"La immaginavo tonda"

 


"La immaginavo tonda da bambina la vita", avvocato, "tonda e felice".
Io ascoltavo e avrei voluto accendermi una sigaretta, ma non si poteva, perché certi racconti ti riempiono di fumo gli occhi e non serve fingere un distacco che non riesci ad avere. 
"Le infanzie rovinate, le infanzie rovinate" ripeteva la mia mente mentre la donna continuava il suo racconto. 
"Ora ho paura di tutto e quel mostro, anche se l'abbiamo reso innocuo, mi ha rovinato il cerchio".
E vorrei dirle di farsi aiutare, che esistono associazioni alle quali posso introdurla per superare il trauma. 
Ma ha lo sguardo fisso, vitreo, senza vita, di chi non trova più senso in nessuna parola di conforto. 
E poi quali parole, Avv. Donati? Quelle che ti si strozzano in gola insieme al ricordo di un bambino che urlava di notte per la paura del buio, in una casa di periferia dove tutto sapeva di un dolore non detto dai sei milioni di nomi? Quali parole?
Quelle che riconoscono le tracce di follia in chi si arrende e lascia che tutto sia per troppo tempo fino a doverlo urlare in cima a una montagna, sopra un abisso:" io esisto". 
Quali parole?
Lei mi guardava e io la guardavo, e la speranza che la condanna del mostro la sollevasse dai suoi pesi svaniva, lenta, come goccia assorbita da un terreno nero e duro.
C'era un silenzio fra noi che significava una cosa sola. Riconoscimento reciproco.
"Si impara a crescere lo stesso", dicevo, "magari storti, non ritti come un cipresso, ma si impara, persino a dar frutti".
E poi silenzio ancora. Denso e fitto come una nebbia novembrina milanese. 
E io quel silenzio non lo volevo spezzare, la guardavo, donna di mezza età, che aveva messo fine al suo terrore per sostituirlo con un altro: la paura di doversi ricostruire. 
"Grazie comunque, avvocato", mi diceva,  per il pagamento siamo d'accordo: posso fare mese per mese?".
"Certo, eravamo già d'accordo così, no? Non si preoccupi", dicevo, " ma prima di andare le devo chiedere un favore".
Aprii il cassetto sotto la mia scrivania, ne tirai fuori un sassolino.
"Lo tenga, me lo restituirà con l'ultima rata del mio pagamento tra un anno".
"Perché?", chiedeva. 
"Perché ha salvato me, salverà anche lei, basta che ogni tanto lo tenga in mano". 
"Lei è proprio matto", diceva ridendo, 
"Sì, lo sono". E non ridevo affatto. 

Di Sergio Daniele Donati -  aprile 2022



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Commenti

  1. Bellissimo. Anch'io ho sempre un sassolino da raccogliere. E idealmente lo dono a Fedro con un grazie...

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