Stanze (SAMECH - AYIN - PEI - TZADE - KOF)

 


SAMECH (ס)

Null'altro da dire: esistono voci lontane
e proteggono e custodiscono
la parola ancora inespressa
di una voce bambina.
La prima parola d'un infante
è un sibilo di accoglimento
di un percorso infinito.

AYIN (ע)

Mi chiedi cosa sia una visione 
e dove si debba poggiare lo sguardo
quando un vento freddo scivola
sui pori della pelle?
Sull'orizzonte sotto i nostri piedi, rispondo.
E quando il vento si placa,
verso la luce lontana 
di stelle già morte.

PEI (פ)

Un dente deve cadere per passare dalla negazione
del creato al suo abbraccio.
La parola si deve far chiara
per permettere l'infinita interpretazione,
eppure, già lo dissi,
il mio maestro era balbuziente
e sorrideva tra i suoi denti ingialliti
al compito sacro della trasmissione.

TZADE (צ)

E non c'è giusto fuori dalla testimonianza.
Né l'etica si poggia su un'intuizione afona.
Il Giusto raddrizza la schiena prima di parlare
e torna curvo nel silenzio.
Chi lo ascolta raddrizza la schiena 
di fronte alla sua voce
e torna curvo nel bisbiglio ininterrotto
dentro la sua mente.

KOF (ק)

Esiste una saggezza della follia
che il saggio ignora.
Troppo difficile l'ascolto del diverso 
quando ti indica la via d'uscita
dai tuoi abissi.
Eppure la bellezza risiede 
nel saper trarre lingue nuove 
dall'ascolto dell'irrazionale.
Non chiedere al sacro
di percorrere vie ordinarie
per farsi ascoltare.
Il sacro parla la lingua balbuziente dell'inciampo
e, nel farlo, ti indica la tua stessa zoppia
e poi il balzo verso l'infinito
che solo un corpo claudicante
è in grado di fare. 


Sergio Daniele Donati (inediti 2022)




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