Fummo schiavi
e l'aratro non dava virgulto
né speranza al canto dei nostri sterni.
Fummo schiavi in terra d'Egitto
e non fu la parola a liberare i nostri figli
né il fantasma di una fede appannata.
Fummo schiavi in terra d'Egitto,
e dimentichi del nostro passato;
incapaci di incarnare un destino.
Fummo schiavi in terra d'Egitto,
fossili agli occhi del mondo,
la sfera d'ambra impediva la crepa.
Fummo schiavi in terra d'Egitto
e l'Angelo che passò davanti alle nostre porte
portava un nome indicibile e austero.
Fummo schiavi in terra d'Egitto
e ci liberò un dire balbuziente,
un lemma sgraziato e barbaro.
Fummo schiavi in terra d'Egitto
e ci emanciparono le mani delle nostre madri
svelte a impastare pani senza lievito.
Fummo schiavi in terra d'Egitto
e fu allora che cominciò la spirale,
il passo che avanza tra scaglie e detriti.
Fummo schiavi in terra d'Egitto
e non piangemmo nel deserto il ricordo della frusta
ma l'assenza di memoria di un futuro
Perché solo chi sa far germogliare la propria schiavitù
sulla pretesa che brilla nelle ossidiane di un figlio,
e balbetta un augurio maldestro sulla sua nuca,
è degno di dirsi liberato dalle catene invisibili
delle maschere di ferro che porta sul volto.
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Testo - inedito 2023 - di
Sergio Daniele Donati
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