, piuttosto lineare, si snoda per molti capitoli. Troppi, in effetti, dal momento che Lee non aveva grandi doti di narratrice, e dopo le parti iniziali di ambientazione toscana – esempio della sua abilità nell’evocare il Genius loci –, il romanzo si fa piuttosto ripetitivo.vii
Si sottrae a questo giudizio la prima descrizione dei circoli estetici londinesi, nei quali Anne viene introdotta terminato il collegio, pronta per l’entrata in società. Il periodo di studio ha sviluppato in lei un notevole spirito critico, permettendole di scorgere gli aspetti fatui e inconsistenti delle nuove conoscenze, che pure la accolgono con entusiasmo. Inizia pertanto a disprezzare Hamlin, sempre più immerso in banali questioni estetiche oltre che nella torbida relazione con una misteriosa cugina russa. In un tentativo di compensazione, Anne decide di darsi alle cause sociali: una scelta tipicamente vittoriana che, da donna vittoriana, non esiterà ad abbandonare per redimere l’uomo che le ha reso possibile emanciparsi, e ciò a dispetto del fatto che Hamlin oramai la disgusti. Il romanzo si dissolve su Hamlin che, trionfante, abbraccia una Anne pietrificata eppure tornata a lui come angelo del focolare, secondo un paradigma poco consono a una scrittrice proto-femminista quale era Lee. D’altra parte, la chiusa del romanzo si presta ad essere letta come condanna ultima del Movimento Estetico e delle sue aspirazioni fallite, specie nella tessitura degli equilibri di genere e nell’accettazione delle alterità e delle posizioni dissenzienti.
La critica all’Estetismo è in effetti motivo portante in Miss Brown, soprattutto nei capitoli centrali, quelli che mostrano l’iniziazione di Anne al mondo londinese, mentre risulta più vaga nella cornice introduttiva, che pure si sofferma su una colonia toscana di colti espatriati anglosassoni votati alle arti. In un articolo fondativo della ricezione moderna di Lee, Leonée Ormond ha spiegato tale discrepanza ipotizzando una pausa nella stesura del romanzo durante la quale la scrittrice avrebbe ridefinito il proprio senso di appartenenza al Movimento Estetico, a cui aveva dedicato un’intera raccolta di saggi: Belcaro (1881), per giungere infine a sposare posizioni ad esso avverse:viii
Between 1881 and 1882, when she began the novel, and 1884, when she finished it, Vernon Lee evidently decided that aestheticism deserved more scathing treatment, and she continued her book in a quite different vein. On his return to London, Hamlin becomes a typical aesthete and not the sympathetic and disillusioned character through whom the first part of her story is told. We see him through Anne Brown's increasingly critical eyes. By this change of emphasis Vernon Lee was able to describe aesthetic London as it had first appeared to herself as a newcomer. Her ineptitude as a novelist seems to have been partly responsible for this sudden switch of viewpoint, but an increasingly neurotic attitude to the London scene also becomes evident.ix
Sull’argomento, a distanza di più di trent’anni, è tornata Vineta Colby, notando come in Belcaro Lee avesse abbracciato una forma di Estetismo troppo puro e radicale, assai distante dalla piega di sensualismo superficiale e di maniera che il Movimento avrebbe presto preso in Inghilterra e da lei necessariamente deplorato.x
Le conseguenze di tale presa di coscienza ricaddero non soltanto su Miss Brown ma, come si vedrà, anche su un altro suo racconto più tardo, seppure con effetti differenti. In entrambi i casi la figura di Wilde gioca un ruolo di primo piano.
