(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 07 - Per una lettura de "Ogni persona ha un nome" di Zelda Schneersohn Mishkovsky


 

di Sergio Daniele Donati

Zelda Schneersohn Mishkovsky, in ebraico: זלדה שניאורסון-מישקובסקי‎, più famosa come Zelda (Dnipropetrovs'k, 20 giugno1914– Gerusalemme, 30 aprile 1984), è una poetessa israeliana di origini est-europee.
(per notizie sulla sua biografia si rimanda a questo link)
La sua poesia è densa della religiosità tipica dell'ebraismo Ashkenazita e di richiami ad una modernità che non rinnega le radici del passato.
Leggendone i tratti non è difficile riscontrare tracce di un certo misticismo ebraico che però non si traduce mai in simbolo di difficile comprensione; anzi, diviene forma di dialogo col lettore, capace di svelare ciò che il lettore stesso, nelle sue profondità già conosce.
Nella sua poesia « Ogni persona ha un nome », di cui si riporta sotto il testo, nella mirabile traduzione di Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano, questo appare evidente.

Ogni persona ha un nome
(di Zelda Schneersohn Mishkovsky)

Ogni persona ha un nome
datole dal Signore
da suo padre e da sua madre
Ogni persona ha un nome
proposto dalla statura, dal sorriso sfoggiato
e da quel che indossa
Ogni persona ha un nome
datole dai monti
e dalle pareti intorno
Ogni persona ha un nome
pronunciato dagli astri
e dai vicini di casa
Ogni persona ha un nome
datole dai peccati
e inflitto dallo struggimento
Ogni persona ha un nome
assegnatole dai nemici
e dall’amore
Ogni persona ha un nome
datole dalle feste
e dal mestiere
Ogni persona ha un nome
affidatole dai tempi
e dalla vista scurita
Ogni persona ha un nome
Dato a lei
dal mare
e dalla
morte

Traduzione in italiano 
di Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano


Emerge con assoluta chiarezza che l'origine del nostro nome è il primo segno dell'alterità che ci viene attribuito. Come diceva il grande psicoanalista e pensatore Jaques Lacan: nessuno sceglie il proprio nome.


Il nome è sempre qualcosa di etero-generato, una sorta di sigillo imposto dalla alterità (i genitori in primis) su un corpo appena cosciente di esistere.
Eppure, se ben ci pensiamo, il nostro nome è l'unica costante della nostra vita.
La Vita è trasformazione, mutamento, a volte trasfigurazione.
Solo il nome resta come traccia di una continuità di una vita che, invece, procede per salti, man mano che l'individuo assume ruoli diversi nel suo percorso.
La scelta del nome è dunque, e non solo per la cultura ebraica, elemento di grande importanza e delicatezza.
Può essere vissuto come imposizione, come un abito in cui non ci sente a proprio agio e che, tuttavia, siamo obbligati a vestire per tutta la vita; così come può essere percepito come una benedizione che ben definisce il nostro intero essere: corporeo e spirituale.
In una visione primaria (e forse primordiale) del nome, ovviamente sono i genitori ad avere un ruolo centrale. 
Ma cosa stia alla base della scelta genitoriale del nome della loro creatura, Zelda Schneersohn Mishkovsky, lo rivela con un accorgimento linguistico molto interessante: l'elencazione.

Elencare elementi influenti per la scelta del nome non credo che sia una scelta casuale, ché di quegli elementi e del loro ruolo l'autrice non dà spiegazione.
Semplicemente li enumera, omettendo di dire sia come come essi influiscano nella decisione, sia se ci sia una cronologia degli interventi che il teste segue.
Certo è che in quella elencazione stretta l'autrice sembra suggerirci che nella scelta del nome, se profondamente compiuta influiscono elementi di natura molto diversa:


Metafisici: il Signore stesso è fonte del nostro nome
Spirituali e corporei: il padre e la madre sono simboli della spiritualità umana e dell'elemento della trasmissione tanto caro al pensiero ebraico, ma allo stesso tempo sono un chiaro richiamo al corpo e al sangue del neonato e dei genitori stessi.
Strutturali ed espressivi del neonato: la sua statura, il suo modo di sorridere
Il contorno naturale e umano: le montagne o le pareti della casa, insomma tutto ciò che ammiriamo in primis come ostacolo da evadere e/o scoprire in una salita che non può essere guidata solo dal corpo.
Il Creato: gli astri (ciò che più lontano è dalla nostra vita, eppure ci orienta)
Il contorno umano: i vicini di casa

Sulla prossimità di questi due ultimi elementi vorrei soffermarmi un poco, perché entrambi ci raccontano che il nome è anche relazione con l'alterità non solo per la sua dazione ma per ciò che lo ha forgiato. E le alterità sono sempre almeno di due tipi.
Una è la prossimità, la somiglianza, l'altra è estraneità completa (vicini di casa e stelle).
E con quei due elementi di alterità il nostro nome dovrebbe guidarci a rapportarci in modo diverso, facendo uso di due sacri strumenti: il simbolo (ciò che mi fa conoscere l'altro da me per similitudine con le mie caratteristiche), e il coltello del discernimento (ciò che mi fa conoscere l'altro da me per le differenze con me stesso).
Entrambi gli strumenti sono sacri, dicevo, e il giovane neonato dovrà imparare quanto delicato sia scegliere quale usare secondo il caso.
Non ci si approccia alle stelle come al vicino di casa; questo sembra essere l'avvertimento della poetessa.
E il nome, la barriera permeabile ed elastica che mettiamo tra noi e gli altri, il luogo del primo scambio, prima ancora della stretta di mano, è la guida in questo.

Elementi negativi: il nostro nome è creato anche dai peccati che commetteremo, dai nemici che incontreremo e ( elemento creativo ), dall'amore
.
Che strano accostamento questo! Eppure ha un senso profondo per il pensiero ebraico, poiché l'Uomo non ha potere creativo puro, ma ha la più grande delle facoltà umane spirituali: la possibilità di trasformare, il bene in male, l'odio in amore, il nemico in amico.
Zelda Schneersohn Mishkovsky, nell'accostare elementi così diversi, senza alcuna spiegazione, in versi contigui, ci ricorda dunque che il nostro nome è il luogo della trasformazione
Segue nell'elenco degli elementi formativi del nostro nome i tempi e la vista scurita.
Già, perché è parte di ogni percorso la caduta e l'inciampo, la perdita della visione, la perdita di sé; e la comprensione dei tempi è l'elemento cui la filosofia ebraica assegna la facoltà di risorgere, se non addirittura di rinascere a sé stessi.

L'ultimo binomio che incontriamo in questa poesia è terribile e allo stesso tempo rassicurante: Mare e Morte

Nel nostro nome è già contenuto il momento del grande passaggio, della grande diluizione nelle acque dei tempi; nel nostro nome è già contenuta la fine del nostro nome e allo stesso tempo, il nostro unirci ad un coro eterno, quello di chi ci ha preceduto.
Accettare la diluizione del sé, sembra dirci la poetessa, è, come il nome, cosa su cui dovremmo lavorare tutta la vita, sin dal primo respiro: perché il nostro Nome possa splendere, come altera stella e per sempre, per i Nomi che verranno.




Sergio Daniele Donati - 1.5.2022


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