Maria Pia Latorre legge "Miracoli del giorno" di Paolo Polvani (Macabor ed., 2023) con prefazione di Massimiliano Damaggio e postfazione di Isabella Bignozzi
Quando
ho avuto tra le mani “Miracoli
del giorno”,
ultima fatica letteraria di Paolo Polvani, ho cominciato a
congetturare su quali fossero i miracoli in cui l’Autore si sia imbattuto (perché
di questi tempi i miracoli scarseggiano) o a quali miracoli egli, in
particolare, si riferisca.
Certo
è che il miracolo, in qualsiasi modo lo intendiamo, reca in sé un
dono, una sorpresa prorompente che travalica l’evidenza dei fatti
che accadono, spesso ingabbiati in schemi rigidamente logici, che
poco spazio lasciano all’irrazionale.
Centinaia
di correnti di pensatori razionalisti non hanno mai creduto e anche
oggi non credono ai miracoli e sono soliti liquidare i fatti
straordinari e incomprensibili come eventi semplicemente non ancora
dimostrati poiché non se ne conoscono, ad oggi, le leggi ad essi
sottese.
C’è,
dunque, una realtà piana, semplice, perfettamente rispondente alle
categorie di causa-effetto, e poi ci sono i fatti inspiegabili. Dal
senso del magico di un tuono negli albori dell’umanità alle scie
chimiche in atmosfera, di acqua ne è passata sotto i ponti, ma
l’uomo resta da sempre affascinato dal magico.
Di
che miracoli, dunque, Paolo ci parla? E come pensa di catturare
tramite essi l’attenzione del lettore? Certamente si tratterà di
miracoli poetici, ipotizzo.
Invece
no. Apro “Miracoli
del giorno”
e vi trovo San Giuseppe da Copertino, Sant’Eupremio, Santa
Ildegarda, cioè una ricca agiografia inaspettata che immediatamente
incuriosisce il lettore.
Qual
è il primo miracolo che Paolo ci racconta?
La morte di uno dei tanti Abdelaziz (chissà quale
tra i tanti),
forse proprio quel Mostafa Abdelaziz morto di freddo, a Bolzano, lo
scorso inverno, con
i termometri che segnavano
meno sette. Mostafa aveva 19 anni e tanti
progetti,
ed era appena arrivato dall’Egitto; gli hanno messo
in mano
una coperta e lo hanno mandato via quella notte, perché non c’erano
più posti disponibili al chiuso, così hanno dichiarato quelli
della struttura d’accoglienza. Me la ricordo bene questa storia,
troppo breve per lasciare traccia, davvero troppo breve. Ma torno a
pensarci,
di tanto in tanto...
Il
secondo miracolo è la morte di un muratore caduto dall’impalcatura:
“l’aveva
cucito sulla pelle il nome, custodito nella tasca/ posteriore dei
pantaloni. Non è dato sapere se ne indossasse/ uno di tipo vetero
proletario, per esempio Gaetano/ oppure conforme all’era nuova,
Ahmed,/ o Kevin”.
Anche qui, come per il primo miracolo di San Giuseppe da Copertino,
interviene Sant’Eupremio: “gli
basta una/ sola mano/ e il muratore rimane immobile nell’aria”.
Sembra di rivedere alcune toccanti scene del film “Io
capitano”,
in cui Matteo Garrone ha immaginato lo stesso fiabesco volo
ultraterreno dei migranti sopraffatti
nel deserto da
fame e
stenti, un volo che il protagonista si costruisce salvifico per
evadere quella
realtà di troppo insopportabile dolore. E così via, continua la
narrazione di Paolo col ritmo di una Mille
e una notte.
