Redazione: Un approccio lacaniano nella lettura di due episodi di Infanzia di Lev Tolstoj di Tiziano Mario Pellicanò
Sigmund
Freud equiparò il desiderio del ritorno alla fase della vita
inorganica alla fusione con il materno, per Jacques Lacan il soggetto
non ricerca quest’ultimo, ma aspira a colmare il Vuoto primordiale
con la sua costante ricerca, destinata a chiarire il senso
dell’esistenza, strettamente correlata alla coazione-a-ripetere:
«la vita non pensa che a morire». Non
a caso, Jacques Lacan considerò l’esistenza come una
ex-sistenza attraverso la rilettura del
Todestrieb
freudiano1.
Il piccolo Nikolàj si ferma sulla soglia di questo vuoto di cui non
possiede gli strumenti per una possibile decodifica, se non per mezzo
del distacco e con un atteggiamento che rasenta l’indifferenza.
Altri
indizi, per la verità abbastanza palesi e neanche tanto censurati,
ci illuminano sul rapporto tra il protagonista e la madre e possono
essere rivelatori del comportamento scandaloso
di Nikolaj dinanzi alla morte della donna e spiegarne, almeno in
parte, le motivazioni. Un rapporto improntato, a volte, a una sottile
perfidia che, involontariamente o meno, traspare da alcune
affermazioni della donna e dall’atteggiamento stesso del piccolo
Nikolàj. Affermazioni che non potremmo neanche ascrivere al dominio
del lapsus o del Witz.
Per fare un esempio, a un certo punto e del tutto a sorpresa nel bel
mezzo di un pranzo, in un contesto domestico dove niente sembrerebbe
presagire nulla di spiacevole, la madre qualifica con serafica
naturalezza l’aspetto del ragazzo brutto
- дурён, stupido,
дурень stolto
nell’originale- poco aggraziato, nonostante l’intelligenza
sopperisca a questa mancanza:
Ricordo
molto bene che una volta a pranzo - avevo sei anni - si parlava del
mio aspetto e maman
cercava di trovare qualcosa di carino nel mio viso; lei diceva i miei
occhi erano intelligenti e che avevo un sorriso grazioso, ma, alla
fine, pungolata dalle osservazioni di mio padre e dall’evidenza
stessa, finì con l’ammettere quanto fossi poco attraente; e poi,
ringraziandola del pranzo, mi diede un buffetto sulla guancia e
disse: - Devi sapere, Nikòlenka, che nessuno ti amerà per il tuo
viso, quindi, cerca di essere un ragazzo intelligente e buono. Queste
parole mi convinsero che non solo non ero bello, ma soprattutto che
sicuramente sarei stato un ragazzo buono e intelligente2
.
Quest’affermazione
è fonte di grande dolore per il ragazzo che darà un ulteriore
scossone alla sua già non solida autostima.
A dispetto di ciò, spesso la disperazione mi assaliva. Pensavo che non ci potesse essere felicità per una persona con un naso così largo, labbra grosse e g occhi piccoli e grigi come i miei; ci voleva un miracolo che mi trasformasse in un bel giovane, tanto che tutto ciò che avevo in quel momento, tutto ciò che avrei avuto in avvenire, lo avrei ceduto per viso avvenente.
Trasmutarmi
- превратить меня prevratìt’
men’à. È questo lessema che, con la
sua pregnanza, accentra su di sé, attorno all’ambiguità del suo
spettro semantico, l’acme di una tranquilla giornata in campagna
nell’ora del pranzo. Nikolàj sembra che faccia di tutto in modo
che l’immagine idealizzata della madre - figura stereotipata di
essere accudente e amorevole - non vada in frantumi, ma è proprio in
quella direzione che tutto sembra avere la destinazione finale. Ad un
certo punto, sua madre è talmente distante che è quasi difficile
stabilire se l’impressione ricevuta dal ragazzino sia il frutto di
un dormiveglia, di un rilassamento della coscienza o il prodotto di
una cosciente volontà distruttiva. Siamo in pieno regime della
Realtà lacaniana,
in cui niente è vero. L’infanzia, soprattutto nel ricordo adulto,
è soprattutto uno schema mentale remoto, di cui si sono persi i
contorni. Il ricordo che si accende dopo una corsa, con il sonno che
gli chiude gli occhi in un’atmosfera quasi proustiana, è la
cornice di questa presa di coscienza dolorosa :
Con
gli occhi insonnoliti, la guardavo in volto e improvvisamente mia
madre si rimpiccioliva, il volto non era che un bottone. Una visione
confusa mentre lei mi guardava sorridendomi. Mi piaceva osservarla
così rimpicciolita. Stringevo gli occhi ancora di più e lei
diventava come uno di quei bambini che si vedono riflessi nelle
pupille, io allora restavo fermo e l’incanto si rompeva; stringevo
gli occhi, mi voltavo, cercando in tutti i modi di ricreare
l’effetto, ma era inutile.
