(Redazione) Riflessioni, non recensioni - 03 - Su "Excalibur", 1981
di Stefania Lombardi
Regia di John Boorman.
Con Nicholas Clay, Helen Mirren, Nigel Terry, Nicol Williamson, Liam Neeson, Corin Redgrave.
Piccola nota di colore: ci sono Patrick Stewart e Gabriel Byrne prima che diventassero noti
Parte personale/emotiva
Sono particolarmente legata a questo film che vidi a scuola, da bambina, in una delle meravigliose ore di laboratorio congiunto in cui si univano due o più classi nelle attività: segnale dell’intensa e proficua collaborazione tra le docenti.
Ne rimasi folgorata. Innanzitutto, per la fotografia e le atmosfere.
Poi anche per le musiche; e mi resi conto di amare i Carmina Burana.
Ricordo che cercai i libri da cui la storia fu tratta, non pensavo ad altro.
Anche da adulta, nonostante i molti film visti, resto dell’idea che sia uno dei migliori film mai prodotti sul tema.
In questo film storia e leggenda si fondono assieme in un tutt’uno vivendo di simboli, di archetipi, di universale.
Tutta un’altra dimensione, ovvero: la dimensione del drago.
Prima dell’analisi del film: cosa c’è da sapere
Ma andiamo con ordine: in questa storia, tra mito e leggenda, c’è un drago che è onnipresente e onnisciente come un Dio e, come tale, non è visibile ai più.
Come la “Forza” in Star Wars e la “Voce” in Dune, il drago è la connessione con il tutto, è la vita in tutte le sue forme, è linfa, forza vitale, apertura, unità.
Rappresenta l’unità del mondo antico prima che giungesse la scissione della “coscienza infelice”, da Hegel associata al cristianesimo medievale.
Il drago è cielo e terra, ma anche sogno. Rappresenta l’unione dei quattro elementi ed è anche il quinto elemento.
Come Merlino, il drago sa che il suo tempo sta finendo.
Sta finendo l’unione con il tutto e inizierà la scissione che è foriera di molte incomprensioni.
La sua magia, la magia del fare, necessita connessioni, unioni, sintonie.
Nessuna magia del fare sarà data nella scissione.
La magia del fare è nebbia che viaggia tra gli elementi.
Mentre la terra è legata all’era degli uomini, la fluidità dell’acqua si sposa meglio con la leggenda.
Prima di cominciare l’analisi del film, credo che occorra fissare questi concetti, altrimenti rischieremmo di perderci nell’alito del drago.
Ed è all’acqua che è affidata Excalibur, la spada che dona il titolo al film.
E all’acqua tornerà attendendo un nuovo Re.
L’alito del drago, la nebbia, è presente, sin dall’inizio del film, come unità di elementi perché tra essi viaggia, aiuta o inganna.
Ora possiamo cominciare con l’analisi.
Il momento dell’analisi: nessun filo logico con la trama lineare del film ma flusso di pensieri per argomenti
All’inizio del film assistiamo, infatti, a un imbroglio (si imbroglia nella nebbia dell’alito del drago; nella nebbia tutto è indistinto e incerto, come questa storia) dovuto al desiderio di lussuria di Re Uther (futuro padre di Artù); un desiderio che è anche violenza e morte per chiunque contrasti questo suo malsano appetito unilaterale.
E con l’inganno conquista la moglie del suo rivale, rendendola, poi, regina.
L’inganno avviene durante l’era dei maghi, grazie alla nebbia creata dall’alito del drago che rappresenta appunto il passato, i tempi mitici, i tempi della magia, i tempi di Merlino.
Merlino invoca il drago per permettere l’inganno di Uther; non ne è orgoglioso e comprende che non può essere uno così accecato come Uther il nuovo Re.
Il nuovo Re, quello che inaugurerà l’era degli uomini, deve crescere tra gli uomini, non tra i Re.
E il frutto di quella lussuria, Artù, non può vivere a Corte perché il nuovo Re, quello dei tempi nuovi, necessita un nuovo tipo di educazione: l’umiltà.
Proprio l’umiltà allena quella nobiltà d’animo che Artù dimostra di avere sin dalle prime scene del film.
