Quattro inediti di Antonella Lucrezia Puddu
Gloria
Il volo scioglie i giunchi
piegando all'unisono
le ossa si cavano
i quarti d'ora di una vita
profumano di strano.
Dirigono la sospensione
si fanno cave le ossa in volo
La Terra Profuma forte Ora
Non so dire estasi o lapsus di memoria.
Tu ed io
Il cielo
attende
senza coperta
il nostro sguardo.
Dove sei
mentre le cime di alberi diversi
gareggiano dietro i palazzi senza nome
affrancandosi oltre un limite senza arrivo,
come falene
che ruotano a giostra nella luce
e rimangono incollate
senza respiro
al centro della lampada?
Dove sei
ora
che le mie dita
sole
seguono le spalle
e vedo
ancora
il mio sorriso nei tuoi occhi
ed il tuo sorriso sul mio seno?
E stringo tra le mani
solo le mie di braccia
fredde
chinando il capo
piegando il collo
sfiorando lo spazio buio
dell'attesa.
Pretesa
sacra tra le mie intime ultime cose
tra le mie intime uniche rose.
Ti rivedo sul sagrato
nella stanza vuota
sulla sedia di lato
in piedi.
Ti perdo.
Ti predo.
E le mie mani
vuote e perse
dalle dita nodose e fesse
di nodi culminanti in nodi
a slegare muovono
e un rastrello di rimpianto
raschia orfani
i miei capelli
bianchi e nudi
nelle terre delle radici di quercia
caduti a fiume.
E le tue mani
non trovo più
ora
che mangio scale con i piedi
giù per pendii erti e indipendenti dai miei remi
senza chiedermi dei miei rami.
Ti perdo.
Ti prego.
Ed il cielo
non trovo più
neanche pugnalando geometrie
sull'ombrello di confine
tra la bocca
e l'aria libera
che respirammo in due.
Le mie mani
abbracciano le tue.
Cenere di parole,
dei regali solo il vento
potrà dirti.
E neppure le leggerai
che la tua pelle
nel riverbero dei verbi
le confonderà.
Siamo come tutti gli altri
tu ed io.
Fingeremo di non essere mai incontrati
mai amati
mai capiti
mai sognati.
Lenzuola rosse
dal vento scosse
sbandierano
di tanto in tanto.
E noi sbiadendo
fra le fragili piaghe
fingeremo di non essere.
Fingeremo di non esserci.
Di non esserci per sempre.
Le anime delle tue labbra
predicano onde
mai uguali a se stesse.
Le scie della tua carne
riverberano distese e demoniache
sotto il velo
mentre la tua acqua striscia umida sui miei ghiacci gaussiani e fioriti.
Nelle viscere della madre ha abdicato l'istante
mentre il tuo contorsionista pudico inizia a baciarmi
muto e cardiaco nel rosso mistero di gole represse incontra il respiro disperso,
mai sopito.
Bisognava ucciderlo quel dannato gabbiano,
bisognava sgozzarlo al suo primo vagito.
Il dono
Mi ha tolto tutto un po' alla volta senza fretta
colpo dopo colpo
disciolto nell'acido le tessere
negato lentamente
cottimi di respiro
cancellato
come si cancella l'orma prima
della seconda neve
in apnee di tempo illibato.
Hai esanguato la corda di questo indecifrabile legame sbucciandone i singoli fili
radendoli uno ad uno
nell'ordine l'amore il sesso la fede l'amicizia il corpo la voce il suo segreto.
Mi ero addormentata su quest'acqua complice.
Ora affogo.
Mi ero addormentata su quest'acqua complice.
Ora affogo.
Mi hai tolto tutto anche il nodo
volato
prima che io potessi scioglierlo liberandone la cenere.
Le mie Ali fuggono ed infuocano.
E la mia Ombra sbiadisce e trema.
Il sorprendente Niente mi fa paura.
Anche il sole, dicono, prima o poi si spegne
ma crederlo è dura.
Questa poetica è per me di rara intensità, di assoluto impatto ma mitigato da un'innata eleganza . Vi si respirano a tratti leggerezza e a tratti una riflessione profonda. (Sabyr)
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