Si accolga o meno la tesi di Colby, è innegabile che Miss Brown contiene attacchi diretti al Movimento Estetico, di cui raffigura, con epiteti di fantasia eppure molto allusivi, varie personalità di rilievo. Ciò accade per il vanitoso protagonista Walter Hamlin, al quale viene dato il nome di battesimo di Pater, maestro di Wilde e della stessa Lee, e di Hamilton, autore dell’importante The Aesthetic Movement in England (1882), di cui è quasi omonimo anche nel cognome. Hamlin, diviso nel talento tra le arti sorelle, colpisce inoltre come probabile traslazione letteraria di Dante Gabriel Rossetti, che Lee non apprezzava come pittore, secondo un’opinione estesa a tutto il Preraffaellismo figurativo che il romanzo non nasconde.xi
Anne Brown è un personaggio ancora più palesemente a chiave, che riproduce le caratteristiche fisiche e in parte la biografia di Jane Burden, moglie di William Morris, amante di D. G. Rossetti e sua indiscussa musa. La presentazione di Anne, nel secondo capitolo, si legge come ekphrasis pressoché immediata dei tanti ritratti pittorici che Rossetti dedicò a Jane:
She was very beautiful, and even more than beautiful – strange. She seemed very young […] but her face, though of perfectly smooth complexion, without furrow or faintest wrinkle, was wholly unyouthful; the look was not of age, for you could not imagine her ever growing old, but of a perfect negation of youth. […] The complexion was of a uniform opaque pallor, more like certain old marble than ivory; indeed you might almost imagine, as she sat motionless at the head of the table, that this was no living creature, but some sort of strange statue – cheek and chin and forehead of Parian marble, scarcely stained a dull red in the lips, and hair of dull wrought‐iron, and eyes of some mysterious greyish‐blue, slate‐tinted onyx: a beautiful and sombre idol of the heathen. And the features were stranger and more monumental even than the substance in which they seemed carved by some sharp chisel, delighting in gradual hollowing of cheek and eye, in sudden cutting of bold groove and cavity of nostril and lip. The forehead was high and narrow, the nose massive, heavy, with a slight droop that reminded Hamlin of the head of Antinous; the lips thick, and of curiously bold projection and curl; the faintly hollowed cheek subsided gradually into a neck round and erect like a tower, but set into the massive chest as some strong supple branch into a tree‐trunk. […] this strange type, neither Latin nor Greek, but with something of Jewish and something of Ethiopian subdued into a statuesque but most un‐Hellenic beauty […]. The nearest approach seemed to be certain mournful and sullen heads of Michaelangelo, the type was so monumental, and at the same time so picturesque; and as [Hamlin] looked at the girl, it seemed, despite its strangeness, as if, at some dim distant time, he had seen and known it well before. He looked at her with the curiosity of an artist examining a model, or a poet trying to solve a riddle […].xii
La descrizione del personaggio eponimo di Miss Brown come palinsesto sul quale si sovrappongono storie e culture trova un altro ipotesto, non figurativo ma letterario, nella Monna Lisa del saggio di Pater su Leonardo da Vinci (1867), famoso compendio delle femminilità maudites di oriente e occidente, come ha rilevato Kathy Alexis Psomiades. Nel passo appena citato, Psomiades ha inoltre fatto risaltare una fitta rete di riferimenti intertestuali e interartistici meno facilmente identificabili, ma sempre riconducibili alla cultura di fine secolo:
[Anne] […] is described in the language of Morris’s “In Praise of My Lady” and D. G. Rossetti’s “The Song of the Bower”; she clearly resembles paintings like Proserpine and Astarte Syriaca, in which Rossetti, painting from Jane Morris, makes the female figure towering and monumental; and she contains races, genders, historical periods, and mythological figures with the same case as Pater’s Mona Lisa. Furthermore, her last name is the same as that of du Maurier’s most famous female aesthete, who also, coincidentally, resembles Rossetti’s late paintings: Mrs. Cimabue Brown. She is thus also a copy of a copy, an imitation of a woman who imitates aestheticist painting.xiii
Copia di una copia, Anne esemplifica la tendenza di Lee a saccheggiare in maniera sistematica l’arte e la letteratura dell’Estetismo, nell’incapacità di un autentico slancio creativo.
La declinazione della donna fatale estetico-decadente nel personaggio di Anne risulta tuttavia limitata alla parte iniziale del romanzo – forse ad avvalorare l’ipotesi di una stesura in due fasi di Miss Brown –, mentre nel prosieguo la sua caratterizzazione appare più improntata al topos di Cenerentola, al quale ancora rimanda la vicenda di Jane Morris. Come accadde a diversi artisti dell’epoca – D. G. Rossetti, Ford Madox Brown, George Frederick Watts, Frederick Shields – Morris aveva sposato una donna di classe inferiore assumendosi il compito di elevarla intellettualmente. Nel rapporto tra Hamlin e Anne, Lee mette in luce le tante disparità di queste relazioni, implicando, non tanto tra le righe, che nella tradizione dominante dell’Estetismo le donne apparivano principalmente come soggetti passivi. Conseguenza della denuncia degli squilibri di genere nel Preraffaellismo fu l’interruzione definitiva dei contatti tra i Morris e Lee.xiv
