(Redazione) - Dissolvenze - 22 - Switch

di Arianna Bonino

Foto di Arianna Bonino

On.

La notte assomiglia a un grande black-out.
Lo è. Sarà per questa ragione che mi piace. Un buio che assorbe e cristallizza tutto, esclude la vista, riverbera ogni impulso restituendolo verso l’interno dello sguardo. Permette - o impone - lo scandaglio di anfratti esclusi e trascurati dagli scenari diurni.
La notte è un posto silenzioso, oltre che buio. Sembra un’origine, ha la bellezza di una cosa nuova, ogni volta. Tutto più pulito.
È un vuoto a prendere la notte, un infra-spazio personale nel quale tutto è possibile, anche se poi rimane silenzioso e inoccupato, non agito. Ha le sembianze di una morte momentanea, un transitorio anonimato dall’essere e dal fare.
Il buio e il silenzio riscrivono le coordinate del mondo, lo rendono primitivo, s’ergono a libertà infinita e totale, tanto da fare a meno di tutto, anche di chi la usi.
La notte è Shabbat personale e privato, festa dove si può non essere al mondo, quasi non essere mai stati presenti in alcuna forma e, se lo si vuole, incominciare a esserlo, a fare. Oppure prendersi la libertà di non violare quel silenzio, non inciderlo.
Lo spegnimento delle luci, accompagnato dal silenzio anodino di quel tempo diverso e di quel modo diverso di scorrere e trascorrere, somiglia a una genesi. Lo è.
Gli esseri viventi dormono più nella notte, sostanza del buio stesso da cui si esce nascendo e, intanto, anche quella del buio in cui si entra alla fine.
Il sonno impegna un terzo della vita di un essere umano e chissà quanto di una creatura non umana.
Le aragoste si immobilizzano ogni ventiquattr’ore: saranno miliardi là fuori, adesso, sui fondali, le antenne passive mosse dai mari scuri.
E intanto le ali delle farfalle si chiudono come ventagli da messa d’agosto, fermi nel silenzio della transustanziazione.
Il respiro dei molluschi incagliati nelle sabbie si intorpidisce.
Milioni e milioni di fili d’erba s’inarcano ovunque reggendo nell’oscurità il peso bavoso di insetti di cui nessuno conosce il nome, insetti che oscillano nel sonno, mentre i pesci-palla si aggrumano in morule pulsanti di contrazioni acquose e lente, lasciando effimere impronte misteriose.
Forse sognano.
I piccoli cuori dei rettili, al pari delle microscopiche mitrali dei roditori del deserto, cedono, mutano attitudine in assenza del giorno, allentano la presa.
La notte sembra essere stata inventata per non fare, per sospendersi, per guardare altrove rispetto agli orizzonti del visibile diurno: un amor vacui iscritto dal circa dies a negativo fotografico del tempo illuminato.
Eppure, notte dopo notte, un’invasione rumorosa di impulsi e oggetti nuovi ha eroso instancabilmente quei silenzi, quel buio.
La notte si è fatta distrarre dalle cose, si è riempita di luci, il silenzio di suoni.
Illuminati idoli.
Ti amavo nudità, vulnerabilità del nulla, balìa dell’ignoto, estasi dell’impotenza, di urtare, cadere.
Ti amavo.
Ti amo.

Off.
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