(Redazione) - Muto canto - 01 - I light your streets (Io illumino le tue strade)
di Anna Rita Merico
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Meridel LeSueur (1900/1996)
Narrazioni lungo la storica U.S. ROUTE 66 (1)
per le strade di Gallup.
Invito gli uomini nella mia tomba
per un po’ di vino.
Sono una tomba dipinta
Donna Gufo nella notte ai viandanti il suo richiamo.
Pipistrelli neri sopra il sole cantano per me
Il rospo cornuto mi dorme tra le cosce
le mie nonne mi mandarono canti di rigenerazione
ma l’uomo bianco mi compra per poco senza un canto
o una parola.
Appaiono i miei figli morti e gioco con loro.
Crinali di tempo nella mia pena - ricordando
Chi reclamerà le rovine?
E le tombe?
Fanciulle del granturco violate come la terra?
Sono una bambina nella mia polvere erosa.
Ricordo le piume dei colibrì
e il granturco vergine che rideva sulla pannocchia.
Mais difendimi
Prateria ruotami intorno
Corro sotto i fucili e gli occhi avidi
e uragani di visi bianchi mi accoltellano.
Ma come la volpe e il fumo risplendo tra i tordi
e illumino le tue strade.
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Questa notte lungo i larghi asfalti di Gallup ondeggio sradicata e ubriaca di vene lacerate. Na’nìzhoozhì, tuo antico nome, mio Luogo. Nome sparito come spariti sono, oggi, i nostri volti dipinti con i dentro di frutti qui cresciuti, un tempo. Mi aggiro su piante di piedi spianate dall’andare muto. Non ho più canti da offrire. Giro la notte, Gufo con occhi accesi dal dolore degli stupri, dalla morte dei figli, tutti.
Quando giunsero nel villaggio addormentato, sentimmo scalpiccii lontani battere dentro le ossa della terra sotto di noi. Nulla di questa arsura ci protesse. Furono giorni di distruzione in cui gli Assi che ci univano al cielo si dissolsero. Sentii mani sulle colline del mio seno turgido di rabbie impotenti. Fui l’ultima a morire: avevano saputo che io ero la Guaritrice, che presiedevo ai nostri viaggi, che dialogavo con i nostri Avi e - dunque - mi lasciarono guardare la morte sbrindellata di ognuno di noi prima di sfilare osso e tendine da ogni dove del mio corpo affinchè nulla potesse dirsi vivo nel dopo della mia morte.
Ho pianto per voi madri congelate nel massacro cruento. Ho cantato l’ultimo canto per voi infilzate fanciulle nutrite dal miglio e dai semi delle nostre Ave. Ho cantato per tutti gli spiriti del nostro sentire lasciando che mi attraversassero ogni vena. Ho cantato mentre, gonfia di morte, assistevo alla vostra morte. Morte di terra. La marea dei colpi ha sfondato le nostre anime: tutte le conoscevo, tutte le avevo nutrite.
In questa tomba tappezzata di follia vi chiamo:
"Venite, venite ancora se sazi non siete delle nostre cosce insanguinate".
Corro all’alba inebriata di nulla sopra l’asse di questa storica Route che taglia l’orizzonte a metà tra sabbie rosse e rocce multicolori uscite dalle forge dei nostri pensieri quando, essi, tenevano insieme Cielo e Terra in visioni d’armonia. Avevo ricevuto canti di rigenerazione dalle nostre Ave e, con essi, avevo intessuto stuoie su cui adagiare anime e membra ferite cui offrire sollievo e nuovo passo.
Abbracciami Pianura, abbracciami. Piovimi addosso tutti i semi dalle arcane ciotole allineate nel mio Luogo. Abbracciami Pianura, abbracciami. Ricordami i Riti dell’acqua pura, dei semi intatti, della terra da cui prendevamo i suoni, del cielo da cui leggevamo i segni. Nessuno ha mai reclamato nulla delle nostre bocche aperte, dei nostri occhi sbarrati nel vuoto di fine che ha bendato i nostri pensieri. Io sono la Testimone: lasciata morire per ultima affinché nulla fosse – poi - potuto rinascere. Ci colpirono al guado delle Antiche Canoe, ci colpirono lungo i sentieri delle Paludi, ci colpirono ai margini dei tempi della Luna funesta.
Quando andarono via, tra le funi di teschi, osservai il loro svanire e iniziai il mio muto canto reggendo, all’angolo delle dita, il mio capo ferito. Non ho mai smesso il mio canto muto in questa città di fantasmi che giace sotto Gallup qui, nella Contea di Mc Kinley, qui dentro il ferro dei binari della Atlantic & Pacific Railroad, qui dove questa guerra urla la nostra amara disfatta e il sogno infranto del mio popolo.
Oggi cammino muta di canto, sventrata di corpo, svuotata di occhi. Pipistrelli mi prestano voce, vengo a parlare per ognuno. Pur se fantasmi riuniamoci lungo i sentieri delle Aquile, lungo le scie dei Venti, lungo le Radici colme di latte colloso che teneva sguardi. Vi porterò foglie colme di pollini per nuovi Riti. Che crescano Sguardi e Visioni. Che mai più i gusci della pace restino vuoti. Vi porterò…
Sono una donna folle, invisibile, col viso dipinto lungo le strade di Gallup…
(Anna Rita Merico)
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NOTA BIOBIBLIOGRAFICA
Meridel LeSueur, poeta e attivista del Partito Comunista americano. Ha vissuto durante il periodo maccartista persecuzioni in cui ha perso il lavoro ed è stata boicottata per la sua attività di scrittrice. Importante il suo impegno per i diritti civili, la pace (ha attraversato le Guerre Mondiali e la Guerra nel Vietnam); centrale la sua attenzione per il mondo femminile. Famose le sue prese di posizione durante gli anni della Grande Depressione: si espose politicamente denunciando l’alto prezzo pagato dalle donne all’interno della grande crisi economica e chiedendo alle donne stesse di non rinunciare, nonostante tutto, alla maternità intesa come atto responsabile volto a sostenere la speranza di un futuro migliore nella consapevolezza di dover far proprio (anzichè indebolire) il sostegno all’avvicendamento delle generazioni. Sostenne l’idea di bellezza di una condizione di potere del corpo femminile inteso come forza creativa. Tale posizione fu criticata anche da intellettuali americane ed europee intente in un percorso in cui i modelli emancipativi difficilmente si coniugavano con l’idea di maternità legata, storicamente, più alla dimensione biologica che non a quella simbolica del potente atto generativo.
Le Sue ave avevano conosciuto la devastazione e la distruzione della colonizzazione nei territori dei nativi americani.
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NOTA
(1) - Meridel LeSueur Riti di una
crescita antica (a cura di Laura Coltelli), Quattroventi ed. 2012, pg
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