Come si diceva, anche Wilde appare perfettamente riconoscibile nel romanzo, essendo trasposto in una figura caricaturale il cui nome aggiunge semplicemente un’acca – da “Postlethwaite” a “Posthlethwaite” – all’appellativo con cui George du Maurier l’aveva rappresentato nelle strisce satiriche realizzate qualche anno prima per la rivista Punch. Al pari del Jellaby Postlethwaite di Punch, il suo quasi omonimo in Miss Brown è un poeta che esprime il fascino misto ad ansia con cui il pubblico vittoriano medio recepiva l’Estetismo. Se tuttavia il pungente ritratto di du Maurier solleticò la vanità di Wilde, che seppe sfruttarlo per aumentare la propria fama, egli non accettò altrettanto di buon grado la satira di Lee, arrivando a troncare con lei ogni rapporto.xv
Ma come appare e che ruolo ha Posthlethwaite in Miss Brown? Il poeta, di chiara scuola estetica, viene nominato per la prima volta dalla compassata zia di Walter Hamlin, e tutrice di Anne, Mrs. Macgregor, quando informa la ragazza circa la natura bizzarra degli amici del nipote:
Oh, you’ll find it a queer world, the world of Watty’s friends. Do you ever see ‘Punch’? That’s the sort of thing. They’re all great beauties and great painters and great poets, every man and woman of them. Wait till you see little Chough and young Posthlethwaite (I forget his real name).xvi
Per il momento Posthlethwaite rimane un nome, alla stregua di “little Chough”, altro poeta alla moda e suo rivale nella composizione di versi sconvenienti, probabilmente ricalcato sulle figure di Alfred O'Shaughnessy o Algernon Charles Swinburne. Posthlethwaite si palesa fisicamente nel capitolo successivo (il quarto del quarto libro), definito da Ormond “perhaps the best short introduction to the aesthetic movement ever written”.xvii La sua entrata in scena avviene durante un ricevimento a casa di Mrs. Argiropoulo, moglie di un ricco mecenate greco forse ispirato al collezionista Alexander Constantine Ionides (1810-90) o a suo figlio Constantine Alexander Ionides (1833-1900). Nel corso della serata, che richiama alla mente le circostanze del primo incontro tra Lee e Wilde a casa dei Robinson, Posthlethwaite è l’indiscusso protagonista, né fa nulla per mantenere un basso profilo:
Posthlethwaite, whom [Miss Brown] had met several times before, was elbowing his unwieldy person – a Japanese lily bobbing out of the buttonhole of his ancestral dress-coat – towards her. He had scarcely begun a description of a picture which he had just seen, representing Aphrodite tripping with pink little feet across the dimpled sea sands, when Mrs. Argiropoulo came up with several gentlemen about her, whom she began rapidly to introduce to Anne […]. Posthlethwaite, who was not the person to be ousted, propped his elephantine person against the end of the piano, and leaning down his flabby flat-cheeked face and mop of tow, continued conversing with Miss Brown, regardless of the newcomers, who exchanged smiles as they listened to him […].xviii
Persino in un romanzo molto caustico nei confronti dell’Estetismo, che estende gli attacchi ad alcune sue manifestazioni accessorie o a correnti di pensiero ad esso solo tangenzialmente associabili (nichilismo, Hegelismo, positivismo, socialismo/fabianesimo, proto-femminismo, spiritualismo), questo passo presenta Posthlethwaite come principale bersaglio critico, assegnando di conseguenza a Wilde la supremazia nel Movimento. Benché sia caratterizzato come poco perspicace e assai noioso, tratti che raramente gli furono e sono conferiti, Lee rende riconoscibilissimo Wilde in Posthlethwaite non solo attraverso il nome, che evoca il suo alter ego in Punch, ma anche per i riferimenti al fisico massiccio, al volto flaccido, al caschetto biondastro, al giglio giapponese all’occhiello, all’abbigliamento dandistico. Anche il linguaggio usato per presentare Posthlethwaite, chiara parodia delle maniacali ricercatezze stilistiche dell’Estetismo – si veda, ad esempio, l’uso dell’aggettivo “ancestral” –, rimanda a Wilde riducendone a farsa gli atteggiamenti e la filosofia. Al party il personaggio rivela ed esaspera altre pose Wildiane, come quando risponde credendo d’interpretare i sentimenti generali, o quando tributa ad Anne un aforisma tanto altisonante quanto banale: “‘Tis the body of a goddess; we must give it the soul of a woman’”.xix
L’impressione che se ne ricava è quella di mancanza di problematizzazione del pensiero di Wilde, che Lee sembra recepire riflettendo il punto di vista dell’opinione pubblica media vittoriana da lei tanto aborrita.
Evidente sottotesto nella descrizione di Posthlethwaite non sono soltanto i cartoons di du Maurier su Punch, ma anche l’operetta comica di W. S. Gilbert e Arthur Sullivan Patience, la cui prima si tenne a Londra il 23 aprile 1881 e che Lee vide rappresentata ad Oxford qualche tempo dopo, proprio durante il soggiorno in Inghilterra in cui conobbe Wilde.xx
Patience faceva il verso alle più tipiche affettazioni stilistiche e letterarie dell’Estetismo – l’uso di arcaismi, di rime insolite, del refrain –, ma prendeva ancora più chiaramente di mira le pose sociali degli esteti. Tutto ciò avveniva in maniera ben più articolata e allusiva che in Miss Brown, dove la parodia non scaturisce da una sofisticata ricerca narratologica, né mostra originalità o autentica vis comica. Ciò potrebbe spiegare perché Wilde, tutt’altro che risentito della satira di Punch e Patience, non apprezzasse il romanzo di Lee: la sua reazione non dipese solo dal fatto che la satira proveniva da una donna, come ha sostenuto Stetz,xxi ma anche dal fatto che appariva troppo diretta e scontata. Proprio in quanto tale, inoltre, quella satira non era stata generalmente apprezzata dai contemporanei e poco poteva rendergli in termini di ritorno di popolarità.
