(Redazione) - Quattro anni assieme - Buon compleanno "Le parole di Fedro"
Happy Birthday "Le parole di Fedro"
__
Può un pazzo dire di non aver saputo di esistere prima di aver preso in mano una penna e tentato di comporre poesie con un vocabolario stretto, da bambino: cielo, mamma, papà, mare?
Poi capita che quel pazzo legga a sedici anni Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig e ne rimanga folgorato - al punto da rileggerlo diciotto volte nell'arco della sua esistenza, trovandone significati sempre nuovi.
E intanto il pazzo leggeva e studiava e scriveva, lasciando però tutto nei cassetti.
Strabordavano, colavano parole da quei legni, come sudori che dovevano però rimanere nascosti.
Ma la parola - si sa - è ribelle e una volta detta o scritta pretende il suo volo, non può essere costretta in una gabbia dorata che solo chi la pronuncia può osservare.
Ecco perché è nato Le parole di Fedro, figlio di un'idea precisa.
La parola è orfana e pretende, col tempo, di tornare al suo genitore biologico o, almeno, di conoscerlo.
Per questo diviene evanescente per il suo presunto autore e vola via alla ricerca di un ritorno necessario alla sua sorgente che è sempre plurale, collettiva, comunitaria e dialogica.
Chi scrive, come John de Lo Zen (...), è sempre e solo un cercatore di tracce e narrarsi significa essenzialmente rinunciare all'abito troppo stretto che vestiamo sotto il nostro nome.
Qualcuno ha già detto ciò che oggi cerchiamo di dire oggi e dobbiamo ritrovarne la voce nello scambio, nell'ascolto, vorrei dire nella meditazione sul valore della parola.
Qualcuno o qualche messaggio, che si cela dietro o sotto coltri di neve, conosce già i nostri futuri passi, quando prendiamo la penna in mano.
Nessun pennino ci appartiene e, in fondo, non siamo che delle ricetrasmittenti della parola altrui.
Questo è nella sua ossatura e spinta etica Le parole di Fedro: una fucina di parole, un laboratorio senza autori ma con artigiani capaci di comprendere il valore di quella gemma preziosa che chiamiamo parola.
E io ringrazio con ogni mia fibra coloro che ne Le parole di Fedro sono entrati, con la delicatezza con cui si varca una soglia importante e non appartenente a nessuno.
Ringrazio tutti i poeti del passato e del presente che mi hanno concesso di dialogare poeticamente con loro.
Ringrazio tutti coloro che ci hanno donato i loro inediti perché potessimo pubblicarli, tutti coloro che mi hanno inviato le loro opere perché potessimo farne note di lettura.
Ringrazio Astor Piazzola, senza la cui musica la serie di poesie dedicate a Oblivion (la trovate qui) sarebbe rimasta solo una piccola vibrazione muta della mia anima.
Ringrazio tutti coloro che ci leggono, commentano e sostengono. Senza di voi la bella casa che abbiamo costruito non avrebbe alcun senso; voi siete i destinatari del nostro lavoro e a voi dobbiamo ogni gratitudine.
E soprattutto ringrazio coloro che in Redazione sono il vero e proprio motore di un'idea forse folle ma tanto, tanto davvero, fertile.
Li nomino uno ad uno, così senza ordine, se non quello che mi detta la mia mente.
Grazie Paola Deplano - la tua precisa e colta e profonda presenza poetica è uno dei cardini sul quale la porta d'ingresso alla casa di Fedro, sempre aperta, tiene la sua stabilità.
Grazie Arianna Bonino - solo un folle non ammira il tuo volo che lascia a bocca aperta come lascerebbe stupefatti la comparsa di un'aquila reale nei nostri cieli.
Grazie Annalisa Mercurio - poeta finissima, solo tu potevi rendere una materia complessa, e per molti aspetti ostica, come quella delle Figure Retoriche un gioco capace di strappare sorrisi ironici mentre insegna. Sì, un gioco dalle regole serissime, come i giochi dei bambini, che lascia un segno profondo in chi ti legge.
Grazie David La Mantia - tu ci fai dono della tua sensibilità e della tua cultura, anzi della tua cultura sensibile. E sei capace di esplicitare il senso profondo del nostro laboratorio. La parola con te crea collegamenti e sinapsi e manifesta tutta la refrattarietà a dirsi proprietà di qualcuno.
