Deserti - Due poeti allo specchio (Anna Rita Merico e Sergio Daniele Donati)
Rabbi moltiplicaci parola e testo così che ne possiamo intravedere domanda
non farci restare ne l’interrogazione
L’interrogazione è la sponda del Libro
tra Libro e Libro l’interrogazione
interrogazione e assillo emergono dall’oblio
di scrittura e morte e gioco drammatico diciamo
ne diciamo scoprendo forma e limite nel foglio bianco su cui incideremo
ne incideremo a partire da dialogo silenzioso
Rabbi ma qui l’abisso è fondo
con occhi lacertati perdiamo nome nel senza pelle di un pensiero
sentiamo vuoto e interruzione e vento e soffio
Di linguaggi diciamo
parola per domandare parola per rispondere
linguaggio che interroga e linguaggio che risponde
Narraci la grammatica Rabbi
siamo tormentati da frammenti poltiglie ebbrezze senza limite ignoto fughe
l’abisso ci ha tolto nome
Deserto è volto d’abisso
come segnare tracce e orditi nel rischio?
come possiamo annotare il dentro delle bussole su questi grani azzardati?
Poso l’otre del dubbio ai piedi delle vostre domande affinché ne beviate e ne facciate interrogazione ancora
Poso l’otre del dubbio affinché possiate infilare sguardo nel passaggio da parola scritta a parola detta e da parola detta a parola scritta
Che l’inchiostro non annulli il passaggio
Rabbi iniziamo a vedere margine e orizzonte
Rabbi l’interrogazione taglia l’aria e arrotonda solchi
Rabbi il vento si ferma sulla duna e cala mentr'emergono i passi dell’assenza
sentiamo i passi dell’origine che avanza è origine senza origine è nascita di perdita
Rabbi è tamburo che batte nel petto è parola che sgorga è parola che brucia
è corpo che scende nel libro è tensione è silenzio è segno è apertura è lallazione d’infinito
non è più passo d’assenza è filo che ci attraversa e ci mostra i volti non più cancellati
ne raccogliamo nome
solo ora possiamo sono nomi d’alba nostra sono nomi che solo ora nascono perché rinascono
nascono perché rinascono da ventre nostro ventre di pensiero forgia di parola
Ora andiamo Rabbi
infinita la potenza della parola sul silenzio annidato dentro la duna
Ora andiamo Rabbi
abbiamo bordeggiato l’Altro e detto di noi, stretto verità e forgiato potere di nominare
Ora andiamo Rabbi stringiamo nome forgiamo mondo
A Anna Rita e al respiro delle cose
di Sergio Daniele Donati
Nelle valli che chiamano deserti si forgiano sapienze antiche
e l'urlo della poiana non incute minor timore
della deflagrante potenza del granello di sabbia.
Là ho udito per la prima volta il vagito della parola,
la cantica del vento e la traccia silenziosa del serpente.
Ho visto pozzi estinti e udito femminei canti capaci di dare nome
al senza terra, e di dissetarne gli occhi arsi dalla mancanza di confini.
Mi prostravo all'assenza,
mi prostravo all'assenza privo d'appiglio,
afono, consunto e nuovamente figlio.
Poi è cominciata la lenta conta dei passi,
la disperazione del senza traccia,
la maledizione del senza miraggio.
Io nasco figlio, nasco allievo,
e muoio incapace di trasmissione
ma nelle mie mani sono scritte storie,
tatuate da inchiostri mediorientali,
caratteri di cui decifro solo la forma;
e piango.
Piango lacrime di sabbia
e prego che mi sia concessa la forza del ritorno.
Nelle valli che chiamano deserti ho udito
per la prima volta il vagito della parola,
un singulto che chiedeva latte e un seno materno.
Ne ho preso in mano la fragilità
e l'ho consolato, così,
come consola il senza speranza;
colui che sa che ciò che manca al sé
deve essere donato al mondo.
Io nasco figlio e non morirò maestro,
resterò voce d'eterno allievo
col cuore che trabocca dell'orgasmo
dell'esser attraversato da voci
che vibrano nel mio sterno e poi fuggono
lontano a trovare sepoltura,
di nuovo là, nel deserto della parola.
Nella valli che chiamano deserti io cerco sepoltura
sotto pietre aguzze che deviino il viandante distratto
dal riesumare il ricordo di un attraversato
che ha cercato nella parola dissoluzione e diluizione
di un abito liquido per lui troppo stretto.
Nelle valli che chiamano deserti si forgia la parola
la pausa tra i silenzi dell'esistente, e noi,
fratelli e sorelle dismettiamo le nostri vesti consunte
e ci facciamo luce nella penombra,
privi finalmente d'ogni intenzione.
e non c'è allievo - né maestro - tra le dune,
solo un vento divino il cui ascolto rende le nostre iridi
color indaco di giorno, giallo ocra la sera.
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