L’intento denigratorio nei confronti di Wilde e della sua interpretazione dell’Estetismo prosegue, appena attenuato, nella successiva e ultima occasione in cui Posthlethwaite è nominato nel romanzo. In un dialogo con Anne, Richard Brown, suo cugino e spasimante, uomo dalle vedute progressiste solo in superficie, le spiega: “Hegel’s aesthetics are not – well – not Posthlethwaite’s aesthetics”.xxii
Questa diminutio del pensiero Wildiano, in realtà fondato su solide basi filosofiche che avrebbero portato a concepire un’opera intellettualmente complessa come Intentions (1891),xxiii mostra come la ricezione contemporanea dello scrittore, anche da parte di una profonda conoscitrice delle dottrine estetiche come Lee, si concentrasse sulle peculiarità, i vezzi, gli artifici piuttosto che sulle idee sostanziali di una poetica all’epoca in fase di iniziale ma solida definizione. Non era dunque soltanto la cultura vittoriana mainstream a fraintenderlo e ridicolizzarlo.
Benché Miss Brown non contenga altri riferimenti a Posthlethwaite, il sarcasmo nei confronti di Wilde nel romanzo sembra continuare, in maniera più mediata e sofisticata, pur in assenza del suo alter ego narrativo. Ciò accade attraverso l’introduzione della figura del villain nel personaggio di Madame Sacha Elaguine, la cugina russa e amante di Hamlin, vittima di conclamati sintomi isterici.xxiv Sacha, che si declina sul modello delle donne fatali di molta arte di fine secolo: una galleria alla quale Wilde stesso avrebbe contribuito nel giro di qualche anno con Salomè, vive vicende affini a quelle proposte nella prima opera teatrale dello scrittore, la poco nota Vera; or the Nihilists (1880).
La tragedia, che inscena l’amore disperato tra la rivoluzionaria Vera e Alexis (lo zarevic sotto mentite spoglie), prendeva le mosse dal clima di accoglienza che negli anni Ottanta si respirava in certi ambiti della cultura inglese nei confronti dei nichilisti, strenui oppositori dei Romanov.xxv L’apertura nei loro confronti, tuttavia, si dimostrò solo parziale, tanto che a bloccare la rappresentazione del dramma wildiano a Londra intervennero ragioni politiche, oltre che economiche.xxvi La prima di Vera si tenne quindi a New York il 20 agosto 1883, con Wilde tra il pubblico, ma si rivelò un fiasco, al punto che la tragedia venne ritirata dalle scene cittadine dopo una sola settimana. Come indicano alcune lettere che Wilde e Constance Lloyd si scambiarono in quel periodo, poco prima del loro fidanzamento, lo scrittore ne soffrì profondamente.xxvii
Sacha Elaguine condivide con il personaggio di Vera le origini e il vincolo equivoco con un gruppo di nichilisti russi, che l’hanno seguita in Inghilterra e dai quali la donna, evidente mitomane, si sente minacciata. Comune alla tragedia di Wilde è inoltre, secondo Barbara Arnett Melchiori, la tendenza in Lee a trattare il pensiero nichilista con una certa superficialità e, ciò nonostante, il fatto che non fosse estranea alle cerchie dei rifugiati politici [non solo nichilisti] che avevano trovato a Londra un luogo di approdo nei primi anni Ottanta dell’Ottocento.xxviii
Anche per queste ragioni la figura di Sacha invita a leggere la ricezione di Wilde da parte di Lee come critica irridente ma poco inventiva. Il facile melodramma che pervade Vera diviene il bersaglio della sottotrama russa in Miss Brown, in cui esso appare smaccatamente amplificato nella vita amorosa promiscua di Sacha e nella sua fobia paranoide verso i nichilisti, al punto che Arnett Melchiori osserva come, paragonata al personaggio di Sacha, persino l’improbabile Vera wildiana risulti quasi credibile.xxix Il risultato è il dileggio, in Miss Brown, non solo del troppo marcato sentimentalismo della tragedia di Wilde, ma anche dei contenuti politicamente sovversivi che ne avevano impedito la rappresentazione londinese.