Tu connetti verso a verso, autore a autore, e rendi dorati ed evidenti fili e legami per i più trasparenti, se non inesistenti.
Grazie Anna Rita Merico - negli spazi vuoti tra le tue lettere pulsa un forte legame con l'Antico e solo un folle non sente il canto della Qualità, tanto caro al Fedro di Pirsig, farsi strada nei midolli di chi ti legge.
Grazie Patrizia Baglione - il tuo entusiasmo, il tuo senso di protezione della parola e della poesia è per me un fuoco sacro che va preservato - e che tu preservi sempre. È una lezione di vita osservare la cura e il rispetto che hai per il poetare; e la tua giovane età non è limite, ma grandezza.
È la garanzia della qualità delle stoffe che ti ricoprono.
E infine - vi prego concedetemi questo lieve piegamento su me stesso, commosso - grazie Sergio Daniele Donati, ma grazie non a quello che ora vi scrive.
Grazie al bambino ferito che si rifugiò per sopravvivere nella parola e poi capì, piano piano, che quel rifugio, saturata la ferita, era una gabbia, e liberò, come canarini troppo a lungo curati, le parole nel mondo.
Fu un bimbo saggio e terribilmente ostinato in questa missione, e io, adulto, quando penso alla forza che ebbe allora, di cui Le parole di Fedro, è un po' figlia, mi commuovo.
Scrissi per sopravvivere allora, ora scrivo perché la scrittura sopravviva al mio nome, si salvi da esso e torni alla sua unica e vera sorgente: l'altro da me.
__
Annalisa Mercurio |
In spagnolo, la casa intesa come luogo del cuore, viene chiamata hogar.Se la mia casa fisica è una, le mie case del cuore, le mie hogares, sono diverse. Le parole di Fedro è una di queste.
Ho conosciuto il blog nel 2020 e, in tre anni, l’ho visto crescere in maniera esponenziale.
Questa casa è una casa in continua costruzione, nella quale si aprono continuamente nuove stanze con ampie finestre su ciò che la circonda.
Credo che la sua forza sia in questo, nel suo desiderio di confronto con l’alterità e nella capacità di ospitare voci con differenti colori; di accoglierle, raccoglierle e tessere fili tra loro.
Ringrazio Sergio e la redazione tutta, per avermi permesso di far parte di un luogo che ha per me qualcosa di sacro. Per sacro intendo tutto ciò che ha, nelle cose concrete, un valore soprasensibile. Fedro è per me, nella continua ricerca della parola di tutti coloro che scrivono e leggono quotidianamente le sue pagine, cifra spirituale.
Questo Hogar, è il velo che a volte svela e rivela, è continuo incontro tra la mia percezione delle cose e la percezione di chi, lascia qui le proprie scritture.
Ringrazio anche per quel pizzico di follia che ha permesso di credere in un progetto un po’ bizzarro come quello di ‘figuracce retoriche’.
Auguro a Fedro lunga vita, una scorta di mattoni per costruire nuovi ambienti, infiniti scaffali per conservare parole donate dai molti autori, corridoi nei quali far correre le menti, migliaia di finestre per aprirsi a nuovi orizzonti e infine, gli auguro di mantenere sempre viva la fiamma dell’incanto.
In spagnolo, la casa intesa come luogo del cuore, viene chiamata hogar.
Ho conosciuto il blog nel 2020 e, in tre anni, l’ho visto crescere in maniera esponenziale.
Questa casa è una casa in continua costruzione, nella quale si aprono continuamente nuove stanze con ampie finestre su ciò che la circonda.
Credo che la sua forza sia in questo, nel suo desiderio di confronto con l’alterità e nella capacità di ospitare voci con differenti colori; di accoglierle, raccoglierle e tessere fili tra loro.
Ringrazio Sergio e la redazione tutta, per avermi permesso di far parte di un luogo che ha per me qualcosa di sacro. Per sacro intendo tutto ciò che ha, nelle cose concrete, un valore soprasensibile. Fedro è per me, nella continua ricerca della parola di tutti coloro che scrivono e leggono quotidianamente le sue pagine, cifra spirituale.