La
dimensione onirica pervade anche gli istanti successivi, in cui la
presenza della madre accanto al ragazzo dormiente sulla poltrona, è
più una formazione fantasmatica che reale, con un codice e un un
linguaggio precisi. Centrale è, in questo contesto, l’immagine
della madre definita nel riflesso della pupilla del figlio -
и она делается не больше
тех мальчиков которые бывают в зрачках,
i onà djèlaetza ne bòl’she tech
màl’chikov,kotòrie bivàjut b zrachkàch (ed essa diventa non più
grande di quei bambini che sono nelle pupille)
- e il senso di godimento nel vederla regredire ad una sorta di stato
infantile -мне
нравится видеть
её такой крошчной Mne
nràvitza videt’ ejò takòj kròshchnoj, mi piace di vederla così
piccola 3.
L’occhio è assimilato ad una superficie riflettente che richiama
la fase dello specchio lacaniano dove il bambino, osservandosi,
prende coscienza di sé e del proprio godimento. Una dimensione
pre-logica che, secondo
l’ontologia negativa di Jacques Lacan, immette nel registro del
Reale,
in quanto entità inconoscibile, irrazionale. La
dialettica degli sguardi si annulla e si differenzia costantemente.
Il Reale, nonostante Jacques
Lacan sia
stato influenzato dalla filosofia
hegeliana, non ha nulla a che fare con la razionalità,
anzi, è il suo contrario, in un certo senso. L’Immaginario
è il registro della molteplicità
delle identificazioni, il
regime “dove le frontiere
cedono facilmente, dove le somiglianze diventano identità, dove idem
e alter
slittano continuamente nella loro
reciprocità, coincidono e
non coincidono”4,
mentre il Simbolico
è «il regime della razionalità
flessibile», attraverso di esso «le
identificazioni distintive consentono di
essere l’altro senza diventare l’altro”5.
La madre, agli
occhi di Nikolàj, è un’entità inconoscibile -nonostante gli
sforzi di Nikolàj per inscriverla all’interno di un quadro di
riferimento semanticamente significativo - che prende forma
all’interno di uno sguardo simbolico che cerca di dare un senso
alla sua quête.
Questa scena preannuncia quella decisiva in cui la morte si configura
come un vuoto. Il soggetto dovrà sempre confrontarsi con il
Significante,
un momento che si può solo nominare con il linguaggio ma non
comprendere, quell’Altro
preistorico sintetizzabile nella formula lacaniana del
Significante-su-significato,
che rimanda non solo all’inconscio e alla sfera linguistica, ma
anche, sul piano ontologico, all’esistenza come mancanza a-essere.
I tentativi di Nikolàj si arrestano di fronte a quell’immagine
riflessa nell’iride della madre. Oltre non può andare, in quella
zona pre-logica e pre-linguistica in cui l’unica arma per scalfirne
l’insondabilità è la dissacrazione, il distacco.
- E così mi vuoi
molto bene? – Resta in silenzio un istante e quindi dice: -Devi
volermi bene sempre e non dimenticarmi mai. Quando non ci sarò più,
non mi dimenticherai? Non è vero, Nikòlen’ka?
La
donna ripete per ben due volte la promessa di non essere dimenticata,
quasi cosciente del fatto che il figlio non la rispetterà. Perché
il figlio, in effetti, è questo che farà nel giorno della partenza
per Mosca. Il ricordo di quel momento dell’infanzia, perduto nelle
nebbie di un sogno, dai tratti volutamente sfumati, si concretizzerà
nel giorno stesso del distacco, nel rituale degli addii e degli
abbracci:
Strano
che possa vedere, come fosse ora, tutti i volti dei domestici e
descrivere nei più minimi particolari; ma quello di maman
mi sfugge del tutto. Forse perché in tutto quel tempo noni avevo mai
avuto il coraggio di rivolgerle uno sguardo? Come se, facendolo, i
nostri dolori avrebbero raggiunto vette impossibili.