Una volta estratta Excalibur, infatti, ci sarà chi non lo riconoscerà come Re, anche perché c’è un mago, Merlino, in mezzo a questa storia e la magia puzzava di imbroglio.
In un elemento magico come l’acqua, Artù sconfigge il principale dei suoi accusatori e, non essendo ancora stato nominato cavaliere, consegna Excalibur in mano al cavaliere sconfitto per essere nominato tale.
Questa fiducia nel “nemico”, questa certezza che, con in mano Excalibur e lui disarmato, l’altro non se ne approfitti per ucciderlo, è già un primo segnale della nobiltà e della magnanimità di Artù.
L’altro dapprima esita ma l’atto di fiducia di Artù riesce ad avere la meglio su tutto e tutti, persino sui più scettici.
Figura 1. Battesimo a cavaliere per Artù |
Artù, a differenza del padre Uther, non inganna. Chi si era da subito accorta dell’inganno di Uther ai danni della propria madre era stata una bambina, Morgana, sorellastra di Artù.
Morgana ricorderà e non potrà perdonare Merlino e, nemmeno, quel frutto: Artù.
Morgana ha, tuttavia, bisogno di Merlino, necessita della “magia del fare” che è ponte tra antico e nuovo e, pertanto, forza creatrice e distruttrice.
E userà quella “magia del fare”, così legata al drago, contro Merlino stesso, che è parte di quell’antico drago e del suo alito: è parte di quella magia, è in connessione.
Morgana ha, tuttavia, bisogno di Merlino, necessita della “magia del fare” che è ponte tra antico e nuovo e, pertanto, forza creatrice e distruttrice.
E userà quella “magia del fare”, così legata al drago, contro Merlino stesso, che è parte di quell’antico drago e del suo alito: è parte di quella magia, è in connessione.
Figura 2. Una bella immagine di Morgana |
Merlino sconfitto farà parte del mondo dei sogni perché è giunto il mondo degli uomini e gli uomini sono soli.
Possiamo entrare in connessione con il mondo dei sogni in luoghi arcani e mistici, come Stonehenge, luogo adatto per osservare lontano e perscrutare. Lì, tra sogno e realtà, Artù potrà incontrare nuovamente Merlino; Merlino è diventato un sogno per alcuni e un incubo per altri.
Un incubo per Morgana che sarà, a sua volta, sconfitta da Merlino in sogno e perderà tutta la “magia del fare”, mentre emetterà fuori l’alito di drago presente in lei.
Perdere l’alito del drago sarà per Morgana la perdita di bellezza e giovinezza; la porterà a essere uccisa da quel figlio che dalla madre ha sempre preso e che, ormai, non considera più la madre come tale dal momento che la madre non può più dare.
Non può più dare quel che era abituata a dare, non in generale.
Dramma familiare, non solo mito!
Quanto ruolo gioca questo alito di drago in una storia epica, ma anche dramma familiare!
Un alito che è nebbia e che, come favorì Uther, il padre di Artù, per attuare il suo inganno, servirà, questa volta, a favorire l’esiguo esercito di Artù (con la nebbia non si percepisce il numero ridotto e può essere un vantaggio) contro l’esercito di Morgana e suo figlio.
Perdere l’alito del drago sarà per Morgana la perdita di bellezza e giovinezza; la porterà a essere uccisa da quel figlio che dalla madre ha sempre preso e che, ormai, non considera più la madre come tale dal momento che la madre non può più dare.
Non può più dare quel che era abituata a dare, non in generale.
Dramma familiare, non solo mito!
Quanto ruolo gioca questo alito di drago in una storia epica, ma anche dramma familiare!
Un alito che è nebbia e che, come favorì Uther, il padre di Artù, per attuare il suo inganno, servirà, questa volta, a favorire l’esiguo esercito di Artù (con la nebbia non si percepisce il numero ridotto e può essere un vantaggio) contro l’esercito di Morgana e suo figlio.
Figura 3. Una emblematica immagine di Merlino |
Quel figlio che è anche figlio di Artù e che Morgana ebbe con l’inganno, spacciandosi per Ginevra; infatti, aveva attuato l’imbroglio grazie all’alito del drago, come il padre di Artù, Uther, fece anni prima a danno di sua madre, mentre suo padre moriva in battaglia.
