( Redazione ) - Su "Partiture di pelle" - silloge di Mattia Cattaneo, Architetti delle Parole ed. 2021


Partiture di pelle, recente silloge del poeta Mattia Cattaneo (Architetti delle Parole ed., 2021) rappresenta una sorta di viaggio musicale nel corpo della parola
Già il richiamo del titolo della raccolta è portatore di un profumo particolare, dai sentori di cuoio e pelli, che tanto ricorda le botteghe artigiane in cui si conciano le migliori pelli per dei tamburi di pregio. 
E l'artigianalità di questa silloge deve essere intesa qui nel suo significato più puro ed elevato;  ciò che richiama ad una abilità fina di modellare i materiali con perizia certosina. 
È solo infatti di una raffazzonata idea d'arte pensare che essa esuli dall'idea di artigianato, che esorbiti dal rapporto profondo che ogni espressione artistica ha col corpo di chi si mette al servizio di una Musa.
Ma leggendo Mattia Cattaneo è impossibile cadere in questa trappola, giacché l'autore stesso al corpo ci riporta sempre. 
Parola come corpo, come pelle e midollo.
E ci troviamo estasiati ad ammirare passaggi tra vertebre che rappresentano chiavi che aprono cammini, o ancora braccia d'edera che costruiscono una notte aperta.
Altre volte il corpo è simbolo e luogo di uno straziante, quanto necessario, zittimento.
(...) qualcuno s'addormenta/dopo aver camminato/con bocche cucite, (...), dice il poeta in un delicato passaggio.
E qui l'occhio di chi legge si ferma; a lungo.
Chè ci si aspetta che il riferimento al corpo in poesia si traduca per forza di cose in sensualità e seduzione. 
Invece in più di un passaggio della silloge si avverte una funzione che è propria della pelle; il tener lontano, il rimarcare la distanza tra un sé che esplode e un altro da sé che tace e osserva. 
In questo Mattia Cattaneo si rivela maestro, con una scrittura degna non solo dell'artista ma anche, lo si ripete, del miglior artigiano; di colui che sa mescolare con sapienza polveri e essenze, per ricavare i più pregiati colori da mettere sulla sua tavolozza. 
Nulla è lasciato al caso in questa scrittura, anche quando parla di strazio, di ferita. 
Nulla manca del richiamo alla sobrietà in questa silloge. 
E la sobrietà è ciò che distingue il canto barocco dall'eccesso di espressività di un certo cantare ottocentesco.
Un ritorno alle origini, dunque, in questa silloge, si avverte forte; e si ammira, come si ammira un liutaio mentre curva il legno per ricavare il miglior violino. 

Sergio Daniele Donati
per Le Parole di Fedro
27 febbraio 2022



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