(Redazione) - Dissolvenze - 20 - Ogni volta che mangio un'arancia
di Arianna Bonino
Franz Rosenzweig (1)
“Il nazismo è una dittatura che oggi possiede tutto tranne che la lingua"
Karl Kraus (2)
Settembre 1939: le forze naziste occupano la Polonia, annettendola al Terzo Reich e con ciò iniziano a mettere in atto quello che si definisce il previsto processo di “arianizzazione”.
"Arianizzare" significa ridurre a zero ogni traccia della presenza ebraica.
Ecco, solo per fare un esempio, prendiamo la bella Lodz in quel giorno del 1939, in cui ne inizia l’occupazione: dei suoi quasi 700.000 abitanti, un terzo sono ebrei. Davvero troppi per espellerli e germanizzare velocemente la città. Occupando Lodz, si pensa allora di sfruttarli, schiavizzarli come forza lavoro: il ghetto di Lodz, secondo per grandezza solo a quello di Varsavia, “ospitò” oltre 200.000 ebrei, che peraltro furono progressivamente decimati, oltre che dalle malattie, dalla massiccia azione di deportazione nei campi di sterminio di Chelmno e Auschwitz-Birkenau. L’intera Lodz ebrea si trasformò in un campo di deportati e sterminati. Lodz come tante altre città.
Il regime nazista si pone l’obiettivo di fare della Polonia una “terra teutonica senza ebrei”.
Il processo passa anche attraverso la soppressione - l’annientamento - della cultura: i nazisti confiscarono i beni del patrimonio artistico nazionale polacco e gran parte della proprietà privata. Lo fanno “legalmente”, in base ai decreti del 19 ottobre e del 16 dicembre (“Verordnung über die Beschlagnahme Kunstgegeständen im Generalgouvernement”).
Vengono saccheggiati musei e collezioni private, per motivi di “sicurezza degli interessi nazionali tedeschi”. Le operazioni vengono supervisionate da esperti delle SS - Ahnenerbe, unità Einsatzgruppen, responsabili dell'arte e da esperti di Haupttreuhandstelle Ost, a cui compete la confisca di attività commerciali e di oggetti non artistici.
Nonostante i nazisti abbiano conservato un'ampia documentazione delle opere d'arte sequestrate, vanno perdute le tracce di molte opere, anche perché, oltre al “saccheggio ufficiale”, sono molte le indebite appropriazioni, i veri e propri furti perpetrati e che sottraggono oggetti di inestimabile valore.
1944: il 90% (così stimato dai nazisti stessi) dell’intero patrimonio artistico polacco è ormai stato "messo al sicuro" nei musei tedeschi, benché, in realtà, molte opere divengono proprietà privata dei funzionari nazisti.
Il valore totale dell’operazione di saccheggio (e della parziale distruzione) del patrimonio artistico polacco è stato stimato in 11,14 miliardi di dollari (valore in dollari stimato nell’anno 2001).
È impossibile stabilire il numero esatto delle opere sequestrate, rubate o andate distrutte.
Ma sono non meno di 11.000 dipinti di pittori polacchi, 2.800 dipinti di altri pittori europei, 1.400 sculture, 75.000 manoscritti, 25.000 mappe, 22.000 libri stampati prima del 1800 (“starodruki”), 300.000 stampe e opere su carta, oltre a centinaia di migliaia di altri oggetti di valore artistico e storico. I libri sequestrati o distrutti furono probabilmente dai 15 ai 22 milioni.
Finita la seconda guerra mondiale, il Ministero polacco della cultura e dell'arte cerca di catalogare gli oggetti d'arte perduti, in modo da individuarli e ricondurli a casa (il Bureau of Revindication and Damage - “Biuro Rewindykacji i Odszkodowań”- fu attivo dal 1945 al 1951).
Ma la Guerra Fredda ostacola il già difficile recupero del patrimonio culturale polacco e quindi solo dagli anni '80 e '90 si riesce a mettere in atto un’azione concreta di ricognizione e ricerca; proprio a tale scopo, nel 1991 viene costituito l'Ufficio del governo per il patrimonio culturale polacco all'estero (Biuro Pełnomocnika Rządu ds. Polskiego Dziedzictwa Kulturalnego Za Granicą) che opera presso il Ministero della cultura e dell'arte.
La procedura di recupero prevede che, una volta individuata un'opera d'arte, il governo polacco faccia richiesta per la restituzione. La più famosa opera d’arte recuperata è sicuramente il dipinto, attribuito a Raffaello Sanzio, “Ritratto di giovane uomo”, rinvenuto nel caveau di una banca in un luogo segreto e attualmente conservato presso il Museo Czartoryski di Cracovia.
Ma è un’altra la tela che m’interessa oggi, e non me ne voglia Raffaello.
La mia tela di oggi è l’”Ebrea con arance” (“Żydówka z pomarańczami”), un dipinto del 1880-1881 di Aleksander Gierymski.
L’opera in origine apparteneva al negozio di antiquariato “Dom Sztuki” di Varsavia, da cui successivamente fu acquistata dal Museo Nazionale della città.
Durante la seconda guerra mondiale ebbe la sorte della quasi totalità del patrimonio artistico polacco, pertanto fu sequestrata dai nazisti. Nessuno ne seppe più nulla, come di tante altre opere che non sono capolavori della storia dell’arte, come di milioni di versi scritti da poeti di cui nessuno saprà mai il nome.
Ma il caso - ecco, il caso – disegna le vite, le scompagina, le stravolge e decide cosa potrà passare alla storia. Nel 2010, dopo più di sessant’anni dalla sua scomparsa, l’“Ebrea con arance” compare in un mercato antiquario nel nord della Germania. Non è un capolavoro, non cambierà la storia dell’arte, è una tela che non verrà mai studiata nelle accademie, non è il frutto di particolare talento o abilità tecnica. Ciò che fa di lei quel che è diventata è la morte a cui è scampata.
L’opera viene recuperata dalla Polonia nel 2011.
Adesso, in questo momento, è appesa ad una parete del Museo nazionale di Varsavia.
E non m’importa il suo valore artistico, se sia bella o meno, quanto sia costato recuperarla e restaurarla. Non è un capolavoro, non lo è forse mai stato e non lo sarà mai. La cosa non mi interessa, non mi riguarda l’autore, il materiale, la dimensione.
Il suo è il silenzio di una lingua che tutti possono comprendere e che non potrà mai essere zittito.
Porta delle arance. Saranno per sempre.
Lo so; e penso all’autore, tale Aleksander Gierymski, ogni volta che mangio un’arancia.
Invece, come sempre, “su Hitler non mi viene in mente nulla”. (3)
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NOTE
(1) Victor Klemperer, “LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo”, Giuntina, 2008
(2) - (3) Karl Kraus “La terza notte di Valpurga”, Lucarini, 1990
Si è sempre nutrita segreta convinzione che sulla terra si rimanga vivi solo per alcuni "mangiatori di arance". Vanno diminuendo sempre più, in questo tempo infame. Quando si abbia fortuna di coglierne uno nei propri paraggi sarebbe buon uso custodirlo a tesoro inestimabile. Portargli "Oro di Sicilia" in dono a che ne faccia, col pensiero, "Angelo di Salvezza". Malo tempo è stato quello che non ha insegnato cura di chi mangi arance. Ne son venuti fuori mostri dediti solo allo scempio. Vacui figli di un canto allucinato che chi lo ebbe in dono d'incubo-Alex Chilton-chiamo': "Holocaust".
RispondiEliminaGrazie (da parte di Arianna Bonino)
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