(Redazione) - Su OFFICINA 21 (Entheos Ed 2022) di Laura Spazzacampagna e Federico Bario
È uscita da pochi giorni l'opera di Laura Spazzacampagna e Federico Bario Officina 21 (Entheos ed 2022).
L'opera, di altissimo livello contenutistico, si caratterizza per un dialogo poliespressivo tra le opere dell'artista figurativo Bario e la poeta Spazzacampagna, in cui parola e immagine perdono i loro specifici contorni per disegnare assieme una traccia di viaggio.
Tale percorso è caratterizzato da tratti in parte iniziatici che non possono sfuggire.
Non siamo semplicemente di fronte a una parola che si ispira ai colori e ai tratti delle immagini o, al contrario a linee figurative condotte dalla parola.
L'impressione che ne ha il fruitore nella immediatezza della lettura/osservazione è di una perfetta fusione - o meglio interazione - tra due vie espressive forse solo in apparenza lontane tra loro.
Se sopra ho parlato di iniziazione non è certo per attrarre chi mi legge in un mondo new age style con facili formule esoteriche, che chi scrive respinge da sempre.
Al contrario, è proprio all'etimo della parola iniziazione che OFFICINA 21 con forza si richiama.
Già dalla prima pagina, dalla prima lettera e dalla prima immagine, appare evidente che qualcosa di nuovo ha inizio, cominciamento, quasi che la copertina del libro fungesse da spartiacque tra un prima e un dopo. Una sorta di Bereshit, certo umano, ma fecondo di significati.
Man mano che si procede con la lettura delle poesie e la visione (è proprio il termine adatto) delle immagini, si ha la precisa percezione che di fronte ai nostri occhi si stia delineando un tragitto in cui si viene presi per mano per attraversare un altrove fecondo da cui non si esce, all'ultima pagina, identici a prima.
I testi e le immagini sostengono il lettore in questo percorso ininterrottamente, anche quando una certa angoscia traspare tra il dire della poeta o le linee dell'artista.
Voglio dire che c'è sempre una voce (o un colore) di richiamo al percorso, al procedere...forse anche alla processione.
Sì, perché se c'è qualcosa che in quest'opera poliespressiva traspare é il canto del sacro nel suo contatto con l'umano.
Siamo di fronte a una proposta di viaggio molto profonda e ricca che consiglio a tutti di voler svolgere, ché in fondo è questa la funzione prima dell'arte: metterci in contatto senza strappo o lacerazione eccessiva con un altrove che la nostra quotidianità nega.
PER LA REDAZIONE
IL CAPOREDATTORE
SERGIO DANIELE DONATI
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