Un taccuino

 


Su musiche di J.S. Bach
The Well-Tempered Clavier, Book 1
Sviatoslav Richter ( 1969 )


« Falla diventar scrittura », mi diceva il demone, « trasforma quel taglio in suono e che si diffonda lontano nell'etere. Rendi il dolore incontro; e poi taci, lascia che il silenzio faccia il suo lavoro ».
Io non capivo, non capivo le ragioni di un malessere diffuso a cui davo un volto e un nome, me che pescava in fiumi lontani, nei deserti d'un infanzia mai vissuta, in un grido mai accolto di esistenza.
Allora le parole mi erano nemiche. Le parole erano ricordi e i ricordi bruciavano come rosse braci tra lo sterno e e lo stomaco.

« Falla diventar scrittura », insisteva il demone, «è l'unica tua via di salvezza ».
Allora presi la penna e cominciai a scrivere e quel volto si fece sempre più severo, portava tra le sue rughe un giudizio duro, come a dirmi della mia inadeguatezza al suo desiderio di essere da me salvata.
Ed era vero, ero stato inadeguato ad una richiesta troppo grande per le mie possibilità di allora.
Ero stato ciò che ero, un bimbo ferito.
E scrissi, scrissi dell'asfissia di non aver avuto il tempo per diventare ciò che sentivo che stavo per diventare con lei, dell'apnea di essere stato, in così poco tempo, rimesso in un buco ricoperto di terra, perchè si dimenticasse chi fossi.
Lo scrissi su un taccuino che volevo consegnare come ultimo dono di una presenza rifiutata.
Un ricordo del mio vissuto in cui le linee rosa dell'amore di mescolavano con una sola domanda: perché?
Fu forse quel taccuino la mia più alta scrittura e fu rifiutato, perchè conteneva il vero, il mio vero; e il vero brucia la pelle a chi lo scrive. La tatua di simboli indelebili. I nostri portavano messaggi opposti e alti. 
Mi ricordo, con la precisione millimetrica di un microscopio, il tono di voce di chi mi diceva che le parole non possono contenere il gesto e rinviava appuntamenti su appuntamenti per evitare la consegna del mio testamento.
Il taccuino fu abbandonato in una piccolissima libreria in Corsica. Ricordo bene di averlo messo tra i volumi delle Duinesi di Rilke e le poesie della Cavalli.
Chissà se qualcuno l'ha mai letto?
Poi la scrittura divenne fiume e non so più nemmeno quante cose ho scritto.
Ma ogni tanto chiudo gli occhi e penso a quel taccuino. Abbandonato in una terra lontana. Era dedicato a una persona sola, una persona che ancor oggi mi dipinge come un impiccio color rosso zucca e si vanta di aver rapporti armonici col mondo intero.
Io sorrido, amaramente sorrido, ché quel taccuino era una traccia di un uomo che andandosene voleva lasciar dono di purezza. Ed è rimasto in una terra per me pura, che di quella purezza aggiunta non aveva alcun bisogno.
La Corsica è terra di elementi primordiali, non ha bisogno di scrittura. Lì gli strappi si confidano alle rocce, al mare e ai pini solitari.
La sorte del taccuino decretò la morte del bambino. Era un bambino sognatore, ucciso da una maschera giudicante.
Si coricarono al suo fianco ventidue lettere antiche e ne plasmarono un corpo di uomo che ora scrive di altri fiumi.
Ma quando giungono voci di lontano; maldicenze su quel bambino, quell'uomo chiude gli occhi e piange, e si nasconde dietro a pietre corse, là dove il giudizio implacabile, incapace di riabilitazione, non può arrivare.
Ora la ferita è ricordo e, se ogni tanto pulsa, è perchè quel timbro di voce lo ricordo bene, è perchè quella voce roca e fumosa ancora mi parla, è perchè quello sguardo di gatta pronta al graffio è portatore di bellezza. 
La bellezza del limite, la bellezza dell'incapacità inesorabile del perdono. 
La bellezza della lettera scarlatta con facilità apposta sulle mie vesti e rifiutata sui suoi abiti regali. 


stampa la pagina

Commenti