Redazione - Estratto dalla raccolta di Giuseppe Ligresti "Perifrasi della caduta" (Il Convivio ed., 2023) - con Nota di lettura di Sergio Daniele Donati



Se c'è un tema a me caro nelle sue declinazioni, sia poetiche che filosofiche, è quello della caduta.
È un tema dai richiami letterari evidenti e, forse, ancor più profondi in campo etico/religioso antico. 
Ciò che preme sottolineare nella constatazione "l'Uomo cade" è infatti, da un lato, che quella affermazione presuppone una descrizione del posizionamento geografico dell'essere umano. Si cade sempre dall'alto verso il basso, non foss'altro perché anche la nostra corporeità è soggetta alle leggi fisiche della gravità. Parlar di caduta, quindi, significa necessariamente parlare di corpo.
Ma l'alto ha anche in sé un simbolo inerente al portato spirituale ed etico, quindi, ogni caduta manifesta una perdita (di valori? del sé?).
E ogni perdita, così almeno dice il testo veterotestamentario, crea uno spazio vuoto in noi che rende possibile la salita, sia essa declinata nel senso del nostro approcciarsi al nuovo, sia essa da intendere come ritorno ad una condizione originaria di purezza. 
Quindi, necessariamente, l'uomo che cade è  l'essere che, potenzialmente, rinasce o ritorna. 
Certo non si può mancare di sottolineare in questo processo quasi-necessario il dato di sofferenza. 
Non esistono cadute indolori, sia per l'impatto con una terra dura, sia perché la ricostruzione del sé dopo una ferita è processo lento e doloroso.
E questo vale sia per il singolo individuo che per i gruppi sociali e i popoli.

Esce per Il Convivio editore  la raccolta poetica di Giuseppe Ligresti "Perifrasi della caduta", opera che non esito a definire ab origine (già dal titolo) interessante per ciò che attiene sia il piano linguistico e lessicale, sia per quel che riguarda il suo contenuto profondo. 
Il titolo, e l'intera raccolta, ci trascinano immediatamente su un filo di lino di interpretazione possibile. 
Da un lato l'autore appare descrivere elementi di caduta esterni, inerenti alla vita dell'uomo (lutti, guerre, dolori) dall'altro, la struttura libera del suo versificare ed un certo ritmo battente ed incalzante delle sue composizioni ci ricorda che il termine caduta andrebbe sempre coniugato col termine parola
In fondo, infatti, ogni scrittura si manifesta in un cadere da un regno di purezza silenziosa ad una espressione ontologicamente sporca che, se procede secondo il cammino etico della rinascita cui mi riferivo prima, torna a quello stesso silenzio rinnovata

Questo fa ogni vera parola poetica: si manifesta sporcandosi, e nel tragitto verso il lettore si rivitalizza di contenuti silenziosi.
Questo sembra sapere bene Giuseppe Ligresti il quale non cede mai alla tentazione di un lirismo posticcio. 
Infatti, perché una caduta possa divenire elemento dinamico di cambiamento è prima necessario descrivere le cose come sono, senza coprirle di false e mielose locuzioni. 
Il "così è, così è stato" appare essere l'impellenza del poeta. 
Un dire chiaro, netto, senza intermediazioni retoriche eccessive, ma che non si manifesta nella mera descrizione della sofferenza, anzi, sembra suggerirci che solo la presa di coscienza dell'elemento doloroso di ogni caduta é ciò che potrà muoverci verso il rinnovamento. 

Quella di Ligresti, pertanto, è una poesia dagli alti - anche se non sempre esplicitati - intenti etici in cui la parola assume sia il ruolo di monito che quello di spin dinamico.
È una poesia quella in esame che spinge il lettore ad una riflessione profonda sulla possibilità che un dire poetico possa uscire dagli stretti confini cui spesso viene relegato ed attivare, al contrario, nel lettore un movimento rigeneratore che non riguardi solo la parola. 

Riportiamo quindi in estratto alcune delle poesie di Giuseppe Ligresti, invitandovi alla lettura dell'intera raccolta con l'attenzione volta non solo agli elementi linguistici e strutturali di questa pregiata scrittura, ma ai suggerimenti filosofici sottesi ad una scelta sicuramente interessante da parte dell' autore.

Per la Redazione de Le parole di Fedro
il Caporedattore - Sergio Daniele Donati


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Dal minimalismo all'etere
ci passa un boccone di frase.
una rima sdentata, un pezzo di culo di luna.
Ci passa la messinscena della Vita,
della pretaglia che accorcia le distanze
con le corone del rosario
sapendo che le possibilità di un aggancio
sono aggrappate alla trasmutazione del Verbo,
alla ricomposizione dell'Urlo primordiale. 

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La sera corre giù per il cortile,
la luna - scrostata e lucente - fa già capolino nella stanza.
E che bagliore, che intensità sui corpi sanguigni,
appena una carezza su quelli liquefatti.
Vai a dormire povera idiota
anziché simulare di far a pugni con le stelle;
di tornaconto arriveranno pulsar e luci ad intermittenza,
le potrai schivare con la coda,
fulminare con i tuoi occhi inclinati -da cinesina - in rovina.

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Dal buio dei secoli viene fuori nuovamente l'Ombra
si spalancano gli occhi dei morti per curiosare.
Qualcuno si augura che il tacco prema forte ancora sul petto
e che croste scarlattine imbrattino i massi, il pallore del marmo,
che raggiungano finalmente quell'utile stella verde.
Al paese si dirà semplicemente di uno sradicamento di more selvatiche
in qualche intermondo qualche dea penserà ad un mestruo anticipato.

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Commenti

  1. Complimenti Giuseppe per la nuova raccolta. Ti auguro tutto il successo che meritano i tuoi versi profondi e toccanti

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  2. Giuseppe Nisi15/9/23 10:40

    può la parola rispondere anch'essa alle leggi della gravità? Liriche meravigliose che fanno cadere i pensieri. Grazie!

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  3. Giuseppe Ligresti18/9/23 09:24

    Grazie a tutti per l'interesse mostrato. Se potessi vi incontrerei uno ad uno.

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    1. Sarebbe un gran piacere anche per me incontrarci. Grazie a te.

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