(Redazione) - Muto canto - 02 - con Niccolò Machiavelli (Erotica)
di Anna Rita Merico
Muto Canto è spazio di finzione e dialogo con quanto prodotto in spazi-tempi non precisi né precisati. Pensieri di resistenza alle avversità. Pensieri del farsi di umanizzazione, nonostante tutto. Tracce di attraversamento di nebbie.
Un titolo non arbitrario: Erotica. Non arbitrario perché amore e piacere dei sensi rappresentano il documento più umano della produzione di Machiavelli, grande politico dell’era moderna e fine pensatore della visione di un nuovo realismo capace di innervare finemente le due diverse sfere dell’esistenza: la pubblica e la privata. La ricerca del piacere per stemperare in esso il cruccio solitario di uno sguardo consapevole sulle debolezze e inconsistenze strategiche della politica agita in Principati e Signorie italiani in epoca rinascimentale.
Machiavelli
ci ha lasciato, attraverso epistole, opere teatrali, versi, scritture
erotiche, il patrimonio di un modo per entrare nelle rappresentazioni
dei costumi dell’epoca cantandone piacere e mentalità. Machiavelli
ha sguardo realistico sulla vita sociale del suo tempo. La Sua
analisi e il Suo sguardo sono stati, talvolta, offuscati dalla
potenza innovativa del Suo stesso pensiero politico. Nei fatti ha
donato un patrimonio di materialità ed immaterialità della storia
fuse con leggiadra maestrìa. Il tema e il pensiero sul potere sanno
divenire, in Lui, tema e pensiero sul corpo, sul loro governo, sulle
passioni. Nulla di scontato per un Pensatore che aveva alle spalle
l’ordo
amoris
medievale interamente incentrato sulla negazione del corpo e delle
passioni. E’ un Machiavelli che si consegna al percorso tutto
moderno di apprendimento dello stare
nel corpo. Lo fa giusto un attimo prima che Cartesio tracci nuova
frattura: stavolta non più tra Cielo e Terra ma tra Pensiero e
Corpo.
Mandragola,
Crizia, Belfagor Arcidiavolo, La donzella di Circe rendono conto di
questo felice scavo dell’Autore in un’altra politica: la politica
del corpo e delle sue rappresentazioni.
Allora
la mia donna aprì le braccia,
et
con un bel sembiante, tutta lieta,
mi
baciò dieci volte e più la faccia.
Poi
disse festeggiando: - Alma discreta,
questo
viaggio tuo, questo tuo stento,
cantato
fia da istorico o poeta.
Ma
perché via passar la notte sento,
vo’
che pigliam qualche consolazione
… Chè
so bisogno n’hai forse non poco,
se
di ferro non è tua conditione
e
godremo insieme in questo loco.
E
detto questo, una sua tovaglietta
apparecchiò
su un certo desco al fuoco
(…)
Scrivo
di Politica. Il Principe mi tiene nei pensieri e sento che il nuovo
mi bussa dentro. Scrivendo di politica sento nutrimento al mio
riflettere. Godo, così, della generazione di un’idea di ordine
che, sola, può tenere bandolo alle vicende delle umane convivenze,
alle umane convenienze, alle umane virtù.
Eppure,
tra me, so che solo l’amore può lasciare vivificare i processi del
pensiero. Ecco, dell’amore mi piace ch’esso appartenga sia allo
spazio chiuso della coscienza che allo spazio della res
publica.
Dell’amore mi piace che esso sia libertà e obbedienza in un solo
gesto. L’amore ha a che fare, dunque, con l’intimo mio ma non
coincide con Dio e, pertanto, mi dice nel gesto della tensione
all’uscita da me. Sento il nuovo, sì lo sento. Stasera sono
nell’amore. Per me è l’indiscussa obbedienza all’eccedenza, è
la mia partecipazione alla bellezza. Ciò m’introduce al principio
attivo dell’essere.
Non
seguo la felicità nelle dottrine, penso l’uomo come desiderante
ma, di ciò, riverso solo nella Poesia. Mi chiedo… come ha potuto
Agostino dire l’uomo come peregrino, straniero, sradicato perché
in cammino solo verso la Città Celeste? Io non posso che pensare al
godimento di una vita in sovranità di sé.
