(Redazione) - Dissolvenze - 17 - Mostri a colazione

di Arianna Bonino


Il regno di Eli sulla costa del Malabar
nella miniatura del codice 2810 della Bibliothèque Nationale di Parigi,
noto come "Livre des Mereveilles
"

Marco Polo era un bugiardo. Un impostore.
Se fossi stata sua contemporanea e avessi avuto la fortuna di leggere o farmi leggere le memorie dei suoi incredibili (appunto) viaggi, non escludo affatto che avrei potuto dubitare anch'io - e fortemente - della veridicità di quei racconti.
Non stupisce per nulla che, stando a quanto riferisce Jacopo da Acqui, più d'uno abbia invitato Polo a fare editing dei suoi testi, sollecitandolo ad espungere quanto non fosse strettamente rispondente al vero.
Dev'esser stato frustrante per Polo non esser creduto. E pensare che, come lui stesso andava dicendo, era riuscito a descrivere meno delle metà delle meraviglie e stranezze viste e incontrate davvero.
Diversa sorte ebbero invece i racconti di frate Odorico e le storie di sir John Mandeville, frutto evidentissimo di fantasie sfrenate - diremmo e diciamo oggi -, ma che all'epoca passarono per rendiconti realistici di avventure vere, per il sol fatto che descrivevano animali e creature noti, attingendo alla letteratura cavalleresca, alle enciclopedie ma anche a tanti testi letterari e (pseudo) scientifici che avevano creato ormai un substrato culturale assodato e condiviso, direi riconoscibile.
Molte delle cose viste e riferite da Polo erano invece ignote, non si sapeva nemmeno come chiamarle, non avevano alcun referente culturale nel gentile pubblico degli uditori, lettori e tanto meno dei trascrittori, traduttori e, cosa che qui m'interessa maggiormente, degli illustratori.
Manoscritti de "Il Milione" se ne produssero innumerevoli, ma solo uno fu illustrato e, oltretutto, con incantevoli miniature.
Si tratta di un codice realizzato per Giovanni Senza Paura, duca di Borgogna all'inizio del XV secolo, il "Livre de Merveille", mirabilmente decorato dalle miniature realizzate dalla rinomata bottega parigina del maestro di Boucicaut (identificato di frequente con Jacques Coëne, grandissimo miniaturista originario di Bruges e antecedente di uno come Jan van Eyck).
Ora, le splendide illustrazioni del manoscritto di Polo stabiliscono un paradosso curiosissimo ma altrettanto comprensibile: sono numerose le evidenti discrasie tra quanto narrato da Polo e quanto si può vedere invece illustrato nelle miniature, che manifestano infatti la netta tendenza a "correggere" il testo, "traducendolo" in immagini di animali e mostri immaginari ma più credibili - perché riconoscibili - rispetto alle ignote bestie orientali, completamente sconosciute e pertanto inimmaginabili e non credibili.
Ed ecco che il vero - e non creduto vero - rinoceronte di Sumatra di Marco Polo diventa l'inesistente - e invece pacificamente creduto reale - unicorno del miniaturista Boucicaut.
A nulla vale la descrizione di Polo, che dice che vide bestie con "pelo di bufali e e piedi come leonfanti" e dal grosso corno nero, oltre che dotate di una spinosissima lingua, precisando che la creature in questione "è molto laida bestia a vedere".
E a tale mistificazione del vero a favore del credibile non valse da deterrente nemmeno quanto specificato da Polo stesso nel suo scritto e cioè che quella bestia - il suo rinoceronte - non fosse da confondere con l'altra - l'unicorno - che evidentemente Polo stesso conosceva per averla vista in rappresentazioni pittoriche, come i suoi increduli contemporanei.
Boucicaut e la sua bottega di miniaturisti non si fecero fuorviare dalla verità di Marco Polo, ritenendo che la loro fosse quella più vera, senza dubbio.
Ed è così che la descrizione del regno indiano di Eli, "paradiso di leoni e di altre bestie feroci", si trasforma in uno splendido e del tutto fantasioso disegno dove un paesaggio costellato di picchi rocciosi, viene popolato dai miniaturisti di uno zoo conosciuto e creduto.
Ecco comparire allora l'orso, il cinghiale, il leone, la volpe, il cigno. E, soprattutto, l'unicorno rampante, la più rara (eh, sì) tra le fiere selvagge e anche la più allegorica, essendo diffusa e consolidata la leggendaria credenza che vedeva questa fiera creatura, mostruosamente bella e sfuggente, passibile di cattura solo qualora indotta ad addormentarsi in grembo ad una fanciulla vergine, e come tale, credenza evolutasi via via in simbolo di Cristo e ribadita poi ancora a lungo, basti pensare alla bella descrizione che ne fa Brunetto Latini, che appunto precisa: "quando l'unicorno vede la fanciulla, la sua natura gli dae che, incontanente ch'egli la vede, si ne va da lei, e pone giuso tutta la sua fierezza".
Un candido cavallino dal grazioso cornetto ritorto, non il bestione scuro e laido di Polo.
Marco Polo non è colpevole, ha visto i suoi mostri e li ha narrati.
Ha fatto tutto il possibile per non cedere all’immaginazione, oggi lo sappiamo. Anche se quella lingua spinosa è solo una storiella cinese...
Ma non si può condannare nemmeno il bravo miniaturista che, al posto delle bestie vere, disegna mirabilia e mostri mai visti da Polo, ma che lui credette veri, come fecero i lettori che desideravano ritrovarli in quelle pagine.
Veri mostri, mostri noti, riconoscibili.