Così l'ho
letto tutto d'un fiato “Miracoli
del giorno”,
perché si fa leggere tutto d’un fiato. Sì, l'ho divorato come un
romanzo avvincente, l'ho immaginato come un film e credo che,
trattandosi
di
una silloge, tutto ciò sia straordinario. Nei versi sono presenti
dati di realismo descrittivo trattati con grande sapienza e
rielaborati in avvincenti trame artistiche
(e qui si tratta di un’arte che travalica il sé soggettivo per
dirigersi verso un “altro-oltre”).
Nella
prima sezione scorrono carrellate di storie dolorose quanto
terribilmente dure
e reali,
storie che certamente non sono sfuggite
all’occhio attento e sensibile del nostro poeta, dal militante
passato sessantottino.
Il
volume ci offre successivamente un’altra corposa sezione, “Quanto
sole ci vuole”,
oltre la prima che dà il titolo alla silloge, costruita per
asciugare tutto il
dolore incontrato, intendo io pensando di interpretare l’idea di
Paolo.
Durante
la lettura della
silloge ho immediatamente riconosciuto alcune poesie amiche come
"Vecchie
carte",
già da me apprezzata in passato in un concorso letterario.
Naturalezza
e fluidità sono qualità che solo i grandi artisti posseggono,
riuscendo a nascondere dietro l’opera finita tutto il lavoro di
asciugatura e lima; e qui
credo che la naturalezza nasca da un puro sentimento d’amore,
l’amore di Paolo verso la vita e che affondi le radici,
implicitamente o esplicitamente, nei percorsi di poeti come Villon,
Rebora, Guidacci, Pasolini, De Andrè, e Bello.
Mi
sovvengono alla mente i versi di uno dei canonici
sonetti
di Jacopo da Lentini, tra
i
più begl’ inni d’amore mai composti, che recita: “Amore
è uno desio che ven da’ core / per abondanza di gran piacimento;/
e li occhi in prima generan l’amore/ e lo core li dà
nutricamento”.
Naturalmente,
sin dalla prima lettura, ho accarezzato con amore le mie poesie
preferite,
come
"Marzo
si lucida le scarpe", "Novembre ", "Il pullman
della Marino",
per citare
qualche titolo, poiché
a
riguardarle
e
rileggerle
sono
tutte di uguale luminosa bellezza e asciutta intensità.
In
particolare ho trovato eccezionale
tutta la sezione dei miracoli, dove giganteggia la strutturata ironia
polvaniana, in
particolare
nel miracolo dell’angelo del Signore, che attacca certa gerarchia
ecclesiastica bigotta e fuorviata. Dunque in
tutte le
trame poetiche il miracolo si compie non ad opera del santo di turno,
ma grazie allo sguardo poetico che si posa come neve d’alba sulle
brutture e sulle ingiustizie del mondo.
Di
Paolo Polvani, in passato ho scritto che per riuscire in versi così
robusti è necessario saper scrutare l’oggetto poetico da tutte le
possibili prospettive e poi riuscire a compiere un salto metafisico
per immaginarne altre prospettive inedite. Continuo a credere che
questa sia la cifra del bravo poeta barlettano.
Perdendomi
nel viaggio di “Miracoli
del giorno”
mi viene da riflettere sul fatto che, per fortuna, l’anima, in
fondo, non ha bisogno di molto; le bastano poche essenziali cose di
cui, a ben guardare, si potrebbe anche fare a meno. Tranne che l’arte
e l’amore. Andy Warhol, molto acutamente, ha affermato che
“l’artista
è uno che produce cose di cui la gente non ha bisogno, ma che lui
-per qualche ragione- pensa sia una buona idea dare”,
se a questo ci aggiungiamo l’amore, quello totale, quello per la
vita di tutti gli esseri viventi e del creato, allora siamo davanti
ad un vero miracolo.