Questo Hogar, è il velo che a volte svela e rivela, è continuo incontro tra la mia percezione delle cose e la percezione di chi, lascia qui le proprie scritture.
Ringrazio anche per quel pizzico di follia che ha permesso di credere in un progetto un po’ bizzarro come quello di ‘figuracce retoriche’.
Auguro a Fedro lunga vita, una scorta di mattoni per costruire nuovi ambienti, infiniti scaffali per conservare parole donate dai molti autori, corridoi nei quali far correre le menti, migliaia di finestre per aprirsi a nuovi orizzonti e infine, gli auguro di mantenere sempre viva la fiamma dell’incanto.
Portami
a casadove
la parola s’illuminae
l’orecchio s’inchinadove
il silenzioè un
pieno d’attesa.
__
Paola Deplano
L’INCONTRO
CON L’ELFO
Era una notte buia e tempestosa.
Se Snoopy comincia tutti i racconti così, lo posso fare anch’io. Squadra che vince, non si cambia. Quindi, era una notte buia e tempestosa. E poi? Come andare avanti? Ci vuole una macchina in panne in mezzo al diluvio universale, il cellulare scarico e tanta paura. Ok. E dopo?
Dopo cammino infangata e impaurita fino ad una luce in lontananza, sperando di incontrare qualcuno che mi aiuti e non Jack lo Squartatore. Mi dice la regia che Jack lo Squartatore è morto. Vabbé, uno tipo lui. Non la facciamo lunga, sono stanca, impaurita, al buio e in mezzo ad un’allerta rossa e non è il caso che ve la prendiate con me. Un po’ di comprensione, che diamine.
Arrivo alla casa, che dovrebbe essere un castello. Ma i castelli costano, quindi mi devo accontentare di una casa qualunque, normale. Molto stonata, in questo contesto. La cosa comunque mi rassicura. I serial killer non abitano nelle case normali, vero? Mi dice la regia che purtroppo sì, abitano nelle case normali, fanno lavori normali e sembrano normali, però non lo sono. Quasi quasi me ne torno in macchina e aspetto che spiova. Però ho già suonato il campanello. E mi aprono. Cioè, mi apre, un uomo normale, di mezz’età, talmente normale che è pelato. In braccio ha un gatto bianco e nero che mi guarda con aria disgustata e pensa in gattese: «Questa è scema ad andare in giro con un tempo così, io manco per centomila scatolette di salmone sopraffino grand gourmet mi muoverei.» Tra le gambe dello sconosciuto, un tigrato rosso, che pensa di me cose ancora più terribili, lo so, lo sento. Perché, come dice il buon Verga che la Tamaro vuole eliminare dalle scuole, «Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo». Questa frase fa il paio con il famoso proverbio toscano: «Rosso unné bono nemmeno il capretto.» e con la famosa ascella di peli rossi della nobildonna ne Il piacere di D’Annunzio. Mi dice la regia che la devo smettere di andare fuori tema parlando d’altro e di raccontare l’incontro con l’Elfo. Ok.
Sto aprendo bocca per chiedere aiuto e soccorso e il signore mi dice: «So chi sei. Ti stavo aspettando. Ti chiami Paola e ti piace scrivere. Qui quelli che sanno scrivere sono tutti i benvenuti. Mi piace fare dialoghi con loro.» Si sposta e mi fa entrare, posando il gatto bianco e nero. Lo quale ha pietà di me e comincia a strusciarmisi alle gambe, facendo le fusa. Dopo tre secondi, anche Malpelo lo segue nella festa dell’accoglienza. A questo punto chiedo al signore gentile (sempre sperando che non sia un serial killer gentile): «Scusi, ma lei chi è?»
Risposta: «Fedro.»
Controrisposta: «No, guardi, Fedro è morto da un pezzo, le favole le scriveva bene, mi piacevano, lei non può assolutamente essere Fedro, guardi, perché è vivo, respira, e Fedro è morto. »
Controcontrorisposta: «Infatti non sono quel Fedro lì, sono il Fedro di Pirsig.»
