Parole (per evitare il sogno)
Testa di uomo - Museo archeologico di Atene Foto di Sergio Daniele Donati |
Tempo: ossessivo compulsivo
E svegliarsi da un sonno profondo, alle 4.50 del mattino, con la calma consapevolezza che tutto ciò che in tre anni si è detto e scritto e immaginato, o anche solo pensato - con un un pensiero lento e testardo; da montanaro - per evitare quel sogno, sia stato ormai e davvero detto o scritto o immaginato, o anche solo pensato - con un pensiero lento e testardo; da montanaro.
Milioni di parole dette, scritte, immaginate o pensate, lentamente, come un montanaro.
E ti accendi un'immaginaria sigaretta - sono ormai tre mesi che non fumi - e ne aspiri piano il fumo fatto di niente e ripercorri nella mente quel sogno e tutte le cose che, testardo e lento come un montanaro, hai detto e scritto e immaginato, o anche solo pensato; per non farlo.
E ti dici che poi è così semplice, di un'allarmante e banale semplicità, accettare che spesso si usa la parola per evitare il sogno o il silenzio o, ancor peggio, quell'unico sogno che ti parla di silenzio.
Atto secondoTempo: andante meditativo
Poi ripercorri quelle tonnellate di parole, quel fiume senza requie, e rivedi i volti di coloro che ne hanno ascoltato i rivoli.
Li rivedi uno ad uno.
Sono sacri.
Loro - non tu che le pronunciavi - hanno colto in quelle tonnellate di parole sconnesse, disarticolate e disunite i semi del silenzio che a te stesso stavi cercando di nascondere.
L'insegnamento lo fa l'allievo, lo fa l'allievo.
Il testo lo crea il lettore, lo crea il lettore.
È il figlio a definire ciò che è padre, ciò che è per lui padre.
Il maestro, se è maestro, ride.
Ma tu, se sei allievo, non chiedergli perché.
Sta ridendo della sua cecità, della sua incomprensione, e di quanta santità ci sia nello sguardo bambino (d'un allievo) che comprende ciò che al maestro è celato.
La parola torna al sogno (al silenzio) quando è ascoltata, non quando è pronunciata.
La Parola è il vestito dell'Altro, il territorio vergine dell'Altrove.
Atto TerzoTempo: consapevole e monitorio
Tempus fugit
Chiudi gli occhi e cerca il sonno, il sogno, quel sogno.
Un ruscello di montagna - coi suoi gorghi di lettere e mulinelli di parole - scende, s'ingrossa.
Ride e parla e s'ingrossa; diventa fiume, in piena.
Poi si allarga, su letto consono a contenerlo; si placa.
E parla una lingua lenta, da ascoltare, come fosse il Gange, al tramonto, quando il giorno declina verso la sua naturale destinazione; il regno del sogno. Il Mare del Silenzio.
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