Stanza della coltivazione

C'è un monito, là,
nella delicatezza del petalo;
una voce che dice: radicati,
legati alla terra. 
La fragilità è dono
se nasconde le sue armi
tra le pieghe d'un non detto antico;
sempre lo stesso da millenni,
una cantilena che ascolto la notte,
tra le onde del sonno,
e mi spinge al ricordo 
di ciò che è stato prima di me;
di ciò che sarà quando il mio nome
verrà dimenticato dal vento.

C'è un monito là, 
nella durezza della pietra,
una voce, una cantilena antica,
che dice: crepati, lascia che la pioggia
disciolga i tuoi sali, 
per l'altrui sete.
Ascolto quella cantilena al risveglio, al mattino,
e mi spinge all'oblio
di ciò che mi ha dato nome,
e alla recitazione del salmo
dell'altrui esistenza.


Eppure l'occhio non coglie che bellezza
nella natura, e non ascolta la fatica 
né l'etica d'essere elemento
- corrispondenza senza scelta,
simbolo non voluto 
dell'umana esistenza.

Chi nella crepa versa oro
e ignora la fatica della divaricazione che dona la vita, 
diviene troppo facile preda
del proprio nome, 
solo, sì, e al centro dell'universo,
ma ignorato dal sole,
immerso nell'ombra dell'ignoranza della relazione eterna
tra bello e vorace. 

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Testo inedito (2022) e foto di
Sergio Daniele Donati
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