(Redazione) - La poetica dell'infinito in Maura Baldini ( su "La Slegatura", Convivio ed, 2022) - una "non nota" di lettura
Come si può annotare ciò che impedisce la staticità di un'annotazione? Quando la parola è veicolo di memoria di ciò che non dice, scriverne una nota di lettura diviene arduo, direi quasi impossibile.
D'altro canto ogni nostro tentativo di limitare il campo interpretativo di certe poetiche corrisponde più a una nostra esigenza di chiarificazione che ad un reale accoglimento dell'intero universo che certe vie poetiche portano con loro.
Mi rifiuto quindi di definire nota di lettura ciò che sto per scrivere a proposito de "La slegatura" (Convivio ed, 2022) di Maura Baldini.
Quelli che seguiranno non potranno dunque che essere refoli di intuizioni, schegge emerse dal fiume in piena che la lettura di una raccolta simile provoca in chi, come me, non perde mai lo stupore per le infinite possibilità che l'essere umano ha di dire del senza limite nel campo stretto e delimitato della parola.
Raramente chi vi scrive si è trovato di fronte a una silloge che, come questa, ha rappresentato allo stesso tempo una sfida verso sé stesso e i propri limiti e un richiamo diretto, inequivocabile e inesorabile all'etica della lettura.
Sì, perché, in quanto lettori, siamo sempre portatori di un monito di cui purtroppo ci dimentichiamo troppo spesso.
Chi ci offre la sua parola ci sta facendo dono non solo di un sé pulsante in ogni lettera, è proprio questo il caso della raccolta in esame, ma anche dell'onere di trasformazione nel nostro limitato campo di lettori delle sue parole in un altro capace di volare via; lontano.
Chi ci fa dono della sua scrittura, specie se si tratta, come in questo caso, di una scrittura densa di portati di vita, psicologici, umani e sonori, ci chiede non solo la presenza al suo atto creativo, ma soprattutto una nostra attiva partecipazione.
Ci viene chiesto dagli autori che ci fanno dono delle loro poesie, in altre parole - ed è qui che sta l'etica della lettura - di fungere da spin ai loro stessi lemmi.
Il buon lettore di fronte ad una parola che apre varchi e si insinua come acqua anche nei terreni più impervi diviene turbina, mulino, raccoglitore e, allo stesso tempo, diffusore di un dire che è destinato all'infinito.
Il richiamo etico per il lettore quindi, specie di questa silloge, è all'attenzione massima, al passo cauto ma, allo stesso tempo, a non lesinare le proprie intuizioni, scaturite da un dire così profondo.
Allora in questa non nota, sarò diretto e chiaro, forse anche azzardato, ma sicuramente immerso nell'etica del lettore e nel richiamo ad un certo pensiero di cui sono stato e sono allievo.
Partiamo dal titolo: la slegatura.
E la mia mente di drizza, assieme alla schiena, perché il contrario di slegatura è legatura e, come un flash, a me viene in mente l'episodio della Bibbia della legatura di Isacco (troppo malamente tradotto con sacrificio di Isacco - nessun sacrificio è presente nel racconto).
E la mia mente di drizza, assieme alla schiena, perché il contrario di slegatura è legatura e, come un flash, a me viene in mente l'episodio della Bibbia della legatura di Isacco (troppo malamente tradotto con sacrificio di Isacco - nessun sacrificio è presente nel racconto).
Abramo sente delle voci, che pensa siano quelle di Dio, che gli ordinano di portare suo figlio sul monte, legato, e di immolarlo in un luogo preciso.
Isacco tace, pervaso dalla fiducia - non fede ma fiducia, badate bene - in suo padre e nel Creatore; viene trasportato sull'altura dove un angelo ferma il coltello di Abramo e Isacco viene "slegato".
Questa storia ci dice che ogni slegatura avviene se si accetta la follia della legatura e si ha per certo che prima o poi la luce della sanità mentale torna, fosse anche all'ultimo istante.
Sono quasi certo che l'autrice non abbia pensato a questa storia quando ha scelto il titolo, volendo manifestare invece un desiderio di diluizione, di scioglimento dei nodi, di capacità di farsi acqua, e come ci riesce magistralmente!, di fronte alla apparente follia ed assurdità dell'esistenza.