Anche in questo
caso la figura della madre viene quasi annullata, ridotta a un
bottone come nella trasfigurazione onirica, quasi un meccanismo di
difesa per contenere l’eccesso di dolore. Come se Nikolàj, nel
rimuovere il ricordo fisico, visivo della propria madre, cercasse di
cautelarsi da un dolore impossibile da sopportare ma allo stesso
tempo condannando sua madre all’oblio.
Si
è spesso parlato, in sede critica, in ambito di teoria del romanzo,
della peculiarità tutta tolstojana dell’uso dello
straniamento a cui spesso l’autore fa
ricorso soprattutto nella sua produzione più matura6.
Il canone del romanzo realista viene in questo modo eroso
dall’interno - la tonalità melodrammatica attraverso l’uso di
questo dispositivo avvicina la mimesi a tecniche che saranno
appannaggio del successivo modernismo. C’è da chiedersi se questo
stesso meccanismo sia già operante all’interno della prima
produzione letteraria di Tolstoj. Al di là di ogni possibile
interpretazione, è innegabile che la figura di Nikolàj è un
elemento perturbatore-perturbante, un soggetto che getta, con il suo
sguardo straniante - nonostante la copertura di una naturalezza
apparentemente disarmante - scompiglio all’interno del tessuto
narrativo di cui scardina la struttura stessa.
Sessualità
e Realtà
Nei
suoi Tre saggi sulla sessualità,
Sigmund Freud mostra, com’è noto, una particolare attenzione allo
sviluppo della sessualità, strutturata attorno a una perdita, quella
dell’oggetto del godimento. Da allora «il bambino perverso
polimorfo» ricerca senza sosta l’oggetto perduto7.
E la sessualità in Nikolàj si caratterizza esattamente nei termini
di una perdita, di un vuoto, come abbiamo visto. La morte della madre
segnerà uno spartiacque, un varco ideale, per la comprensione di
tutto quello che segnerà le tappe della sua evoluzione affettiva
successiva. L’affetto omoerotico per un compagno adolescente,
elemento narrativo centrale nell’economia del romanzo, è vissuto,
ad esempio, all’insegna di quella stessa ambiguità che
caratterizza ogni suo passo, ancora una volta un momento iscritto nel
registro del Reale
e in quanto tale, incomprensibile. La fascinazione che Serioša Ivin
esercita su Nikolàj è folgorante, immediata. Poco dopo l’arrivo a
Mosca i due si sono subito conosciuti e, pare di capire, frequentati.
La bellezza di Serioša, in netta antitesi con la scarsa avvenenza di
Nikolàj, viene presentata in termini che non lasciano dubbi, in
termini di un’autentica adorazione:
La sua
particolare bellezza mi aveva colpito fin dal primo sguardo. Avevo
provato per lui un’attrazione irresistibile .
непреодолимое
влечение Nepreodolìmoe
vlechènie, è questa l’espressione
utilizzata da Tolstoj. Il punto focale di questo sintagma poggia
tutto sul primo termine, su quell’aggettivo che ingloba su di sé
la assolutezza del sentimento provato dal ragazzino. Usando ancora
una volta categorie lacaniane, si potrebbe intravvedere in
quest’attrazione un modo in cui il significante si insinui
all’interno del mondo del fanciullo e scivoli al di sotto di un
altro significante.
Il desiderio
è una metonimia
in quanto,
come i significanti che lo
compongono,
si caratterizza per una ricerca
incessante e senza
fine (la coazione a ripetizione)
dell’oggetto del godimento
e proprio per questo
genera un’elisione: la
parte presa per il tutto,
che evidenzia il topos
del desiderio del
ricongiungimento materno, tipico
del registro dell’Immaginario.
