(Redazione) - Specchi e labirinti - 23 - Nel nome della Memoria, Piersanti riabilita Carducci
di Paola Deplano
«Memoria.
È una parola che ti risuona dentro, che ti riempie, ma anche un po’
sconvolge.
Pensieri,
emozioni, riflessioni, tutto s’intreccia fino a rendere difficile
un qualche discorso.
Per
me, poi, è la memoria che riesce a dare un senso alla vita, che fa
sì che questa non si disperda in una miriade di frammenti senza
storia.
Non
voglio perdermi in un’analisi complessa e incerta. Qui parlo della
memoria attraverso le pagine di autori che sono stati fondamentali
non solo e non tanto per la mia scrittura, quanto per la mia vita.
Ed
intreccio un dialogo continuo tra questi testi e i miei, tenendo
sempre presente la grandezza ineguagliabile degli autori che mi hanno
segnato.
È
in tale dialogo tanto serrato quanto sproporzionato che ho cercato di
trovare il senso e il fil rouge di queste pagine.»
Con
queste parole della Premessa
Umberto
Piersanti presenta il suo ultimo libro dal titolo Memoria,
uscito per Vallecchi nel marzo 2023. Lo fa, come si vede, con delle
parole piane, semplici, che non sono altro che un modo garbato di
prendere per mano il lettore ed introdurlo nel proprio mondo
personale e letterario. Questo delizioso volumetto fa parte della
collana Le
parole della poesia,
diretta da Isabella Leardini, in cui alcuni grandi autori
dell’odierno panorama poetico hanno scelto una parola-chiave che
consentisse loro di illustrare le radici profonde della propria
ispirazione. Prima di Piersanti sono usciti, nell’ordine: Giancarlo
Pontiggia (Origine),
Giuseppe Conte (Visione),
Rosita Copioli (Simbolo),
Milo De Angelis (Ritorno),
Roberto Mussapi (Magia),
Silvia Bre (Mistero).
Il
fulcro attorno al quale gira l’impianto del volumetto di Piersanti
è la rilettura personale e attenta, attraverso la memoria, di autori
che sono stati delle pietre miliari della letteratura italiana.
Questo il senso del passaggio più significativo della Premessa:
«Qui parlo della memoria attraverso le pagine di autori che sono
stati fondamentali non solo e non tanto per la mia scrittura, quanto
per la mia vita.
Ed
intreccio un dialogo continuo tra questi testi e i miei, tenendo
sempre presente la grandezza ineguagliabile degli autori che mi hanno
segnato.» Ungaretti, Saba, Leopardi e Pascoli sono alcuni dei
Maestri a cui, delicatamente, si accosta l’autore. Nessuno mette in
dubbio che essi siano da considerarsi dei “grandi” della
letteratura, che ancora vengono universalmente riconosciuti come
tali. Nessun problema, il suo giudizio collima con l’attuale
visione di questi poeti. Poi Piersanti parla di Carducci. E qui il
discorso diventa un po’ più complicato, perché se un tempo questo
autore era considerato il non
plus ultra della
letteratura a lui contemporanea, ora viene relegato a un ruolo di
illustre secondario, a causa della sua pomposità di temi e di
linguaggio. Non piace più. Insomma, non è più di moda.
Piersanti
lo recupera e lo valorizza, attraverso la memoria, grazie al devoto
ricordo del proprio docente d’italiano delle medie:
«In
seconda media ho ascoltato una bellissima lezione del professor
Alessandro Tenella su Davanti
San Guido
di Giosué Carducci, un poeta oggi, a mio parere, troppo trascurato e
in qualche modo sottovalutato. Certo, all’interno della sua grande
produzione, ci sono molte parti deboli, ma varie poesie incentrate
sulla storia e ancor di più le “liriche maremmane” sono
veramente belle.
Era
un giorno di primavera: la mia scuola aveva sede nel collegio
Raffaello, un antico edificio settecentesco.
Volavano
rondoni rasentando le finestre e poi scomparivano dietro il campanile
di San Francesco, tra i tigli di Piazza delle Erbe.
Il
professore non esagerava con le strutture metriche e stilistiche, né
s’abbandonava ad una pura dimensione emotiva. Insegnare non è una
scienza, ma un’arte; un’arte non può essere insegnata, si
possono solo dare indicazioni e suggerimenti: bisogna esserci
portati, bisogna sapere parlare, bisogna che ci sia quasi “una
vocazione”.