Un figlio concepito unicamente per dare morte.
Un figlio concepito unicamente per il potere.
E per la vendetta di una ex bambina che non può dimenticare l’antico torto subito.
Fino a giungere all’incesto, un incesto che è premeditato e che è morte, non desiderio: solo vendetta.
Può sembrare incestuosa anche l’attrazione tra Ginevra e Lancillotto, data l’amicizia fraterna tra Artù e Lancillotto.
Quando Artù scopre Lancillotto e Ginevra addormentati assieme nel bosco, conficca nuovamente la spada nella roccia (in questo caso la terra; ed è in quel momento che Morgana riesce a vincere contro Merlino, perché è il momento della rottura per antonomasia).
Quel gesto è altamente simbolico: doppiamente tradito, Artù non se la prende con i fedifraghi, ma con se stesso, perché lui stesso è la terra; e la sua spada, Excalibur, è l’unione tra Artù e la terra, un’unione custodita dalla “Dama del lago”, custode, appunto, di Excalibur.
Artù e la terra sono una cosa sola. L’unione di Artù e la terra
Rinunciare a Excalibur significa rinunciare a quell’unione; significa rinunciare a essere quel Re giusto che ha pensato a una tavola rotonda, massimo simbolo di eguaglianza, e che quella terra chiede e merita.
Excalibur in mezzo ai fedifraghi è il messaggio più potente che Artù poteva lasciare perché la loro “unione” è diventata, involontariamente, causa di una scissione, la più grande mai vista, quella tra Artù e la terra.
Lancillotto, al risveglio, in preda ai rimorsi, griderà: “un Re senza una spada, una spada senza un Re”.
Ora che sappiamo cosa rappresenta Excalibur e cosa sono (o meglio: erano) Artù e la terra (una cosa sola) possiamo comprendere tutta la portata tragica della frase pronunciata da Lancillotto.
E possiamo piangere con Ginevra che resta sola in compagnia di quella spada a cui si abbraccia, chiedendo conforto.
La spada tra i due amanti è la scissione, la scissione che arriva con la “coscienza infelice” ponendo fine all’unione primordiale.
Merlino e il drago erano i simboli di quell’unione e per questo Merlino è sconfitto nel momento in cui Excalibur viene conficcata tra i due amanti e scinde: scinde gli amanti, scinde la coscienza del Re, scinde i due mondi, scinde Artù e la terra, ovvero quello che era il più saldo e sacro tra i legami.
Anche qui, come in “Via col vento” è forte il legame con la terra in quanto unica cosa per cui valga la pena lottare, l’unica cosa che duri.
Tara resta la protagonista invisibile (e visibile al contempo) di “Via col vento” e ultimo pensiero di Rossella O’Hara mentre si chiede cosa conti davvero nella vita.
A differenza di Rossella O’Hara, Artù lo comprende subito questo legame, e anche troppo bene, ma, con la scissione, lo dimenticherà.
Ricorderà verso la fine quando Ginevra tornerà Regina; la spada si era, infatti, fatta prendere da lei dopo la scissione e sarà poi lei, ormai ripudiata e in convento, a consegnare la spada ad Artù quando i tempi saranno pronti e il Re ammetterà che l’ha perdonata da tempo e che è, appunto, la sua Regina.
Artù aveva infatti perdonato entrambi perché dotato di umana compassione e comprensione.
Era così grande la sua compassione che, in quanto Re, gli interessi del suo Regno dovevano venire sempre prima di se stesso, e di sua moglie.
Un uomo molto combattuto tra essere e dover essere, come Lancillotto del resto.
Più agente e in linea con se stessa, è, invece, il personaggio di Ginevra.
Dopo aver abbandonato la spada, giunsero i tempi bui e Artù chiede ai suoi cavalieri di trovare il sacro Graal per poter ricordare quel che ha dimenticato, e che è prezioso.
Ci riuscirà Parsifal, l’ultimo cavaliere.
E quel che Artù ha dimenticato è che, appunto, lui e la terra sono una cosa sola.
Adesso lo sa e può affrontare quel figlio che è morte e nato da incesto.