A questo punto mi dice la regia che non è il caso di palesare la mia ignoranza sul Fedro di Pirsig e comincio a dire di sì a tutto quello che propone questo Fedro – che dice di essere un Elfo – compreso collaborare a un blog che si chiama per l’appunto “Le parole di Fedro”, dove lui dice che posso sbizzarrirmi in traduzioni, recensioni, rivisitazioni, poesie, racconti.
Vabbé seriamente. Non è andata proprio così. Innanzitutto, non era notte, non era buia, e non era tempestosa. Era pieno giorno e pure abbastanza caldo, perché era estate, precisamente il 20 agosto 2021, intorno alle 3 del pomeriggio, quando Sergio cominciò via whatsapp a parlarmi di una sua idea. Aveva intenzione di aprire il blog non solo ad inediti e testi poetici altrui, come stava già facendo, ma anche ad una redazione vera e propria, che desse vita a delle rubriche personalizzate e contribuisse a divulgare poesia ed arte in genere. Mi chiese se mi avrebbe fatto piacere partecipare.
La sventurata rispose.
L’INCONTRO
CON L’ELFO
Se Snoopy comincia tutti i racconti così, lo posso fare anch’io. Squadra che vince, non si cambia. Quindi, era una notte buia e tempestosa. E poi? Come andare avanti? Ci vuole una macchina in panne in mezzo al diluvio universale, il cellulare scarico e tanta paura. Ok. E dopo?
Dopo cammino infangata e impaurita fino ad una luce in lontananza, sperando di incontrare qualcuno che mi aiuti e non Jack lo Squartatore. Mi dice la regia che Jack lo Squartatore è morto. Vabbé, uno tipo lui. Non la facciamo lunga, sono stanca, impaurita, al buio e in mezzo ad un’allerta rossa e non è il caso che ve la prendiate con me. Un po’ di comprensione, che diamine.
Arrivo alla casa, che dovrebbe essere un castello. Ma i castelli costano, quindi mi devo accontentare di una casa qualunque, normale. Molto stonata, in questo contesto.
La cosa comunque mi rassicura. I serial killer non abitano nelle case normali, vero? Mi dice la regia che purtroppo sì, abitano nelle case normali, fanno lavori normali e sembrano normali, però non lo sono. Quasi quasi me ne torno in macchina e aspetto che spiova. Però ho già suonato il campanello. E mi aprono. Cioè, mi apre, un uomo normale, di mezz’età, talmente normale che è pelato. In braccio ha un gatto bianco e nero che mi guarda con aria disgustata e pensa in gattese: «Questa è scema ad andare in giro con un tempo così, io manco per centomila scatolette di salmone sopraffino grand gourmet mi muoverei.»
Tra le gambe dello sconosciuto, un tigrato rosso, che pensa di me cose ancora più terribili, lo so, lo sento. Perché, come dice il buon Verga che la Tamaro vuole eliminare dalle scuole, «Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo». Questa frase fa il paio con il famoso proverbio toscano: «Rosso unné bono nemmeno il capretto.» e con la famosa ascella di peli rossi della nobildonna ne Il piacere di D’Annunzio.
Mi dice la regia che la devo smettere di andare fuori tema parlando d’altro e di raccontare l’incontro con l’Elfo. Ok.
Sto aprendo bocca per chiedere aiuto e soccorso e il signore mi dice: «So chi sei. Ti stavo aspettando. Ti chiami Paola e ti piace scrivere. Qui quelli che sanno scrivere sono tutti i benvenuti. Mi piace fare dialoghi con loro.»
Sto aprendo bocca per chiedere aiuto e soccorso e il signore mi dice: «So chi sei. Ti stavo aspettando. Ti chiami Paola e ti piace scrivere. Qui quelli che sanno scrivere sono tutti i benvenuti. Mi piace fare dialoghi con loro.»
Si sposta e mi fa entrare, posando il gatto bianco e nero. Lo quale ha pietà di me e comincia a strusciarmisi alle gambe, facendo le fusa. Dopo tre secondi, anche Malpelo lo segue nella festa dell’accoglienza. A questo punto chiedo al signore gentile (sempre sperando che non sia un serial killer gentile): «Scusi, ma lei chi è?»
Risposta: «Fedro.»
