( Redazione ) - Breve nota di lettura alla silloge "Nutrica” di Daìta Martinez (LietoColle Edizioni, 2019)
Leggere Nutrica di Daìta Martinez è in primis accettare un gioco di spoliazione della parola o, forse, un ritorno all'elemento ludico e sonoro della stessa, in cui la ricerca del significato è sempre sottesa ma, al primo approccio, lasciata sospesa.
Nutrica è la neonata ma anche il seno che nutre e così già dal titolo ci troviamo di fronte ad un famoso lacaniano dilemma. Quello su cui si fonda, secondo il grande pensatore francese, l'ambivalenza col materno per il neonato.
"questo latte, questo seno, che dà nutrimento, da cui dipende il neonato, è anche l'elemento su cui si fonda la dipendenza del neonato stesso e la sua sopravvivenza, il suo punto di debolezza; debolezza che si trasforma presto in ambivalenza del rapporto".
Già dal titolo dunque la poetessa sembra dirci del suo rapporto con la parola, della quale siamo tutti dipendenti, perché ci creiamo attorno al linguaggio, ma dalla quale, inutile negarselo, tentiamo ugualmente tutti manovre, spesso poco abili, di liberazione.
Daìta Martinez, ecco, sembra invitarci alla scomposizione e ricomposizione della parola, all'introduzione dell'elemento ludico, proprio per superare l'ambivalenza del nostro rapporto con parola e scrittura.
Il lettore quindi, superato un primo spaesamento, si trova poi proiettato in un mondo (ma qui forse il lettore diviene colui che dice, che canta, in un certo senso; tra sé e sé) nel quale è in un certo senso costretto e divertito a ricreare le sue regole di lettura.
Persino le interpunzioni e gli accapo perdono la loro funzione convenzionale e si riempiono di significato autonomo e preponderante.
Ad esempio leggiamo
(...)
poc'anzi l'attesa
il chiarore corso
giù dai tetti d'un
sonante tremore
sonante
;
quest'ora cruda
un via vai le urla
assordate di una
donna c'è vento
donna
;
un filo e un viso
profuma il cielo
la pietà l'angelo
la grotta piccina
I versi qui sono densi, con richiami al sacro e al femminile molto forti, ma c'è una nota che devia il lettore almeno parzialmente da tale densità del dire e mantiene vivo il desiderio di disvelare le scelte dell'autrice, continuando nel suo gioco.
Credo che mai in poesia io abbia incontrato un punto e virgola così tanto protagonista del verso da divenire più volte elemento unico dello stesso. È evidente che l'autrice sta cercando di dirci qualcosa con questa sua scelta.
L'interpunzione qui non è assente, anzi è ben presente, ma scomposta, collocata dove non dovrebbe essere, quasi a dirci di fare attenzione perché il mondo dei significati è scivoloso se ci si aggrappa troppo alle convenzioni. Ma la scelta dell'autrice, sia ben chiaro, è serissima riguardo a tale nuovo uso di punti e virgola e apostrofi. Non è anarchico, non spezza le convenzioni, ne crea di nuove che dobbiamo interpretare. In questo modo Daìta Martinez svela dentro il verso il mondo altro, lo rende sempre presente.
Altrove, invece, è proprio l'assenza di interpunzione a gettare il lettore, come una ventata fredda, nel mondo del significato. Ad esempio leggiamo:
(...)
questo vizio dei nervi spogliati
questo vizio dei cerchi sul viso
questo vizio dei catenacci sulla
sedia in agguato per un po' d'io
non c'è cielo a cuocere domani
(...)
Qui il lettore si ferma, quasi obbligato ad una riflessione, che è di molta poesia ma che l'autrice declina in modo davvero particolare e che forse ci fa capire qualcosa in più del valore della scomposizione della parola nella sua poesia, di cui si parlava prima. Ritengo questi versi centrali all'intera silloge.
Decomporre e ricomporre il linguaggio non è solo gioco, benché del gioco chi scrive ha ben presente il valore, ma l'unica via per corrodere i catenacci di un io che deve essere sviato per lasciar spazio alla parola.
Tutta la scrittura di Daìta Martinez mette il lettore fuori dal richiamo del suo io e fa percepire anche la rinuncia della poeta all'io per lasciar suonare le parole.
Non si esce dalla lettura di questa silloge uguali a prima di averla letta.
Ne consiglio davvero a tutti la lettura;
Per la Redazione de
Le parole di Fedro
Sergio Daniele Donati
Note biobibliografiche:
Daìta Martinez, palermitana, ha pubblicato con LietoColle (Dietro l’una), 2011, segnalata alla V Edizione del Premio Nazionale di Poesia “Maria Marino”, e nel 2013 la bottega di via alloro. Vincitrice - sezione dialetto - del 7° Concorso Nazionale di Poesia Città di Chiaramonte Gulfi, è stata finalista, per l’inedito in dialetto, della 44° edizione del Premio Internazionale di Poesia Città di Marineo. Inserita nell’Almanacco di poesia italiana al femminile “Secolo Donna 2018”, edizioni Macabor, nel 2019 ha pubblicato La finestra dei mirtilli, suite poetica stilata con il poeta comisano Fernando Lena, Edizioni Salarchi Immagini, Il rumore del latte, Spazio Cultura Edizioni, e Nutrica, LietoColle. È vincitrice del Premio Macabor 2019 - sezione raccolta inedita di poesia - con pubblicazione, 'a varca di zagara' in dialetto siciliano. Nel 2020 è stata finalista - sezione raccolta inedita - della 34° edizione del Premio Lorenzo Montano. Nel 2021 ha pubblicato Liturgia dell’acqua, Anterem Edizioni, e Le madri, haiku, Edizioni dell’Angelo.
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