Non si tratta semplicemente di attrazione, trasporto, ma di qualcosa
di più e grazie a quell’aggettivazione che rende l’affermazione
sebbene assoluta, ancora una volta sfuggente, correlata al vuoto a
cui cerca di dare un significato. Nikolàj è innamorato, almeno
così sembra in questa fase, del fascinoso Serioša. Bellezza fisica
unita alla scontrosità del carattere del suo oggetto del desiderio
non fanno che accrescere il carico seduttivo del giovane. D’altronde,
la natura polisemica dell’attrazione, se non proprio erotica, ma
sicuramente a livello di fascinazione
tra giovani ancora acerbi, soprattutto a livello incosciente,
innerverà, prima ancora di una sua teorizzazione psicoanalitica, le
narrazioni della letteratura anticipando, ed anche di molto, la
successiva sistematizzazione scientifica. Come esempio fugace e
restando in ambito russo, troveremo, anche se con le dovute
differenze, un meccanismo del genere operare anche in Dostoevskij.
All’inizio della Parte quarta dei Fratelli
Karamàzov, la figura del ragazzo Kòlja
domina la scena del romanzo. Ad un certo punto il racconto si
concentra sul particolare rapporto che si instaura tra lui e il suo
compagno di ginnasio Iljuša, più giovane e vittima del bullismo dei
compagni di corso più grandi di lui che non colgono l’occasione
per umiliarlo. Kolja, ad un certo punto, prende in simpatia il
novellino e lo accoglie sotto la sua ala protettrice. In lui
sembrerebbe essere scattato un semplice meccanismo di giustizia di
classe che è parte integrante del suo stesso carattere
rivoluzionario.
Il piccolo Iljuša, la cui psicologia fragile e complessa è un misto
di abnegazione e orgoglio, si lega immediatamente a Kolja in un
rapporto di completa sudditanza:
E
così i ragazzi smisero di picchiare Iljuša e io lo presi sotto la
mia protezione. Vedevo che è un ragazzo orgoglioso, vi dico, proprio
orgoglioso, ma andò a finire che si dedicò a me come un servo,
eseguiva tutti i minimi comandi che davo, mi ascoltava come un Dio,
cercava di assomigliarmi [...] ma veniamo al sodo: noto che si
sviluppa nel ragazzo una certa sensibilità, del sentimentalismo,
mentre io, sapete, sono nemico giurato di tutte queste smancerie da
vitellino, fin dalla mia nascita 8.
Sentimentalismo,
сентиментальность
(sentimental’nost), è
il termine che Dostoevskij usa per designare il ‘particolare’
rapporto che si è instaurato tra i due. Anzi, per demarcare ancora
di più la portata ambigua del termine, e come per porre un argine
contro possibili derive affettive, Kolja aggiunge che questa
eccessiva sensibilità - чувствитель’ность’
chuvstvitel’nost’
- è roba da vitellini (vsjakich
teljachich neshnostej, всяких
телячьих нежностей = qualsiasi tenerezza di vitelli)
da cui è sempre fuggito (враг vrag,
nemico) come un nemico, un avversario.
Come nel caso della coppia Nikolaj-Serioša, in cui l’attrazione
sentimentale è tutta sbilanciata ancora una volta verso i componente
più giovane e debole della coppia, Nikolàj, mentre l’oggetto del
desiderio si caratterizza per una forte carica di indipendenza e
dominio - non disgiunta anche da una certa dose di disprezzo-, anche
nel caso che vede coinvolta la coppia Iljuša-Koljia, vediamo
all’opera sempre lo stesso sbilanciamento: il più fragile sente
con forza il proprio attaccamento, che assume addirittura caratteri
patologici, di vera e propria sudditanza, mentre il più forte,
animato da intenti pedagogici, domina, anche se spinto da nobili
intenzioni, e non tarderà, anche in questo caso, a punire con il
disprezzo il suo sottoposto. Nel rapporto di dipendenza con il
proprio oggetto del desiderio, Nikolàj sperimenta lo stesso grado di
sudditanza nei confronti dell’universo materno, forse perché ne è
inconsciamente condizionato. È un desiderio sbilanciato, intriso di
sudditanza ma anche di un’irresistibilità che riproduce quello
materno. L’amore si inscrive nel registro del Reale,
mentre Nikolàj annaspa in quello del
Simbolico,
cercandone una decodifica attraverso
il
linguaggio, i codici semiotici. Nikolàj
prova attrazione anche nei confronti di giovani ragazze - per
Kàten’ka, la cui natura sfuggente e spesso ritrosa sarà una
costante che agirà sottotraccia dell’intero ciclo, ma soprattutto
per Sonečka, oggetto però più ammirato che desiderato come vedremo
tra poco. Il suo eros, certo, è ancora in una fase di definizione,
però è indubbio che nei confronti di Serioša l’attrazione va al
di là della semplice ammirazione e dove è presente una componente
omoerotica molto forte.