Controrisposta: «No, guardi, Fedro è morto da un pezzo, le favole le scriveva bene, mi piacevano, lei non può assolutamente essere Fedro, guardi, perché è vivo, respira, e Fedro è morto. »
Controcontrorisposta: «Infatti non sono quel Fedro lì, sono il Fedro di Pirsig.»
A questo punto mi dice la regia che non è il caso di palesare la mia ignoranza sul Fedro di Pirsig e comincio a dire di sì a tutto quello che propone questo Fedro – che dice di essere un Elfo – compreso collaborare a un blog che si chiama per l’appunto “Le parole di Fedro”, dove lui dice che posso sbizzarrirmi in traduzioni, recensioni, rivisitazioni, poesie, racconti.
Vabbé seriamente. Non è andata proprio così. Innanzitutto, non era notte, non era buia, e non era tempestosa. Era pieno giorno e pure abbastanza caldo, perché era estate, precisamente il 20 agosto 2021, intorno alle 3 del pomeriggio, quando Sergio cominciò via whatsapp a parlarmi di una sua idea. Aveva intenzione di aprire il blog non solo ad inediti e testi poetici altrui, come stava già facendo, ma anche ad una redazione vera e propria, che desse vita a delle rubriche personalizzate e contribuisse a divulgare poesia ed arte in genere. Mi chiese se mi avrebbe fatto piacere partecipare.
La sventurata rispose.
Risposta: «Fedro.»
Controrisposta: «No, guardi, Fedro è morto da un pezzo, le favole le scriveva bene, mi piacevano, lei non può assolutamente essere Fedro, guardi, perché è vivo, respira, e Fedro è morto. »
Controcontrorisposta: «Infatti non sono quel Fedro lì, sono il Fedro di Pirsig.»
A questo punto mi dice la regia che non è il caso di palesare la mia ignoranza sul Fedro di Pirsig e comincio a dire di sì a tutto quello che propone questo Fedro – che dice di essere un Elfo – compreso collaborare a un blog che si chiama per l’appunto “Le parole di Fedro”, dove lui dice che posso sbizzarrirmi in traduzioni, recensioni, rivisitazioni, poesie, racconti.
Vabbé seriamente. Non è andata proprio così. Innanzitutto, non era notte, non era buia, e non era tempestosa. Era pieno giorno e pure abbastanza caldo, perché era estate, precisamente il 20 agosto 2021, intorno alle 3 del pomeriggio, quando Sergio cominciò via whatsapp a parlarmi di una sua idea. Aveva intenzione di aprire il blog non solo ad inediti e testi poetici altrui, come stava già facendo, ma anche ad una redazione vera e propria, che desse vita a delle rubriche personalizzate e contribuisse a divulgare poesia ed arte in genere. Mi chiese se mi avrebbe fatto piacere partecipare.
La sventurata rispose.
__
Anna Rita Merico
Compleanno!Di Fedro mi piace la Sua continua attenzione al nuovo, a ciò che va sbocciando.Di Fedro mi piace il lavorìo nella chat della Redazione: luogo che pulsa intenti, proposte e orizzontalità di movimento verso funzionalità di risultato.Di Fedro mi piace il movimento d’accoglienza e di lettura attenta di ciò nella sua rete s’incaglia.Di Fedro mi piace il modo di essere in gruppo, modo allegro che sostiene competenze e saperi.Di Fedro mi piace quel momento di sospensione e arresto di parola che accade ogniqualvolta si posta un file e inizia movimento veloce di cerca di possibili refusi, come formiche veloci in apnea di minuti accesi e… si riemerge, espirando: ok, condividiamo!
__
Anna Rita Merico |
Compleanno!
Di Fedro mi piace la Sua continua attenzione al nuovo, a ciò che va sbocciando.
Di Fedro mi piace il lavorìo nella chat della Redazione: luogo che pulsa intenti, proposte e orizzontalità di movimento verso funzionalità di risultato.
Di Fedro mi piace il movimento d’accoglienza e di lettura attenta di ciò nella sua rete s’incaglia.
Di Fedro mi piace il modo di essere in gruppo, modo allegro che sostiene competenze e saperi.
Di Fedro mi piace quel momento di sospensione e arresto di parola che accade ogniqualvolta si posta un file e inizia movimento veloce di cerca di possibili refusi, come formiche veloci in apnea di minuti accesi e… si riemerge, espirando: ok, condividiamo!
