(Redazione) - Estratto dalla silloge di Davide Cortese "Zebù bambino" (Terra d’ulivi edizioni) - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati
Davide Cortese - Ph. di Antonio Strafella |
Ve lo ricordate il poster degli anni '70 di opposizione al conflitto in Vietnam in cui era raffigurato un soldato colpito alla schiena con una grande scritta Why?
Penso sia stato il poster più appeso sui muri delle stanze dei ragazzi di quella generazione e, ancora oggi, a rivederlo non si può non provare un piccolo brivido di memoria.
Ecco lo stesso piccolo brivido l'ho provato leggendo, con un gran sorriso, la silloge di Davide Cortese (Terra d’ulivi edizioni) dal titolo Zebù bambino.
Solo che al monito del poster si univa una parola molto pregnante.
Leggere, e farlo a fondo come la Redazione de LE PAROLE DI FEDRO fa sempre, la silloge di Davide Cortese, è un continuo esclamare tra sé e sé WHY NOT? - WHY NOT? - WHY NOT?
L'opera, in cui l'ironia è il collante principale, ma non certo l'unico, é una unica gigantesca esclamazione di stupore, un dire e dirsi, perché no? perché non ci si è pensato prima?
Questo emerge già dal tema eletto: l'infanzia del diavolo.
E già, anche i diavoli hanno un'infanzia e soprattutto ogni infante ha un parte di dia-bolo dentro di sé, un che di separazione e cognizione del mondo per differenza che va coltivato tanto quanto il suo antagonista empatico: il sin-bolo.
L'infanzia è questo in fondo, il manifestarsi, spesso sgraziato, della necessità di conoscere il mondo, l'altro da sé sia in ciò che a noi ci riporta (simbolo) sia per differenza da noi stessi (diabolo).
Allora, sì, diviene necessaria l'ironia, per poter sostenere, che è altrettanto importante saper capire ciò che ci accomuna che ciò che ci divide dall'altro.
Similitudine e metafora reggono il linguaggio, si sa. Però discernimento e differenza ogni discorso scientifico. Una rosa non è papavero perché dal papavero si differenzia per una serie di ragioni.
Eppure entrambi sono fiori perché ci sono elementi che permettono di metterli nello stesso genere.
La cosa più importante che apprendiamo nell'infanzia è proprio questo eterno gioco tra similitudine e differenza e a non abbandonare mai una delle due vie di conoscenza per l'altra.
Abbiamo bisogno di entrambi i criteri per crescere.
Quindi ben venga l'ironia dell'opera, che si manifesta nella scelta di una metrica stretta e di una rima perfetta, come ad un richiamo ad un passato letterario ahinoi in disuso, ma sapendo che dietro questa ironia sta una sapienza sottesa.
Quella che non solo ci permette di dire che ogni "povero diavolo" ha avuto una sua infanzia, ma anche di parlare dell'elemento di conoscenza anche dia-bolica che si apprende appunto nei primi anni di vita; già nel riconoscere che mamma non è papà e noi non siamo né l'uno, né l'altra.
Per la redazione de Le parole di Fedro
Il caporedattore - Sergio Daniele Donati
ESTRATTO DALL'OPERA
Scoccano insieme
la mezzanotte e il mezzogiorno.
È l’ora di un eterno crepuscolo.
Due miei volti si specchiano
nelle ginocchia sbucciate
del demone bambino.
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Accende mille fiammiferi nella notte
Si brucia il ciuffo e le scarpe rotte.
Brucia un nome scritto su una nave.
Brucia la porta per far cadere la chiave.
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Nei suoi lascivi giochi
si accompagna a dannati rei
che sebbene lo conoscano
chiedono “chi sei sei sei?”
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A chi aspramente lo rimprovera
per qualche suo scherzo atroce
“L’ho imparato dagli uomini”
ogni santa volta dice.
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Diventerà un bel giovane
il piccolo Zebù.
Presto farà breccia
nel cuore di Gesù.
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