È dunque ragionevole supporre che non fosse semplicemente il suo ritratto poco lusinghiero in Miss Brown a indurre Wilde ad evitare ogni rapporto con Lee a seguito della pubblicazione dell’opera, ma anche la parodia che il romanzo fa di Vera, il cui fallimento aveva lasciato in lui una ferita aperta. Se fino ad allora i rapporti tra Wilde e Lee non si potevano dire confidenziali, essi erano comunque improntati al rispetto e alla cordialità, come si ricava da alcune lettere. Il 3 giugno 1884, durante la luna di miele a Parigi, Constance Wilde scrisse al fratello Otho Holland Lloyd di una cena che si accingeva ad organizzare e alla quale avrebbe invitato John Singer Sargent, carissimo amico d’infanzia di Lee, e Paul Bourget, che sarebbe divenuto grande amico della scrittrice negli anni a venire, mostrando così di frequentarne gli stessi ambienti:
Tomorrow we are giving a dinner-party and as everything is sure to go right in a hotel I am rather looking forward to it. Miss Ruebell, Mr Sargent (an American artist), Mr Donoghue and M. Bourget, a French critic, that is the party: I don’t know yet whether the latter is coming.xxx
Prova della familiarità di entrambi con certi circoli artistico-letterari giunge da una lettera alla madre dell’8 giugno dello stesso anno nella quale Lee si lamenta di un mancato incontro con Oscar e Constance:
Mrs Barstow and I lunched at John [Sargent]’s house. Had we announced ourselves the previous day we should have the honour of lunching with Paul Bourget and Oscar Wilde and his bride, of whom Bourget says, ‘Jaime cette femme– j’aime la femme annulée et tendre’.xxxi
A dispetto di queste premesse incoraggianti, dopo l’uscita di Miss Brown, nessuna menzione reciproca compare più nelle carte di Wilde e di Lee.
I loro contatti ripresero solo dieci anni più tardi, nel 1894. All’epoca Wilde aveva deciso di trasferirsi temporaneamente sul continente per evitare il marchese di Queensberry, sempre più irritato dal rapporto che lo scrittore intratteneva con suo figlio Lord Alfred Douglas. Si recò dunque a Parigi e poi a Firenze, dove soggiornò dal 27 aprile al 6 maggio e fu spesso ospite della colonia anglo-americana locale, di cui faceva parte Mary Smith Costelloe, futura moglie di Bernard Berenson. Il 19 maggio Wilde accompagnò Mary in una delle frequenti visite a Vernon Lee e alla sua famiglia nella Villa Il Palmerino, alle pendici di Fiesole.xxxii
Più che dalla volontà di incontrare la scrittrice, tuttavia, la sua presenza fu dettata dal desiderio di conoscerne il fratello, il poeta Eugene Lee-Hamilton, del quale si professava grande ammiratore.xxxiii Nondimeno, Costelloe racconta che Wilde e Lee finirono per superare i passati rancori e apprezzare la reciproca compagnia:
Oscar talked like an angel, and they all fell in love with him – even Vernon, who hated him almost as bitterly as he had hated her. He, on his part, was charmed with her … when he met her he found her restless and self-assertive. But yesterday he admitted that she had grown less strenuous. xxxiv
La riconciliazione è confermata da un incontro fortuito avvenuto a Piccadilly quello stesso anno, durante il consueto soggiorno estivo di Lee in Inghilterra, allorché Wilde le si avvicinò per salutarla, come riporta Peter Gunn:
Oscar Wilde was not one to harbour long resentments, but he does not appear to have met Vernon Lee again until July 1894, a few weeks before rumours of his having ‘got into hot water’ (her own expression) were rife in England. He stopped her in Piccadilly and asked warmly after Eugene, and took down his address to send him a book. ‘I think he is quite kind. Whatever else he may be’.xxxv
Se prestiamo fede a Gunn, Lee fu favorevolmente impressionata da Wilde e mostrò di coglierne la vera natura, senza curarsi delle voci che già circolavano su di lui.
Purtroppo, però, il riavvicinamento iniziato con la visita al Palmerino e proseguito con lo scambio di battute a Piccadilly non ebbe seguito. Meno di un anno dopo, la vita di Wilde subì quel radicale cambiamento che lo costrinse ad affrontare tre processi e la condanna a due anni di prigione. Una volta libero, egli abbandonò per sempre l’Inghilterra alternando soggiorni in Francia e in Italia, fino a che nel maggio del 1900 decise di stabilirsi a Parigi, dove morì in capo a sei mesi.