La
sua voce risuonava forte, il timbro cambiava a seconda dei versi, ne
sottolineava le capacità emotive ed evocative.
Ritornando
a casa immaginavo di essere un uomo maturo, quasi vecchio, che
ripassava nei suoi luoghi d’infanzia: e mi commuovevo profondamente
ad immaginare quell’io futuro, quell’io che magari avrebbe
scritto poesie dove l’infanzia sarebbe stata la stagione dominante.
Penso
che quella lezione sia stata un elemento importante per condurmi alla
necessità della scrittura. E m’aggiravo tra i torrioni d’Urbino:
avevano la stessa funzione dei cipressi nella celebre lirica
maremmana.»
Ora,
se un conoscitore profondo di Piersanti leggesse queste righe, senza
sapere chi le ha scritte, lo riconoscerebbe all’istante. C’è,
prepotente, il ricordo, che permea tutta la pagina – cosa normale,
si dirà, in un volume dedicato alla Memoria. Eppure è il suo modo
peculiare di parlarne che emerge tra le righe e lo fa ritrovare
facilmente. L’amore per il ricordo, nel professore, si innesta con
l’amore del ricordo “scientifico”, quello che lo definisce e lo
incasella nello studio della storia, altra sua grande passione. Si
noterà, qui, che le liriche più lodate di Carducci, quelle che
meriterebbero di essere salvate dall’oblio sono, appunto, quelle
storiche – e quelle della storia personale dell’autore, vale a
dire le “liriche maremmane”.
C’è
poi, in questa pagina, una breve digressione poetica, con rondini che
volano alte nel ricordo e continuano a volare dopo essere state
fermate in questo scritto. Segue il commosso e ammirato ritratto del
docente delle medie, che non esagerava con la metrica, ma dava senso
alle liriche da lui spiegate attraverso un uso sapiente della voce,
dei ritmi, delle pause. Insegnare non è una scienza, ma un’arte –
e nessuno dubita che il professor Tenella sia stato uno dei modelli
che ha formato il futuro professor Piersanti. Il «pedagogo fiacco»
di Gozzano, quello che nella lirica Dante
ha torturato l’Alighieri rischiando di allontanare i suoi allievi
dalla conoscenza del grande fiorentino è, lo si capisce, agli
antipodi del professor Tenella.
Questa
pagina si conclude con una sorta di doppio specchiarsi di Piersanti
che è pieno di suggestioni e molto in linea con il suo modo di
essere. Una sorta di premonizione, un ping pong dal presente di un
uomo che rievoca un passato in cui si immaginava com’è adesso, nel
presente. Altro specchio, qualche pagina dopo, la sua lirica futura
che ricorda Davanti
San Guido.
La
lezione del compianto professor Tenella deve aver avuto molta presa
sul suo piccolo allievo, al punto da fargli apprezzare anche altre
liriche di Carducci (tipo L’aquilone,
citata nel romanzo L’estate
dell’altro millennio).
Questo apprezzamento lo spinge ad una forte e motivata difesa di un
autore oggi ingiustamente relegato al ruolo di illustre
semi-sconosciuto:
«Viviamo
in un tempo in cui Carducci è stato da tanta critica declassato al
rango di un grande critico e accademico. Io l’ho letto come un
grande poeta e come tale lo considero oggi. Quanta sia questa
grandezza in rapporto magari ad altri più importanti autori, non
m’interessa. Davanti
San Guido penso
sia “oggettivamente” un testo molto bello, per me è stata una
poesia che mi ha segnato.»
Come
si vede, si tratta di una difesa ferma e decisa, un volitivo
“metterci la faccia” espresso con parole colloquiali, ma nette e
inequivocabili. Il perentorio “non m’interessa” tronca sul
nascere le opinioni dei lettori moderni, il più delle volte
superficiali e frutto di una preparazione scolastica spesso
frettolosa e omologata. Dal canto suo Piersanti, grande conoscitore e
appassionato amante della letteratura, riabilita e rimette al suo
posto, tra i più alti gradini della scala poetica, un autore ad oggi
relegato al ruolo di illustre dinosauro, facendoci riscoprire, al di
là di ogni ragionevole dubbio, la sua oggettiva bellezza.
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