La
componente sessuale gioca un ruolo nel comportamento eversivo
del piccolo Nikolàj ed è incapsulata all’interno di una dinamica che vede come elementi centrali proprio
quelle figure che rientrano nella categoria della Realtà
lacaniana, come la madre. Non è forse azzardato supporre che gran
parte del comportamento di Nikolàj dipende proprio dal suo rapporto
con la figura materna e conseguentemente dalla sua dimensione
erotizzata. Il mondo affettivo di Nikolàj è un altro aspetto in cui
la Realtà prende
il sopravvento, scompigliando le carte e rendendo la cornice di
riferimento confusa. Senza scomodare abusate categorie
psicoanalitiche, è proprio la Madre, in quanto entità centrale,
deputata istituzionalmente ai misteri dell’affettività, a svolgere
un ruolo centrale nello sviluppo successivo del figlio e a riprodurre
nella ricerca del figlio gli stessi schemi atavici, la stessa
coazione a ripetere nell’illusione di una conoscenza del desiderio.
Il padre di Nikolàj, da questo punto di vista, è una figura che si
caratterizza per la sua assenza, figura genitoriale detentrice di un
potere esclusivamente decisionale - sarà lui a imporre la partenza
dalla campagna per Mosca - ma scarsamente operativa a livello
affettivo - come era d’altronde da aspettarsi in una società di
questo tipo. Nonostante la figura del padre sia presente a livello
narrativo in tutto il ciclo, la sua è comunque sempre una
presenza-assenza nel vero senso della parola. Un capitolo, e
precisamente il decimo - Che uomo era
mio padre - , ne traccia, a grandi
linee, le caratteristiche salienti. Ne esce fuori il ritratto
stereotipato di una figura ancorata ancora al vecchio mondo,
donnaiolo e limitato a livello intellettuale, ma dotato di un innato
senso di praticità. Al di là di questa specie di cammeo, stilato da
Tolstoj sembrerebbe frettolosamente e più per motivi di economia del
racconto, non avremo in seguito che fugaci annotazioni, una labile
presenza. Non è chiaro il ruolo che la figura paterna abbia avuto
nella formazione della psiche del ragazzo, ma certamente, a parte il
principio di autorità che incarna, ha poco da aggiungere in fatto di
sviluppo di un’affettività consapevole. Figura centrale rimane,
quindi, quella della madre che, sebbene presente fisicamente solo nel
primo romanzo, sembra aleggiare come un’ombra per tutto il ciclo.
Un ballo a Mosca
Un
esercizio, per così dire, sul campo, che mette in luce le dinamiche
affettive inscritte all’interno della categoria del Reale
e che si agitano all’interno della
psiche di Nikolaj, è rappresentato dai capitoli centrali del
romanzo. Nella sequenza del ballo in casa della nonna a Mosca,
vediamo all’opera i due poli dell’attrazione amorosa di Nikolaj.
L’elemento maschile e femminile, incarnati nella coppia
Serioša-Sonečka, entrano in competizione. La grazia della ragazza è
paradigmaticamente messa in opposizione con la ruvidezza di Serioša,
secondo uno stereotipo che vede la polarizzazione dei personaggi
secondo l’opposizione binaria di leggerezza/Sonečka
-gravità/Serioša. Spavalderia e un certo grado di rozzezza
connotano il ragazzo - impegnato, durante il ricevimento, in un vero
e proprio episodio di bullismo ai danni di un ragazzetto inerme e che
vede coinvolti tutti i maschi della piccola brigata, compreso, almeno
all’inizio, lo stesso Nikolaj. Serioša, è il vero oggetto del
desiderio, anche se sembra piuttosto assolvere al ruolo di
mediazione
di cui parla René Girard nella sua teoria del desiderio triangolare,
in cui si generano campi di co-dipendenza tra i tre personaggi,
seconda la logica del desiderio mimetico9.