Nonostante l’assenza di contatti successivi al 1894, pare che Lee trovasse ugualmente il modo di esprimere a Wilde solidarietà e stima attraverso canali originali, con maggiore consapevolezza e partecipazione che mai in passato. Stetz ha ritenuto infatti che il racconto di Lee “Prince Alberic and the Snake Lady”, pubblicato nel 1896 mentre Wilde stava scontando la pena nel carcere di Reading, possa essere letto come affermazione velata ma ferma del sostegno che gli tributava proprio mentre veniva ripudiato da molti artisti e intellettuali. Secondo Stetz “Prince Alberic and the Snake Lady” è un testo dalle ascendenze retorico-stilistiche e tematiche wildiane, rintracciabili ad esempio nella denominazione del setting del racconto, l’immaginario Ducato di Luna, che richiama il simbolo centrale di Salomè (1893), l’opera più controversa e scandalosa di Wilde, spesso interpretata come diffusamente autobiografica. Proprio la presenza ossessiva della luna in Salomè può leggersi infatti come trasposizione simbolica dell’autore, secondo un’idea sostenuta fin dalla primissima ricezione del testo grazie alla china dal titolo “The Woman in the Moon” che Aubrey Beardsley realizzò per l’edizione illustrata della tragedia nel 1894. Nel disegno, che riprende la scena iniziale di Salomè, la luna che domina il paesaggio riproduce palesemente il volto di Wilde.xxxvi
Per sostenere Wilde nel momento più buio, Lee potrebbe dunque avere concepito un testo che gli rendeva – per quanto obliquamente – omaggio come artista, intellettuale moderno e rappresentante dello spirito del tempo all’interno della “queer comradeship of outlawed thought”: una comunità di dissidenti dal punto di vista ideologico, culturale e sessuale da lei stessa delineata in un articolo del 1896, contemporaneo quindi a “Prince Alberic and the Snake Lady”, e che Richard Dellamora ha interpetato come attacco ai detrattori dello scrittore all’epoca della sua prigionia.xxxvii Narrando in “Prince Alberic and the Snake Lady” di un amore fortemente osteggiato e condannato alla clandestinità, Lee denunciava l’ingiusta detenzione di Wilde per avere infranto i codici sociali e morali vittoriani nella sua relazione con Douglas. L’indiretto sostegno all’artista troverebbe conferma nel fatto che Lee aveva scelto di destinare tra i suoi racconti soltanto “Prince Alberic and the Snake Lady” alla pubblicazione su The Yellow Book, la rivista più direttamente associata alla controcultura di fine secolo e allo stesso Wilde all’apice dello scandalo che lo coinvolse. Quando fu arrestato, nell’aprile del 1895, Wilde stava infatti leggendo un libro dalla copertina gialla che per errore fu identificato con il periodico, scatenando una campagna mediatica diffamatoria dalla quale la rivista, com’ebbe a dire il suo direttore John Lane, uscì “uccisa”.xxxviii
Altre considerazioni, pur da lei non rilevate, accreditano la lettura di Stetz. Oltre a sviluppare un ben distinto immaginario Wildiano, infatti, “Prince Alberic and the Snake Lady” propone nella figura centrale e fortemente metaforica della Donna Serpente una sorta di doppio di Wilde. Sfavillante e trasgressiva, la Donna Serpente è rifiutata dall’establishment rappresentato dal vecchio duca, nonno di Alberico, incarnazione del potere più bieco nonché figura molto simile al famigerato marchese di Queensberry, al quale l’accomuna anche il rifiuto della natura poco ortodossa dell’amore del suo giovane erede. Per soffocare questo sentimento, l’unica soluzione che il duca riesce ad escogitare, proprio come nel caso di Wilde, è quella di incarcerare l’amante del nipote.
È possibile, d’altra parte, identificare Wilde con Alberico, rinchiuso in una squallida cella di stato per le sue scelte amorose non normative e morto in solitudine senza mai rinnegare il proprio percorso. Così viene delineato il principe negli ultimi giorni di vita, a conclusione del racconto:
Alberic […] had grown very thin, and his garments were inexpressibly threadbare. But he was spotlessly neat, his lace band was perfectly folded, his beautiful blond hair flowed in exquisite curls about his pale face, and his whole aspect was serene and even cheerful. He […] was of consummate beauty and stature.xxxix
Balza subito agli occhi la netta discrepanza tra questo ritratto di Alberico, silenzioso, pieno di dignità, elegante e impeccabile, dai riccioli biondi, esile fino alla rarefazione, e quello del logorroico, inopportuno ed esuberante Posthlethwaite, dai capelli giallastri e spettinati, ponderosamente goffo. Se si ammette che le due ekphraseis si riferiscono a Wilde e riportano la percezione che Lee ebbe di lui in momenti distanti della sua carriera, sembra chiaro che, nella seconda, Wilde appare trasfigurato, quasi santificato. Lontanissimo dalla condanna caricaturale delle vacuità e dei mali del Movimento Estetico, lo scrittore viene presentato come suo asceta e martire: è una figura cristologica che espia e redime l’involuzione, o il tradimento, subiti dagli ideali del primo Estetismo e a suo tempo stigmatizzati in Miss Brown. Attraverso quest’immagine di Alberico, Lee sembra anticipare la consacrazione postmoderna di Wilde quale figura dissidente, rappresentante della “queer comradeship of outlawed thought”. Visto da tale prospettiva, il principe Alberico prepara la strada al Saint Oscar di Terry Eagleton.
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BREVI NOTE BIO-BIBLIOGARFICHE:Elisa Bizzotto insegna letteratura inglese all'Università Iuav di Venezia.
Studiosa della fine secolo, dell'estetismo e del decadentismo, privilegia
approcci interartistici e transculturali, studi sul genere letterario e
sulla ricezione di autori e autrici inglesi e irlandesi in Italia. Ha
pubblicato volumi sul ritratto immaginario, su Walter Pater e sulla rivista
preraffaellita *The Germ*. Ha curato o co-curato volumi su Walter Pater,
Vernon Lee, Arthur Symons e Mario Praz. Fa parte del comitato editoriale di
varie riviste accademiche e del comitato scientifico del CUSVE - Centro
Universitario Studi Vittoriani e Edoardiani dell'Università di
Chieti-Pescara. E' *officer *della International Walter Pater Society e
socia fondatrice della Italian Oscar Wilde Society.
