Sulla silloge di Patrizia Baglione "Nero crescente" (RPlibri, 2022) - nota di lettura di Sergio Daniele Donati
È un polipo la tristezza
dalle spire lunghe
ti guida senza che sia tu a volerlo
quasi cadi giù
resti a contemplare il nero
ma è poco, non basta
è ancora troppo buio
Chi segue questa pagina sa quanto sia raro che le note di lettura esordiscano, senza pre-commenti, con una poesia tratta dalla silloge in esame. Eppure questa volta, nel parlarvi de Nero crescente (RPlibri, 2022) di Patrizia Baglione, mi è parso necessario lasciare al lettore tutto lo stupore della poesia d'esordio della silloge stessa.
E questo perché è proprio in questa apertura al mondo della poeta che pare a chi vi scrive di poter scorgere tratti che poi ritroviamo in altre composizioni nella raccolta: uso della metafora in esordio di composizione, il passaggio ad un linguaggio - allo stesso tempo intimo e descrittivo - dato dal passaggio quasi subitaneo alla seconda persona singolare, un gioco tra primo e ultimo verso che si ripete in quasi tutte le composizioni, quasi a formare, se letti per salto dei versi intermedi, ermetiche composizioni del tutto autosufficienti.
In questa poesia in particolare la seconda persona singolare assume ruolo descrittivo dell'intera pluralità eppure chi legge non si percepisce essere di fronte ad un richiamo impersonale. È come se la poeta si rivolgesse non ai lettori indistintamente ma al lettore individuo e gli descrivesse percorsi ineludibili e senza vie d'uscita: cammini da percorrere perché non evitabili.
___
Volti morti mi sbattono in faccia
come foglie secche
uscite dal ramo
resto comunque lineare
assorta, umana
davanti alla loro tristezza.
Il tema della morte si ritrova più volte nella silloge, ma nella composizione qui sopra assume declinazioni del tutto particolari, oserei quasi dire oniriche.
Patrizia Baglione qui dimostra ogni sua maestria nel saperci ricordare che ciò che muore per primo è l'apparenza, l'emergenza delle nostre esistenze.
Ciò che ci colpisce, con la veemenza di uno schiaffo (sbattono in faccia), è la morte dei volti, in altre parole delle sembianze dell'umano. Qui la poeta, non so quanto consciamente, fa sua una profonda visione di radice ebraica che declina il termine volto sempre al plurale.
L'ebraico, sia moderno che biblico, infatti non conosce la parola volto ( al singolare ): ognuno è portatore di più volti che manifestano la nostra natura collettiva e plurale, in ogni istante.
Se letto in questa chiave - ripeto, non so se fosse intenzione dell'autrice - l'esordio della poesia assume una presa di coscienza della caducità dei propri stessi volti; caducità di fronte alla quale non si può che assumere un atteggiamento quasi meditativo, assorto e lineare, perché la tristezza che quell'immagine veicola porta con sé gli odori dell'ineluttabilità.
Ho sopra usato non a caso due aggettivi che ritengo essere del tutto idonei a descrivere la silloge: onirico e meditativo.
La scrittura della poeta, infatti, non è mai eccessivamente lirica, né troppo descrittiva ma sempre capace di mantenere il sacro equilibrio, purtroppo spesso assente nelle opere di poesia contemporanea, tra l'osservazione del cosmo - sia esterno che interiore - e la sua trascrizione in poesia.
A parere di chi vi scrive, lo si ripete, è dote davvero rara come rara è la capacità di Patrizia Baglione di trascinarci in un mondo fatto di immagini portatrici di simboli evidenti del sogno, senza cadere nella trappola degli eccessi di psicoanalizzazione.
Il suo è un richiamo al simbolo, al sogno, sempre molto tenuto e antecedente alla sua spiegazione e razionalizzazione, è un quasi-dire "questo ho visto"; e allo stesso tempo un concedere sempre il passo al lettore perché ne faccia lui l'interpretazione.
Le poesie della Baglione sono dunque doni di fatica al lettore ché l'autrice ben sa che non sta a chi scrive spiegare, né indicare vie interpretative. E questo traspare evidente nel testo.
Lo sa talmente bene che dona le sue immagini al lettore, lo abbraccia, e lo lascia col testo davanti, da srotolare come una pergamena antica.
Una silloge davvero importante e imponente, a parer di chi vi scrive, che vi consiglio davvero di non perdere.
E ora, come in esordio, taccio di fronte alle parole che più mi hanno colpito della silloge.
Ve le lascio - senza commento - come ultima traccia scritta di questa nota, sperando che, come hanno fatto con me, vi trascinino lontano.
Per la redazione
Il caporedattore
Sergio Daniele Donati
"Da questo punto della finestra
guardo profili nuovi
sembrano pozzi senza fondo
o sagome sfortunate
se posso ti lascio la casa del giorno
e senza ritorno ti abbraccio"
______
NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE
Patrizia Baglione è nata ad Arpino (Frosinone) nel 1994.
Fa il suo esordio nel 2019 con “La mia voce” (Quid Edizioni). Nel febbraio 2020
pubblica, con la casa editrice Kimerik, la sua seconda silloge dal
titolo “Malinconia
delle nuvole”; quest’ultima è stata presentata su Rai Radio Live.
Negli ultimi anni ha ricevuto alcuni riconoscimenti, come il Premio alla
Cultura al “Kalos” 2020.
È inoltre giurata del concorso artistico
letterario “Autori Italiani 2021”.
È stata inserita all’interno della
rivista letteraria “Transiti Poetici” a cura di Giuseppe Vetromile.
Dal
2022 è all’interno di “Atlantide – Centro studi Nazionali per le Arti e la
Letteratura”.
È inoltre curatrice e fondatrice del sito Versolibero.
"Nero crescente" (RPlibri, 2022) della collana diretta da Antonio Bux è la sua ultima fatica in
versi.
Commenti
Posta un commento