(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 11 - Sugli epigrammi di Salvatore Quasimodo
La scrittura epigrammatica, originariamente tipica del poetare funerario o legato a particolari eventi di spiccata importanza sociale, è una delle forme più antiche di poesia.
Veri e propri epigrammi si trovano ad esempio nei cinque libri che compongono il Pentateuco, a ben vedere.
Ovviamente in questo caso è un lavoro delicato e non facile saperli estrarre dal contesto generale della narrazione.
Sono epigrammi celati, per così dire, nel testo stesso, non in composizioni isolate.
L'epigramma secondo alcune definizioni si caratterizza per essere un breve componimento diretto a fissare, per lo più in modo ironico o satirico, l'interpretazione personale di un fatto, sì da indurre il lettore alla riflessione o al riso.
Certo la brevità del testo è elemento necessario ma non sufficiente (esistono altre scritture che si caratterizzano per la loro concisione: haiku, certa poesia ermetica, scrittura aforistica).
La parte finale della definizione appare poi imprecisa quantomeno nel tracciare gli effetti sul lettore della scrittura epigrammatica stessa.
Più che di riso sarebbe opportuno parlare di sorriso e non va dimenticato che, almeno nelle sue origini, l'epigramma nasce come componimento serio e connesso alle celebrazioni funebri o a eventi importanti della vita sociale.
Tuttavia tale definizione mi pare dire una cosa importante, ovvero che l'epigramma contiene sempre una interpretazione molto personale, a volte dissacrante, di qualcos'altro.
In altre parole l'epigramma fa riflettere non solo per la sua brevità ma anche per l'attitudine dall'autore nel descrivere ciò che sta tracciando.
Fatte queste premesse capirete senza alcuno sforzo che la scrittura di Salvatore Quasimodo ben si adatta a questa forma poetica e, infatti, con questo mio breve intervento vi propongo la piacevole lettura di un libro in cui le liriche del maestro sono accompagnate da mirabili illustrazioni di Mario Cei (Salvatore Quasimodo - Epigrammi - Nicolodi editore, 2004).
Per farvi comprendere di cosa sto parlando prendo ad esempio uno solo degli epigrammi dal titolo Un lacerto di cui sotto si riporta il testo:
UN LACERTO
Alcuni disegnatori vorrebbero che fossi
grasso come Balzac e aquilino
come l'Alighieri.
A Milano un certo
Manca, proprio Manca,
non fa che un lacerto
somigliante alla madre
o alla sorella in stanca
penuria. Manca? Ma certo!
Qui il maestro si riferisce al famoso caricaturista e illustratore Giovanni Manca (1889-1984) e il suo gioco di parole, culminante nelle ultime due parole, in rima col titolo, è atto a farci intendere il valore, sebbene ironicamente espresso, del personaggio a cui si riferisce.
Anzi, a ben vedere, l'autore non ci permette di comprendere in alcun modo cosa intenda evocare del Manca, i lacerti (bozze appena accennate di disegni, come piccoli brandelli di carne) o la capacità di descrivere i suoi soggetti con un breve cenno.
In questo epigramma il Maestro dunque esprime una indeterminatezza che normalmente proprio dagli epigrammi non ci si aspetta.
E credo che questa capacità di giocare coi generi letterari sia di poche eccelse penne.
Per questo motivo consiglio a tutti la lettura di questo breve ma molto stimolante testo.
Bello. Mi piacciono gli epigrammi e spesso ne scrivo.
RispondiEliminaGrazie per la tua dotta proposta 😃👋
Sono io a ringraziare davvero
EliminaNitido, limpido, diretto. Grazie di averci proposto Quasimodo in questa insolita veste!
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