Immagine è tratta dal " Livre des merveilles", Tav. 84

Ma non sono solo i mammiferi cornuti di Polo a togliermi il sonno.
Per colpa sua sto impazzendo anche per rintracciare la fisionomia di uno strano vegetale che Marco avrebbe avvistato sulle coste del Malabar, nel reame di Coilu: i "mirabolani emblici".
Ecco dove se ne parla ne "Il Milione"(secondo il testo della «crusca» reintegrato con gli altri codici italiani a cura di Dante Olivieri, Laterza, 1912) CLVII. 

Del reame di Coilu (Coilum)

Coilu si è un gran reame verso gherbino, quando l’uomo si parte di Mabar e va cinquecento miglia. E tutti sono idolatri, e si v’ha cristiani e iudei, e hanno loro linguaggio.
Qui nascono i «mirabolani emblici», e pepe in grande abbondanza, che tutte le campagne e boschi ne sono piene: e tagliansi di maggio e di giugno e di luglio. E gli albori che fanno il pepe son dimestichi e piantansi e inacquansi.
Qui hae sí grande caldo che a pena vi si puote sofTerire: che, se togliesse uno uovo e mettessolo in alcuno fiume, non anderesti quasi niente che sarebbe cotto. Molti mercatanti vi vengono di Magi e d’Arabia e di Levante, e recano e portano mercatanzia con lor navi. Qui si ha bestie divisate dall’altre: ch’egli hanno leoni tutti neri e pappagalli di piú fatte, che ve n’ha de’ bianchi, ed hanno i piedi e ’l becco rosso, e sono molto begli a vedere; e sì v’ha paoni e galline piú belli e piú grandi ch’e’ nostri. E tutte cose hanno divisate dalle nostre, e non hanno niuno frutto che si somigli a’ nostri...