Cavalca verso la battaglia e, ovunque passa, torna la primavera.
Il Re è tornato, è rinato ed è così anche per la terra.
Il passaggio è di una potenza grafica impressionante.
Le musiche non sono da meno.
Riappacificazioni, cose dimenticate finalmente recuperate e consegna alla leggenda
Ora è pronto a salutare Ginevra che gli consegna Excalibur e i loro occhi sono compassionevoli mentre parlano di un loro futuro assieme essendo, invece, ben consci, entrambi, che sarà un addio.
La battaglia contro il figlio che è morte, sarà, infatti, morte per entrambi.
Artù riesce anche a ricongiungersi con Lancillotto che torna (era diventato un sobillatore) per quest’ultima battaglia accanto al fraterno amico di un tempo, loro che hanno amato la stessa donna e combattuto per le stesse idee.
La scena della battaglia finale tra Artù e il figlio è, a dir poco, mozzafiato grazie a quei toni rosso sangue e a quell’enorme sole rosso al tramonto (il loro tramonto) sullo sfondo e sulle armature scintillanti.
Argentee le armature degli uomini di Artù e dorata l’armatura del figlio di Artù perché quest’ultimo rappresenta il tentativo di restaurazione di un potere arrogante e sfarzoso che non ha più ragion d’essere.
Ma anche Artù che ha, involontariamente, creato questo non può più esserci in quel mondo.
Chiede a Parsifal di cercare un’acqua limpida e consegnare la spada lì.
Alla richiesta di Artù di cosa avesse visto nella consegna, Parsifal esita perché non ha avuto il coraggio di dar via Excalibur, simbolo di speranza.
A quel punto un morente Artù lo rassicura dicendo che Excalibur tornerà quando un nuovo Re tornerà.
Allora Parsifal si decide e la spada torna alla sua custode: la dama del lago.
Quando Parsifal ritorna, non trova più il corpo di Artù, perché Artù è ormai leggenda, non può essere lì.
Ricorda un po’ cosa è accaduto al corpo di Cristo. L’allegoria è molto forte.
Parsifal, l’ultimo rimasto, vede, però, nelle acque, delle figure femminili (tre: altro numero allegorico) che sembrano averne cura. Artù torna alle acque, come Excalibur. E, come Excalibur, è, ormai, leggenda.
Un figlio concepito unicamente per il potere.
E per la vendetta di una ex bambina che non può dimenticare l’antico torto subito.
Fino a giungere all’incesto, un incesto che è premeditato e che è morte, non desiderio: solo vendetta.
Può sembrare incestuosa anche l’attrazione tra Ginevra e Lancillotto, data l’amicizia fraterna tra Artù e Lancillotto.
Quando Artù scopre Lancillotto e Ginevra addormentati assieme nel bosco, conficca nuovamente la spada nella roccia (in questo caso la terra; ed è in quel momento che Morgana riesce a vincere contro Merlino, perché è il momento della rottura per antonomasia).
Figura 4. Artù e Ginevra |
Artù e la terra sono una cosa sola. L’unione di Artù e la terra
Rinunciare a Excalibur significa rinunciare a quell’unione; significa rinunciare a essere quel Re giusto che ha pensato a una tavola rotonda, massimo simbolo di eguaglianza, e che quella terra chiede e merita.
Excalibur in mezzo ai fedifraghi è il messaggio più potente che Artù poteva lasciare perché la loro “unione” è diventata, involontariamente, causa di una scissione, la più grande mai vista, quella tra Artù e la terra.
Lancillotto, al risveglio, in preda ai rimorsi, griderà: “un Re senza una spada, una spada senza un Re”.
Ora che sappiamo cosa rappresenta Excalibur e cosa sono (o meglio: erano) Artù e la terra (una cosa sola) possiamo comprendere tutta la portata tragica della frase pronunciata da Lancillotto.
E possiamo piangere con Ginevra che resta sola in compagnia di quella spada a cui si abbraccia, chiedendo conforto.
La spada tra i due amanti è la scissione, la scissione che arriva con la “coscienza infelice” ponendo fine all’unione primordiale.