Serioša rappresenta il mediatore, momento su cui si focalizza il
vero desiderio, autocensurato, di Nikolàj, nonostante le sue
attenzioni sembrano riversarsi su Sonečka. Ma la ragazza è solo un
elemento di normalizzazione, una perturbazione nella dinamica che
invece lavora sotto traccia: il desiderio omoerotico di Nikolàj per
Serioša. Si assiste a uno
“scivolamento” del desiderio, per cui la volontà del soggetto di
possedere l’oggetto viene trasposta sul mediatore stesso10.
In entrambi i tipi di fascinazione è
connaturato, a ben vedere, lo stesso grado di artificialità che li
rendono più schemi a cui adeguarsi, che il frutto di un consapevole,
naturale coinvolgimento. Nikolàj addirittura vorrebbe che tutti si
innamorassero di Sonečka, quasi fosse un trofeo da esporre al
desiderio altrui e, sembrerebbe di capire, soprattutto al suo rivale,
Serioša, appunto. La sequenza del ballo si conclude con
un’affermazione perentoria di esclusione definitiva di Serioša
dall’orizzonte affettivo di Nikolaj. Ed è esattamente quello a cui
mirava, seppure a livello inconscio, ma con un fine ben diverso:
servirsi
della ragazza come pretesto per liberarsi di Serioša e del suo amore
negato. Il comportamento di Nikolaj in effetti è molto ambiguo:
Lasciando gli
Ivin, parlai con Serioša con molta disinvoltura, addirittura con un
certo distacco, e gli strinsi la mano. Non so se si rese conto che
da quel momento aveva perduto il mio amore e il suo potere su di me,
sicuramente lo rimpianse, nonostante gli sforzi per non lasciarlo
dare a vedere. Avevo tradito in una storia d’amore per la prima
volta e per la prima volta ne avevo provato piacere.
Sembrerebbe
di leggere tra le righe quest’uso strumentale della ragazza come
un’arma usata per una forma di rivincita nei confronti del vero
oggetto del suo desiderio, Serioša, appunto, e una punizione per la
sua irrealizzabilità. Serioša incarna, quindi, anche lui la
categoria enigmatica del Reale,
mentre gli altri personaggi si muovono all’interno degli altri
registri. Nikolàj sembra cosciente dell’impossibilità di una
concreta realizzazione del suo desiderio erotico, che innesca nel suo
comportamento una questa specie di vendetta giocata a tavolino.
Sonečka, come d’altronde si vedrà chiaramente nel terzo romanzo
del ciclo, sarà sempre in bilico in questo gioco di
inclusione-esclusione, come un’arma a doppio taglio. In quello che
sarà il loro ultimo incontro, tre anni dopo, lei gli apparirà ne
L’adolescenza cambiata e distante da
quel mondo in cui erano sembrati felici. Nikolàj, nell’andarla a
trovare, oscillerà ancora una volta nel voler definire quella che
era stata la natura vera di quella passione giovanile. Si dice ancora
innamorato per poi smentirsi in un’altalena di contraddizioni. È
evidente che il suo non era stato amore nei confronti di Sonečka.
Prima ancora di incontrarla, la immagina deturpata in volto per un
incidente di carrozza per poi meravigliarsi, nel vederla, che abbia
conservato gran parte della bellezza di un tempo. L’incontro,
formale e dominato dalla presenza castrante della madre della
ragazza, è un capolavoro di formalità e raggelata impotenza da
parte di Nikolàj.
Dopo la serata
del ballo, dopo aver corteggiato Serioša in maniera goffa, confusa,
spinto da una forma di riscatto e rivalsa, nel chiuso della stanza,
prima di prendere sonno, Nikolàj pronuncia quella che è la frase
più significativa del suo apprendistato sentimentale:
- Come ho potuto
mai amare Serioša così tanto e così a lungo? – dicevo a me
stesso, disteso sul letto. - No, lui non ha mai capito, non era in
grado di apprezzare e tanto meno di meritare il mio amore .
Kak
mog ja tak strastno i tak dol’go ljubit’ Serešu? - ras sušdal
ja, leša b postjeli -Njet! On nikogdà nje ponimal, nje umjel
tzenit’ i nje stoli mojei ljiubvì. (Как
мог я так страстно и так долго любить
Сережу? — рас суждал я, лежа в постели.
— Нет! он никогда не понимал, не умел
ценить и не стоил моей любви).