Ecco, i misteriosi "mirabolani emblici": di che si tratta?
Intanto, occorre ricordare ancora che non fu Polo a scrivere "Il Milione" e che questi termini non sono nemmeno da attribuire al povero Rustichello da Pisa, che, incarcerato a Genova dopo la Battaglia della Meloria, proprio in galera incontra Marco Polo (a sua volta fatto prigioniero probabilmente nel 1298, dopo la sconfitta veneziana nella battaglia di Curziola).
E cosa fanno due come Rustichello e Polo in carcere? Chattano, come tutti. A dire il vero, Marco racconta e Rustichello scrive. Però, se è vero - come è vero - che Rustichello scrisse, scrisse in lingua d'oil, tant'è che "Il Milione" originale si intitola "Le divisament dou monde".
Quindi è solo ad una trascrizione successiva che dobbiamo l'utilizzo dei vocaboli "mirabolani emblici" che - come tra l'atro nota Eco (in "Storia delle terre e dei luoghi leggendari") - sono appunto termini appartenenti alla versione toscana de "Il Milione".
Ma, a questo punto, non si capisce ancora che diamine di frutti o bacche siano.
Quindi sono andata a cercarmi i "mirabolani emblici" non dal fruttarolo (anche perché sono ancora reclusa e comunque non so che faccia avrebbe fatto incartandomi direttamente un casco di banane..., ma posso ben immaginarmela), ma tentando di individuarli in qualche scritto illuminante.
Allora, innanzi tutto, "mirabolani" viene dal greco: μuρον = profumo e βàλανος = ghianda. E ce ne sono ben cinque tipi: emblici, bellerici, chebuli, citrini e indici.
Nel "Circa Istas" (testo di riferimento della Scuola Salerintana, redatto tra 1150 e il 1170 e comunemente e con ogni probabilità anche erroneamente attribuito al medico Matteo Planetario), si dice: "I mirabolani sono frutti di alberi che crescono in India. Anche se hanno la stessa forma, possiedono nature e qualità diverse, esattamente come le prugne. Infatti, gli autori affermano che tutti i mirabolani purgano l'umore collerico, ma che alcuni sono più efficaci di altri. I citrini purgano in primo luogo l'umore collerico e poi la flegma. Per i chebuli è esattamente il contrario.
Gli indici purgano l'umore malinconico e l'umore collerico. Infine, sia gli emblici che i bellerici purgano sia la flegma che l'umore collerico".
I mirabolani sono citati anche in un altro testo intrigante, questa volta del 1300. Si tratta del "De conservanda juventute" del medico, mago e alchimista Arnaldo da Villanova che ci fa la grazia di lasciarci direttamente la ricetta per una pozione dai prodigiosi effetti (non si sa mai, dovesse il mio tamponamento imminente avere ancora esiti nefasti...) pozione che 

"giova ai malinconici, ai furiosi, agli oppilati, agli essicati, ai rugosi, alla collera rossa e alla nera degli ipocondriaci, al caldo delle parti estreme, al rossore degli occhi, a quelli che incanutiscono, a quelli che patiscono mal di stomaco e batticuore: piglia sei once di mirabolani citrini, sei grammi di chebuli, sei dramme di emblici e sei di bellerici, una dramma di mastice , una di anice e una di semi di finocchio, mezza dramma di spigo (Nardostachys jatamansi), di chiodi di garofano, di aloe, tre once di miele e tre di cassia. Metti tanto zucchero che basti. Di queste cose farai la triphera e la userai al bisogno".

Se tutto ciò ancora non bastasse a fare scorte di tali miracolosi frutti (e di tutte le altre droghe necessarie a scongiurare innumerevoli mali), ci si mette addirittura Bacone a sponsorizzare le portentose ghiande in questione, infatti uno o più mirabolani risultano indispensabili nelle ricette degli otto «composti» che Ruggero indica nella sua lettura del "Secretum Secretorum" e che definisce addirittura "gloria inestimabilis" e non solo...
Ora, io non so cosa veramente vide Polo sulle coste del Malabar, come lo raccontò a Rustichello, come Rustichello decise di scriverne in lingua d'oil e come si arrivò al toscaneggiante "mirabolano emblico". So però che da oggi i mirabolani entrano di diritto tra i miei mostri del cuore.
Li volevo per cena, ma mi sono persa nel tentativo di capire che fossero. Non l'ho capito, ma intanto li assaggio: vanno benissimo anche adesso che si è fatta ormai ora di colazione.

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Commenti

  1. Donna di indiscussa classe, lettrice indefessa e scrittrice sopraffina. Tutto ciò è Arianna Bonino che non solo nella fisiognomica, ma anche nella raffinata penna, ci ricorda.la compianto Cristina Campo.

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    1. Un complimento smisurato e molto emozionante, grazie! (da Arianna Bonino)

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  2. cara Arianna, continuo sempre a chiedermi, ogni volta che ti leggo, come fai a trovare queste chicche raffinate..la tua curiositas è sovrumana

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    1. Da Arianna Bonino
      “È l’unico mio difetto a cui non potrei mai rinunciare questo desiderio irrefrenabile di conoscere e di risalire il più possibile all’origine. Grazie ”

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