Merlino e il drago erano i simboli di quell’unione e per questo Merlino è sconfitto nel momento in cui Excalibur viene conficcata tra i due amanti e scinde: scinde gli amanti, scinde la coscienza del Re, scinde i due mondi, scinde Artù e la terra, ovvero quello che era il più saldo e sacro tra i legami.
Anche qui, come in “Via col vento” è forte il legame con la terra in quanto unica cosa per cui valga la pena lottare, l’unica cosa che duri.
Tara resta la protagonista invisibile (e visibile al contempo) di “Via col vento” e ultimo pensiero di Rossella O’Hara mentre si chiede cosa conti davvero nella vita.
A differenza di Rossella O’Hara, Artù lo comprende subito questo legame, e anche troppo bene, ma, con la scissione, lo dimenticherà.
Ricorderà verso la fine quando Ginevra tornerà Regina; la spada si era, infatti, fatta prendere da lei dopo la scissione e sarà poi lei, ormai ripudiata e in convento, a consegnare la spada ad Artù quando i tempi saranno pronti e il Re ammetterà che l’ha perdonata da tempo e che è, appunto, la sua Regina.
Artù aveva infatti perdonato entrambi perché dotato di umana compassione e comprensione.
Era così grande la sua compassione che, in quanto Re, gli interessi del suo Regno dovevano venire sempre prima di se stesso, e di sua moglie.
Un uomo molto combattuto tra essere e dover essere, come Lancillotto del resto.
Più agente e in linea con se stessa, è, invece, il personaggio di Ginevra.
Dopo aver abbandonato la spada, giunsero i tempi bui e Artù chiede ai suoi cavalieri di trovare il sacro Graal per poter ricordare quel che ha dimenticato, e che è prezioso.
Ci riuscirà Parsifal, l’ultimo cavaliere.
E quel che Artù ha dimenticato è che, appunto, lui e la terra sono una cosa sola.
Adesso lo sa e può affrontare quel figlio che è morte e nato da incesto.
Cavalca verso la battaglia e, ovunque passa, torna la primavera.
Il Re è tornato, è rinato ed è così anche per la terra.
Il passaggio è di una potenza grafica impressionante.
Le musiche non sono da meno.
Riappacificazioni, cose dimenticate finalmente recuperate e consegna alla leggenda
Ora è pronto a salutare Ginevra che gli consegna Excalibur e i loro occhi sono compassionevoli mentre parlano di un loro futuro assieme essendo, invece, ben consci, entrambi, che sarà un addio.
La battaglia contro il figlio che è morte, sarà, infatti, morte per entrambi.
Artù riesce anche a ricongiungersi con Lancillotto che torna (era diventato un sobillatore) per quest’ultima battaglia accanto al fraterno amico di un tempo, loro che hanno amato la stessa donna e combattuto per le stesse idee.
La scena della battaglia finale tra Artù e il figlio è, a dir poco, mozzafiato grazie a quei toni rosso sangue e a quell’enorme sole rosso al tramonto (il loro tramonto) sullo sfondo e sulle armature scintillanti.
Argentee le armature degli uomini di Artù e dorata l’armatura del figlio di Artù perché quest’ultimo rappresenta il tentativo di restaurazione di un potere arrogante e sfarzoso che non ha più ragion d’essere.
Ma anche Artù che ha, involontariamente, creato questo non può più esserci in quel mondo.
Chiede a Parsifal di cercare un’acqua limpida e consegnare la spada lì.
Alla richiesta di Artù di cosa avesse visto nella consegna, Parsifal esita perché non ha avuto il coraggio di dar via Excalibur, simbolo di speranza.
A quel punto un morente Artù lo rassicura dicendo che Excalibur tornerà quando un nuovo Re tornerà.
Allora Parsifal si decide e la spada torna alla sua custode: la dama del lago.
Quando Parsifal ritorna, non trova più il corpo di Artù, perché Artù è ormai leggenda, non può essere lì.
Ricorda un po’ cosa è accaduto al corpo di Cristo. L’allegoria è molto forte.
Parsifal, l’ultimo rimasto, vede, però, nelle acque, delle figure femminili (tre: altro numero allegorico) che sembrano averne cura. Artù torna alle acque, come Excalibur. E, come Excalibur, è, ormai, leggenda.
Figura 5. Scontro finale |
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