Riporto
qui, a titolo esemplificativo, la composizione “Il
pullman della Marino”:
Il
fascio dei fari interroga la notte, la vellica, la indaga,
aderisce
al senso della strada, carico di freddo e di valigie si concentra
sul
mistero del buio, sul concerto di note del motore ed ogni
passeggero
è condannato a restare un punto di domanda,
un
pozzo per sempre di supposizioni: chi è quello che dorme
con
la bocca spalancata e un respiro che nulla svela dei segni,
di
quelle visioni che anticipano il sonno, chi è? cosa domanda
al
mondo, cosa si cela nelle sue tasche, di cosa parla
nello
srotolarsi dei giorni, ha figli, ha soldi in banca, cosa guarda
della
televisione, e dove va, in che direzione, in quale abisso di vuoto
non
sa di sprofondare? un pubblico di poveri, di anziani
che
ritrovano i figli ghermiti dalla lontananza, ci sono
gli
extracomunitari con lo sguardo che si ciba d’attesa, le nonne con
le foto
dei
bambini che scorrono sui cellulari, e il vento della precarietà
che
tutti ci accompagna e ognuno è prigioniero dell’enigma,
chi
addenta il panino con la mortadella e chi discorre al telefono
con
la voce tutta regionale, la sonora appartenenza a un accento,
a
un gergo di paese. I pullman della Marino custodiscono dentro
questi
misteri, lo spavento di facce, l’incertezza degli occhi, tutti
disperatamente
soli, e la notte li veste, li attanaglia, li veglia,
li
prende per mano e li consegna al vano inseguimento di una felicità.
NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE
Paolo
Polvani è nato a Barletta, il 1 giugno1951. Ha pubblicato i seguenti
libri di poesia: Nuvole
balene,
ediz. Antico mercato saraceno, Treviso 1989; La
via del pane,
ediz. Oceano, Sanremo 1999; Alfabeto
delle pietre,
ediz. La fenice, Senigallia, 1999; Trasporti
urbani,
ediz. Altrimedia, Matera 2006; Compagni
di viaggio,
ediz. Fonema, Perugia 2009; Gli
anni delle donne,
e-book, edizioni del Calatino, 2012; Un
inventario della luce,
ediz. Helicon 2013; Cucine
abitabili,
Mreditori, 2014
Una
fame chiara,
edizioni Terra d’ulivi, 2014; Il
crollo di via Canosa,
e-book La Recherche; Il
mondo come un clamoroso errore,
Pietre vive editore 2017; L’azzurro
che bussa alle finestre,
Versante ripido 2018; Miracoli
del giorno,
edizioni Macabor 2023.
E’
presente in molte antologie, tra cui: Dentro
il mutamento,
edito dalla casa editrice Fermenti nel 2011 e in varie antologie
tematiche, tra cui Il
ricatto del pane,
ed. CFR, Rapa nui, ed. CFr, 100
mila poeti per il cambiamento,
Albeggi editore, L’isola
di Gary
e svariate altre.
Sue
poesie sono state pubblicate da numerose riviste, tra cui: Anterem,
Steve, L’immaginazione, Il filo rosso, Atelier, La Vallisa,
Portofranco, La corte, L’area di Broca, Le voci della luna, Offerta
speciale, Quinta generazione, L’ortica; Incroci;
e su numerosi blog, tra cui: Carte
sensibili, WSF, Fili d’aquilone, Poiein, Corrente improvvisa, La
presenza di Erato, Poliscritture, La bella poesia, Odysseo.
Inoltre sue poesie tradotte in romeno sono state pubblicate dalla
rivista Tribuna,
e tradotte in spagnolo sulla rivista messicana Monolito;
e su altre antologie e riviste in inglese, portoghese, giapponese.
Ha
vinto numerosi concorsi di poesia. Ha fatto parte della giuria in
diversi premi di poesia. È tra i fondatori e redattori della rivista
on line “Versante ripido”.
È
presente nel Quinto
repertorio di poesia italiana contemporanea,
edito da Arcipelago Itaca, 2021. Attualmente vive a Barletta e fa la
spola con Maniago, in provincia di Pordenone, in Friuli, dove risiede
parte della sua famiglia.
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