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NOTE:
i Per altri dettagli sull’incontro si rimanda a Ormond, Leonée. “Vernon Lee as a Critic of Aestheticism in Miss Brown”, in The Colby Quarterly, vol. 9, issue 3 (September 1970), pp. 131-54, pp. 134-135.
ii Sul rapporto complesso di Lee con l’Inghilterra si veda Colby, Vineta. Vernon Lee: A Literary Biography. Charlottesville, London: University of Virginia Press, 2003, pp. 262-264; per una sua cronologia biografica essenziale si veda Maxwell, Catherine and Pulham, Patricia (eds). “Vernon Lee: A Brief Chronology”, in Lee, Vernon. Hauntings and Other Fantastic Tales. Eds. Catherine Maxwell and Patricia Pulham. Toronto: Broadview editions, 2006, pp. 29-31.
iii Ellmann, Richard. Oscar Wilde. London: Hamish Hamilton, 1987, pp. 131-132 e 138-141.
iv Lee, Vernon. Vernon Lee’s Letters. Ed. with an Introduction by Irene Cooper Willis. London: Privately Printed, 1937, pp. 64-65. Si veda inoltre Gunn, Peter. Vernon Lee Violet Paget: 1856-1935. London: Oxford University Press, 1964, p. 78.
Lee, Vernon. Vernon Lee’s Letters. Cit., p. 66.
v Ivi.
vi Stetz, Margaret. “The Snake Lady and the Bruised Bodley Head: Vernon Lee and Oscar Wilde in the Yellow Book”, in Maxwell, Catherine and Pulham, Patricia (eds). Vernon Lee: Decadence, Ethics, Aesthetics. Basingstoke: Palgrave Macmillan, 2006, pp. 112-122, p. 114.
vii Rileva Ormond: “Repetition is one of the novel’s chief weaknesses, and there are far too many word-portraits of Anne Brown, each of them underlining the same qualities. She is tall, apparently selfabsorbed, and ‘strange’: ‘large wide-opened eyes of strange dark-greyish blue, beneath heavy masses of dark lustreless hair, crimped naturally like so much delicate black iron wire, on her narrow white brow’” (Cit., p. 147). Sui limiti di Lee come romanziera si rimanda anche a Colby. Cit., p. 39.
viii Sull’iniziale sostegno convinto di Lee all’Estetismo si veda Bizzotto, Elisa. “Pater as Intellectual Herald of British Decadence”, in RSV. Rivista di Studi Vittoriani, Anno XV-XVI (Luglio 2010-Gennaio 2011), pp. 83-103, pp. 85-86 e 90.
ix Ormond, Leonée. Cit., pp. 137-138.
x Colby, Vineta. Cit., p. 80 e p.102.
xi Per Lee su Rossetti si veda Ormond, Leonée. Cit., pp. 149-150. Va tuttavia notato che, nonostante il mancato apprezzamento del Preraffaellitismo, la scrittrice ebbe un ruolo primario nella sua diffusione in Italia, come spiega Giuliana Pieri (Pieri, Giuliana. The Influence of Pre-Raphaelitism on Fin de siècle Italy: Art, Beauty, and Culture. Oxford: Maney, 2007, pp. 33-36).
xii Lee, Vernon. Miss Brown. Doylestown, Pennsylvania: Wildside Press, 2004, pp. 18-19.
xiii Psomiades, Kathy Alexis. Beauty’s Body: Femininity and Representation in British Aestheticism. Stanford: Stanford University Press, 1997, p. 166.
xiv Gunn, Peter. Cit., p. 108; Ormond, Leonée. Cit., p. 148.
xv Stetz, Margaret. Cit., p. 114 e Colby, Vineta. Cit., p. 106.
xvi Lee, Vernon. Miss Brown. Cit., p. 132.
xvii Ormond, Leonée. Cit., p. 140.
xviii Lee, Vernon. Miss Brown. Cit., p. 154.
xix Ibid., p. 156.
xx Gunn, Peter. Cit., p. 79.
xxi Stetz, Margaret. Cit., p. 114.
xxii Lee, Vernon. Miss Brown. Cit., p. 257.
xxiii Sulla cultura filosofica di Wilde si vedano Smith, Philip E. II and Helfand, Michael S. (eds). Oscar Wilde’s Oxford Notebooks: A Portrait of Mind in the Making. New York, Oxford: Oxford University Press, 1989; Prewitt Brown, Julia. Cosmopolitan Criticism: Oscar Wilde’s Philosophy of Art. Charlottesville, London: The University Press of Virginia, 1997, e Becker-Leckrone, Megan. “Oscar Wilde (1854-1900): Aesthetics and Criticism”, in Wolfreys, Julian, Ruth Robbins, Kenneth Womack (eds). The Continuum Encyclopedia of Modern Criticism and Theory. New York: Continuum Press, 2002, pp. 658-665.