__
David La Mantia
Fedro, Fedro? Vado a memoria. C'è un Fedro protagonista del dialogo platonico con Socrate sul tema dell'amore che serve come metafora per la discussione del corretto uso della retorica. Un Fedro che tratta di anima, follia, di ispirazione divina e soprattutto di arte. Ma Sergio Daniele Donati mi dice che non è il Fedro giusto. C'è poi un Fedro autore latino di favole. Era un genere che i latini tendevano a disprezzare. Troppo fantasioso e morale per un popolo di idraulici, di ingegneri. Di architetti e non di filosofi. Fedro rischiò la vita più volte perché non si sottrasse mai al giudizio di una società corrotta, classista, ipocrita. Come con Seiano, irriso secondo il principio Ridendo, castigat mores. Questa la storia. Ma Sergio Daniele Donati mi dice che non è il Fedro giusto. Ma, ecco, c'è un altro Fedro, quello giusto. C'è il Fedro de Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig, del 1974. Un romanzo che è una sorta di autobiografia di un viaggio (a metà fra reale e allegoria ), in cui l'autore e il figlio Chris attraversano in motocicletta gli Stati Uniti dal Minnesota alla California, assieme ad un’altra coppia di amici. Nel libro, a forte sfondo filosofico, il protagonista è impegnato nella ricerca del proprio io primitivo, Fedro, quella parte sepolta della sua personalità che lo aveva già condotto in precedenza sul baratro della follia e che era stata rimossa dalla terapia con elettroshock, un Es che, durante la strada, preme prepotentemente per riemergere. Ecco, il Fedro giusto. Il Fedro della ricerca. Che è il Fedro che agisce qui ed adesso. Un Fedro che festeggia il suo compleanno. Ci sono, infatti, Le parole di Fedro, in cui mi sono trovato catapultato, grazie a Sergio Daniele Donati. C'è una redazione che prova a fare quello che provava a fare il protagonista del romanzo. Prova a "movere" se stessa e gli altri, a far riflettere, a creare occasione di dialogo. Ecco, io mi sono sentito a casa. Perché io credo proprio in questo. E poi la parola, messa al centro, con l'idea di creare una cultura della cura e dell'attenzione al discorso poetico, senza mai separarlo dalla vita civile, dalla realtà quotidiana, dai suoi simboli, dai suoi segnali. Cercando di anticipare i tempi e di porre domande. Di trovare noi stessi, insieme. Buon compleanno, Fedro. È solo l'inizio di una ricerca profondissima.
__
David La Mantia |
C'è un Fedro protagonista del dialogo platonico con Socrate sul tema dell'amore che serve come metafora per la discussione del corretto uso della retorica. Un Fedro che tratta di anima, follia, di ispirazione divina e soprattutto di arte. Ma Sergio Daniele Donati mi dice che non è il Fedro giusto. C'è poi un Fedro autore latino di favole. Era un genere che i latini tendevano a disprezzare. Troppo fantasioso e morale per un popolo di idraulici, di ingegneri. Di architetti e non di filosofi. Fedro rischiò la vita più volte perché non si sottrasse mai al giudizio di una società corrotta, classista, ipocrita. Come con Seiano, irriso secondo il principio Ridendo, castigat mores. Questa la storia. Ma Sergio Daniele Donati mi dice che non è il Fedro giusto. Ma, ecco, c'è un altro Fedro, quello giusto. C'è il Fedro de Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig, del 1974. Un romanzo che è una sorta di autobiografia di un viaggio (a metà fra reale e allegoria ), in cui l'autore e il figlio Chris attraversano in motocicletta gli Stati Uniti dal Minnesota alla California, assieme ad un’altra coppia di amici. Nel libro, a forte sfondo filosofico, il protagonista è impegnato nella ricerca del proprio io primitivo, Fedro, quella parte sepolta della sua personalità che lo aveva già condotto in precedenza sul baratro della follia e che era stata rimossa dalla terapia con elettroshock, un Es che, durante la strada, preme prepotentemente per riemergere. Ecco, il Fedro giusto. Il Fedro della ricerca. Che è il Fedro che agisce qui ed adesso.
