Una sorta di testamento
Se attendessimo
solo qualche istante
a tradurre i suoni in parole
e ci soffermassimo sul sorriso
della voce della natura,
lenta si farebbe strada
la lingua del vento
quella che, ad esempio,
narra d'Odisseo
il ritardo nel ritorno
e una brama di sconosciuto
che ignora
la mistica dell'ordinario.
Cadono a grappoli,
come bombe, le nostre interpretazioni
su quei suoni
- il massacro dell'ascolto
profondo mancato -
e si sovrappongono
al brusio della vita,
che è suono caldo, di magma.
Alle lingue divise di Babele
sopravvive il canto del soffio,
ma ci devia
la selva dei significati
che ignora l'armonia
di un dittongo.
C'è un prima e un dopo
in ogni parola,
e confondere i tempi della comprensione
è negare il brivido
sulla pelle,
il massaggio profondo,
l'accordo del suono
alla vibrazione
delle nostre cellule.
Per questo, prima di scrivere,
non ho mai nulla da dire
che non sia già stato detto
dall'antico lemma della natura.
Per questo ciò che scrivo
nel profondo
non m'appartiene.
Né imploro alla parola
l'elemosina di un contenuto.
Lascio che mi lavi come doccia
dalle incrostazioni
d'un io persistente.
Scrivere è abdicare
alla paternità della parola
e abbandonarsi
a una realtà orfana
che accoglie
piano il tuo nome.
Sergio Daniele Donati - inedito 2022
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