Una
storia civile fatta dagli uomini. Sì, sì. L’ordine della sovranità
s’addice prima su sé e, poi, sul Principato.
(…)
Poi
trasse d’uno armario una cassetta,
dèntrovi
pane, bicchieri et coltella,
un
pollo, una insalata acconcia et netta
(…)
Godiamo,
adunque; e come fanno i saggi
pensa
che ben possa venire ancora
et
chi è dritto al fin convien che caggi.
E
quando viene il mal, che vien ogn’ora
mandalo
giù come una medicina
chè
pazzo è chi la gusta o l’assapora
(…)
Così,
lasciando gli affanni e i dolori
lieti
insieme cenammo, e ragionossi
di
mille canzonette e mille amori.
Poi
come avemmo cenato, spogliossi
e
dentro al letto mi fe’ seco entrare
come
suo amante o suo marito io fossi.
Qui
bisogna a le Muse il peso dare
per
dir la sua beltà chè senza loro
sarebbe
vano il nostro ragionare
(…)
Sì, sono convinto che vi sia uno specchio e, dietro, la linea che separa
spazio reale da spazio immaginario, quello che è sempre altrove.
Ecco, Agostino voleva quello spazio altrove,
a me attrae questo.
Qua è dove io tocco pienezza e felicità. No, Amico mio, non può
essere il ritorno all’antica
natura
o la Tua Civitas
Dei
la causa del bene, il tendere al bene. E’ bello godere di tutte e
tre le dimensioni del tempo. Voglio la felicità senza impedimento
interiore. L’amore, sì. Attraverso l’amore mi raggiungo e mi
definisco. Nell’amore nego qualsiasi altro pensiero e rendo il mio
volere tranquillo. Perdo l’idea di qualsiasi altra meta da
raggiungere. Mi rimargino non avendo più necessità di lottare. La
mia vita non può essere momento preparatorio ad un’altra
vita.
Trovo sfogo dall’austerità delle fatiche politiche e delle opere
storiche e di pensiero nell’immaginare vicende libertine d’amore
e belle donne, dimentico così il mio dolore. Dimenticare e
sopportare il dolore: un unico gesto vissuto per fortificarmi e
convivere con l’intimo cruccio del vivere in disparte. La mia è
amarezza vinta.
(…)
Erano
i suoi capei biondi com’oro
ricciuti
e crespi, talchè d’una stella
pareano
i raggi, o del superno coro
(…)
Avea
la testa una grazia attrattiva…
perché
l’occhio al guardarla si smarriva
sottili,
arcati e neri erano i cigli
perch’a
plasmargli fur tutti gli Dei
tutti
i celesti e superni consigli.
E
come poi le sue membra toccai
un
dolce sì soave al cor mi venne
qual
io non credo più gustar giammai
(…)
Intorno
al cor sentii tante allegrezze
con
tanto dolce, ch’io mi venni meno
gustando
il fin di tutte le dolcezze
tutto
prostrato sopra il dolce seno.1
Ho
provato a capovolgere il punto di vista degli umani dopo aver
lasciato la Segreteria di Stato fiorentina. Ho pensato a Circe, alle
sue arti di trasformazione. Che l’amore trasformi e che anche a me
attendi una trasformazione in animale? Ma io voglio altra
metamorfosi dall’amore. L’amore in tempi di scoramento. Non
voglio raggiungere un regno che non sia di questo mondo. Un mondo
altro
che
nega questo
è idea che mi ulcera il pensiero. Mi rifiuto. Mi rifiuto.
Terrorizzare l’uomo e negargli la possibilità di potersi pensare.
Mi rifiuto. Il Principe governa nulla l’ostacola.
La
stoltezza non è la pena di chi asseconda le passioni. Espugno la
fortezza, lascio saltare il controllo repressivo dall’alto
dell’animo umano. Sento qualcosa che s’apre innanzi e dentro me.
Io sono qui, tutto.
…Godiamo,
adunque, come fanno i saggi…
NOTE
1 - Niccolò Machiavelli, Erotica, Collana testi e documenti per servire
alla storia dei costumi, a cura di Gerolamo Lazzeri ed. Corbaccio,
Studio Editoriale, Milano 1924. Pg 185-190.
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