Ljubìt’
è la radice attorno alla quale ruota tutto il valore semantico dello
sfogo di Nikolàj, una radice che, reiterata, riverbera su tutto il
sintagma e ne caratterizza la pregnanza di senso e che lascia pochi
dubbi sulla vera natura dei sentimenti del ragazzo.
Il
mondo affettivo di Nikolàj,in ultima analisi, sia esso
rappresentato dalla Madre o dagli amori giovanili, è fortemente
ancorato ad una dimensione inconoscibile e sfuggente, a quel Reale
di cui gli sfuggiranno sempre le chiavi di lettura e dal quale
rimarrà costantemente irretito.
______________________
Note
1Jacques
Lacan, Il Seminario, libro II. L’io
nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi,
Torino, Einaudi, p. 268.
2
Le traduzioni, tratte dall’edizione: Л. Н.
Толстой, Полное собрание
сочинений, Том1, Москва
1935, ove non specificato diversamente, sono mie.
3Cfr.
Capitolo XV, Infanzia,
p.70.
4Jacques
Lacan, Arte linguaggio desiderio,
cit., p. 38.
5Ibidem.
6
Guido Mazzoni,
Teoria del romanzo, cit. , pp. 298-302.
7Sigmund
Freud, Tre
saggi sulla teoria sessuale,
Al di là del principio di
piacere, Torino,
Boringhieri, 2012, p. 77.
8
Fedor Dostoevskij
I Fratelli Karamàzov,
trad. it. Nadia Cicognini e Paola Cotta Ramusino, Mondadori, Milano,
2016, p.555.
9
René Girard, Mensonge
romantique et vérité romanesque,
Paris, Bernard Grasset, 1961.
René Girard espone la sua teoria
applicandola a tre grandi romanzi: il Don
Chisciotte (1605/1615) di Miguel de
Cervantes, L’eterno marito (1870)
di Fëdor Dostoevskij e Il Rosso e il
Nero (1830) di Stendhal. Secondo
René Girard, il desiderio che un soggetto prova per un oggetto non
può mai dirsi spontaneo, nel senso che non proviene, come si tende
generalmente a pensare, da un impulso intimo e personale, ma, al
contrario, è sempre generato da un bisogno di imitare il desiderio
di un Altro,
chiamato “mediatore”. La figura spaziale che esprime questa
relazione è il triangolo: mediatore-soggetto-oggetto.
Il desiderio, quindi, non lega
semplicemente il soggetto all’oggetto, perché c’è sempre la
presenza di un mediatore che esercita la sua influenza a un livello
superiore. In sostanza, il desiderio triangolare significa che il
soggetto non desidera veramente l’oggetto, ma imita il desiderio
che il mediatore prova per quest’ultimo. L’individuo non desidera
l’oggetto per il valore che possiede in quanto tale, ma perché
quell’oggetto viene già desiderato o posseduto da qualcun altro.
Il mediatore, peraltro, non è una persona scelta a caso: si tratta
di un vero e proprio modello che il soggetto erige a esempio assoluto
e che prova a imitare nei suoi comportamenti, gusti e pensieri. Di
conseguenza, il desiderio non è mai autentico né spontaneo, ma
sempre imitato.
Il soggetto crede che
il suo desiderio è suscitato da un oggetto specifico, ma in realtà
non fa che imitare il desiderio di un modello che ammira. Dal momento
che l’influenza del mediatore si fa sentire, il senso del reale si
perde in modo definitivo: il desiderio triangolare conduce in modo
irrefrenabile all’alienazione e alla non-realtà.
Ivi, pp.
12-15.
10Ivi,
p.52.
______________________
Note biobiliografiche
Tiziano Mario Pellicanò si è laureato in Lettere con Giulio Ferroni all’Università di Roma “La Sapienza”. Si occupa di Letterature comparate e critica letteraria, in particolare del periodo storico tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Ha pubblicato, oltre a interventi in varie riviste specializzate: Identità e mascheramento in Proust, in AA.VV., And love finds a voice of some sort, Roma, Carocci, 2020; Albertine e i fiori di syringa. Menzogne e metamorfosi di un personaggio proustiano, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2022; e il romanzo: Villa Lysis, Abrabooks, Vicenza, 2021. In programmazione: Le rose di Eliogabalo. Identità, marginalità: Incursioni nella letteratura moderna (1850-1915)
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