xxiv Per Sacha Elaguine come trasposizione di personaggi reali si veda Gunn, Peter. Cit., p. 109; per i suoi atteggiamenti isterici e la derivazione dal tipo della “madwoman-in-the attic” si rimanda a Marucci, Franco. “Miss Brown e il preraffaellismo 'maudit' di Vernon Lee”, in Cenni, Serena e Bizzotto, Elisa (a cura di). Dalla stanza accanto: Vernon Lee e Firenze settant’anni dopo. Firenze: Consiglio Regionale della Toscana, 2006, pp. 186-194, pp. 188-189.
xxv Arnett Melchiori, Barbara. Terrorism in the Late Victorian Novel. London, Sydney, Dover: Croom Helm, 1985, p. 151.
xxvi Merlin Holland spiega: “Wilde’s revolutionary drama Vera had been scheduled for production in London shortly before he left [for the States], but partly for political reasons – the American President [James A. Garfield] and the Russian Czar had been assassinated in 1881 – and partly through lack of funds, it was cancelled. Once across the Atlantic, though, he felt its republican sentiments would have greater appeal in America where it was eventually produced to savage criticism in August 1883” (Oscar Wilde: A Life in Letters. Ed. Merlin Holland. London, New York: Fourth Estate, 1988, p. 58n). Il sospetto con il quale l’establishment politico tardo-vittoriano guardava ai nichilisti russi, ritenuti responsabili dell’assassinio dello zar Alessandro II nel 1881, è testimoniato da Hansard’s Parliamentary Debates, 3 ser., vol. 259, London, 1881, Sp. 1247/1248.
xxvii Ellmann, Richard. Cit., pp. 227-230.
xxviii Arnett Melchiori, Barbara. Cit., p. 158. Secondo Seth Kove, Lee frequentava a Londra gruppi che includevano “the Salvation Army, the Fabian Society, and the Fellowship of the New Life, […] the Socialist League, the Social Democratic Federation, and Exiled Russian Nihilists” (Kove, Seth. Slumming: Sexual and Social Politics in Victorian London. Princeton: Princeton University Press, 2004, p. 208).
xxix Arnett Melchiori, Barbara. Cit., p. 158.
xxx Wilde, Oscar. The Letters of Oscar Wilde. Ed. Rupert Hart-Davis. London: Rupert Hart-Davis 1962, p. 157. Si veda inoltre Smith, Gordon W. “Letters from Paul Bourget to Vernon Lee”, in The Colby Library Quarterly, vol. 3, issue 15 (August 1954), pp. 237-244.
xxxi Lee, Vernon. Vernon Lee’s Letters. Cit., p. 143. Riferimenti a questa lettera sono presenti anche in The Letters of Oscar Wilde. Cit., pp. 157-158n e in Ellmann, Richard. Cit., pp. 237 e 569 nota 34. Sull’amicizia di Lee con Sargent si veda Ormond, Richard. “John Singer Sargent and Vernon Lee”, in The Colby Library Quarterly, vol. 9, issue 3 (September 1970), pp. 154-178.
xxxii Ellmann, Richard. Cit., p. 395 e nota.
xxxiii Colby, Vineta. Cit., p. 106.
xxxiv Berenson, Mary. Mary Berenson: A Self-Portrait from Her Letters and Diaries. Eds. Barbara Strachey and Jayne Samuels. London: Victor Gollancz, 1983, p. 56.
xxxv Gunn, Peter. Cit., p. 109.
xxxvi Per un attento studio contestuale delle illustrazioni realizzate da Beardsley, si veda Domenichelli, Mario. “Wilde e Beardsley: ‘Salomé’”, in L’asino di B., 5 (2001), pp. 13-58; per l’interpretazione dei vari ritratti di Wilde nelle stesse, si veda Zatlin, Linda. “Wilde, Beardsley, and the Making of Salome”, in The Journal of Victorian Culture, 5, 2 (November 2000), pp. 341-357.
xxxvii La frase di Lee è tratta dalla sua recensione alla traduzione inglese di Degenerazione di Max Nordau (1892). Cfr. Lee, Vernon. “Deterioration of the Soul”, in Fortnightly Review, 59 (June 1896), pp. 928-943). Si veda anche Dellamora, Richard. “Productive Decadence: ‘The Queer Comradeship of Outlawed Thought’, Vernon Lee, Max Nordau, and Oscar Wilde”, in New Literary History, 35 (2005), pp. 529-546.
xxxviii Hyde, H. Montgomery (ed). The Trials of Oscar Wilde. New York: Dover Publications, 1973, p. 154n.
xxxix Lee, Vernon. “Prince Alberic and the Snake Lady”, in Hauntings and Other Fantastic Tales. Cit., pp. 225-226.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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