Ma la mia turbina è in funzione e nelle linee poetiche di Maura Baldini ho visto, a volte patente, altre latente, la consapevolezza che il nodo si scioglie richiamandosi - usciamo dall'ambito religioso - all'Infinito.
E questo avviene, non esercitandosi in posticce preghiere, ma con un richiamo linguistico e lessicale strettamente connesso all'uso di quel modo verbale privato di articolo.
Infliggere aghi di ghiaccio
a un corpo che vuole calore.
Fra tronchi e acqua mi siedo
in un senso parallelo alla vita.
Coi capelli riversi sul corpo
restare è il vizio di amare.
Qui gli infiniti (infliggere, restare, amare) hanno una funzione precisa. Una poesia come questa non avrebbe concludersi con "restare è il vizio dell'amore" perché il sostantivo avrebbe reso il nodo di Isacco ancora più stretto.
Era necessario un infinito, ovvero una dinamica, un percorso per definire la via di un vizio verso il suo scioglimento, la sua diluizione.
E il nodo si scioglie, si slega, qui in un non detto evidente e dolcissimo.
L'amore non viziato è l'amore capace di movimento, non di stasi, l'amore che cresce - o decresce - svincolato dal suo oggetto; almeno in parte. Amare è volare, possibilmente assieme, non posarsi su un ramo, sembra dire Maura Baldini.
Altre volte gli infiniti di Maura Baldini sembrano parlarci del vivere - non della vita - dell'esistere - non dell'esistenza - del resistere - non della resistenza, con note più malinconiche e tenui.
È questo il caso della poesia che sotto si riporta.
Uscire dall'ombra
e sembrare bianchi al presente,
depositari di un nome,
e uscire dal nome
per rarefarsi in un nembo,
col volto del Padre,
e dal Padre a mio padre,
indietro, fino a bussare all'Io.
Infine cercare il varco dell'Essere
come un rabdomante senza dono,
un albero che muore nel cielo.
Non c'è uscita possibile, ma è presente la dinamica dell'uscire.
Non c'è apparenza, ma è presente il movimento del sembrare.
Non c'è rarefazione, ma è presente il processo quasi chimico, di sublimazione, del rarefare(farsi)
Né esistono tocchi al portone dell'Io, ma esiste l'azione del bussare che, senza dirlo, ci parla della nostra insistenza tanto umana, nonostante le nocche arrossate.
Non c'è ricerca, ma è ben presente la fatica del cercare.
Sono questi movimenti percepiti e accolti, questi rifiuti della stasi, questo porsi come flusso, come processo, come cammino dei lemmi di Maura Baldini che liberano, slegano, Isacco dal nodo della follia del padre e l'essere umano dalla follia di attribuire al divino le voci ben poco elevate che lo abitano.
È come se la poeta si rifiutasse di descrivere l'esistente, naturale o psicologico, come stato e accogliesse un'idea profonda di movimento, di flusso, di spostamento - anche se a volte fatto di tentativi vani - che, unico, può liberare l'intuizione e la spinta etica di chi la legge.
Nulla è fermo tra le parole di Maura Baldini e, così, nulla resta fermo nella mente di chi la legge.
"La slegatura" non smuove: si muove essa stessa e muovendosi scioglie - a volte a fatica, a volte con leggerezza - nodi antichi in chi la legge.
In altre parole non descrive la nostra necessità di scioglimento e di libertà, ma il processo di consapevolezza di liberazione da vincoli che pesano, a volte, come la follia di un padre sul figlio.
Si ferma qui questa mia non nota di lettura ma non si arresta certo il flusso di intuizioni che questa immancabile silloge ha provocato in me e, ne sono certo, provocherà in tutti coloro che la leggeranno.
Solo un cosa manca a questo mio scrivere senza schema: grazie Maura Baldini.
Per la redazione de Le Parole di Fedro - il caporedattore
Sergio Daniele Donati
Testi davvero interessanti! Complimenti. Barbara Rabita
RispondiEliminaMaura Baldini è a nostro avviso un penna unica nel panorama contemporaneo
EliminaGrazie davvero