Un Fedro che festeggia il suo compleanno. Ci sono, infatti, Le parole di Fedro, in cui mi sono trovato catapultato, grazie a Sergio Daniele Donati. C'è una redazione che prova a fare quello che provava a fare il protagonista del romanzo. Prova a "movere" se stessa e gli altri, a far riflettere, a creare occasione di dialogo. Ecco, io mi sono sentito a casa. Perché io credo proprio in questo.
E poi la parola, messa al centro, con l'idea di creare una cultura della cura e dell'attenzione al discorso poetico, senza mai separarlo dalla vita civile, dalla realtà quotidiana, dai suoi simboli, dai suoi segnali. Cercando di anticipare i tempi e di porre domande. Di trovare noi stessi, insieme. Buon compleanno, Fedro. È solo l'inizio di una ricerca profondissima.
__
__
Arianna Bonino
Io non so come capiti che certi cerchi nell'acqua tocchino un insetto e ne schivino un altro che s'alza dal pelo del lago poco prima di una cattura di luce.E non so come dire che strade vitree e fragranti creino un mosaico di stelle per tracciare rotte spaziali, incalcolabili.Non so nulla, non conosco.Ma sento - e forte - che certi incroci fanno il senso del sentire, certe voci danno fiato all'essere e sono lampi che per l'istante loro - per quell'attimo - spogliano l'ombra.In questo andare - e stare - e non aver percorso, ma incessante moto di sabbie e costellazioni intuite sui laghi, un nodo della linea più lunga della mia mano si è sciolto e ha sorriso, impercettibile. Ma io l'ho visto.
Arianna Bonino |
Io non so come capiti che certi cerchi nell'acqua tocchino un insetto e ne schivino un altro che s'alza dal pelo del lago poco prima di una cattura di luce.
E non so come dire che strade vitree e fragranti creino un mosaico di stelle per tracciare rotte spaziali, incalcolabili.
Non so nulla, non conosco.
Ma sento - e forte - che certi incroci fanno il senso del sentire, certe voci danno fiato all'essere e sono lampi che per l'istante loro - per quell'attimo - spogliano l'ombra.
In questo andare - e stare - e non aver percorso, ma incessante moto di sabbie e costellazioni intuite sui laghi, un nodo della linea più lunga della mia mano si è sciolto e ha sorriso, impercettibile.
__
__
Patrizia Baglione
Questo è uno dei maggiori sostegni dell’esistenza umana: trovare risonanza emotiva in altri uomini ai quali si è affezionati e la cui presenza suscita un caldo sentimento di appartenenza.(Norbert Elias)
Sono tra le ultime ad essere entrata ne Le parole di Fedro, la più piccola e sicuramente la meno esperta. Quello che mi lega alla redazione, oltre l’amicizia, è l’amore per la parola; parola che non muore mai prima di donarsi. E di questo fruttuoso scambio - di idee e di emozioni – ne faccio tesoro. Non c’è nulla di più appagante nell’imparare giornalmente cose nuove, nel districarsi tra i versi, nel respirare l’eterno. Vorrei vedermi tra vent’anni, ancora immersa nella ricerca poetica; tra gli uomini e i poeti, tra il sonno e l’illuminazione. Non esiste l’uno senza l’altro. Siamo tutti appartenenti a un unico mosaico.
|
Questo è uno dei maggiori sostegni dell’esistenza umana: trovare risonanza emotiva in altri uomini ai quali si è affezionati e la cui presenza suscita un caldo sentimento di appartenenza.
(Norbert Elias)
Sono tra le ultime ad essere entrata ne Le parole di Fedro, la più piccola e sicuramente la meno esperta. Quello che mi lega alla redazione, oltre l’amicizia, è l’amore per la parola; parola che non muore mai prima di donarsi.
E di questo fruttuoso scambio - di idee e di emozioni – ne faccio tesoro.
Non c’è nulla di più appagante nell’imparare giornalmente cose nuove, nel districarsi tra i versi, nel respirare l’eterno.
Vorrei vedermi tra vent’anni, ancora immersa nella ricerca poetica; tra gli uomini e i poeti, tra il sonno e l’illuminazione.
Non esiste l’uno senza l’altro. Siamo tutti appartenenti a un unico mosaico.
Commenti
Posta un commento