Lettere a una persona speciale - 68 - Ottobre 2023 - "Naufragi"

 

Sai, che il flusso si interrompa non spaura, se prende rivoli sotterranei e celati, dove raccogliere nuovo nutrimento. 
Spaventa la diga, la parola che cozza contro il muro di un mutismo attonito, e ne gratta la superficie di pietra urlando la propria dignità a esser detta. 
Io conosco - e così tu - la potenza dell'acqua, del senza forma, ma ho perso le facoltà di plasmare argille. 
Resto testimone di un naufragio grave, i cui relitti (lemmi e suoni di consolazione) difficilmente potranno essere ricomposti. 
E quel canto che prima dicevo mio, lo sento ancora ma sfugge al mio sguardo e alle mie orecchie, lasciando solo scampoli di melodie perse, chissà dove. 
Certo, sono ancora miei gli strumenti che ricevetti anche da te, ma non ne faccio uso. 

Tutto appare senza significato, senza direzione. 

Allora torno ai miei alfabeti antichi, alle forme appuntite e morbide (allo stesso tempo) di lettere il cui pianto si diluisce nel sangue di vittime innocenti. Ancora una volta. 
Che cosa vuoi che scriva io di questo scempio, e dell'urlo che ancora non riesco a lanciare e mi scuote lo sterno da dentro; inespresso. 
Gli archetipi della delicatezza e della nostalgia non vibrano più nei miei polpastrelli e, se scrivo, è con svogliata attitudine, senza tributare alla parola la sacralità che prima riempiva le mie iridi di gioia. 
Scrivo, sì anche a te, per esercizio, con la tenue speranza che un gesto possa avere un senso proprio nell'essere fatto quando il senso sfugge. 
Scrivo nel ricordo di ciò che la scrittura fu per me; come atto posturale, la schiena dritta e l'occhio spento. 
Vorrei poterti dire che so quel che faccio, ma mentirei a me stesso, ancor prima che a te, petalo
Né ho la forza sovrana di un ritiro, di un addio. 
In altre parole, sto fermo, all'apparenza uguale a prima, a compiere gli stessi gesti quotidiani, di cui la scrittura è parte, incapace però di pronunciare come prima benedizioni per il dono.
E ho paura, petalo, che le mie radici si ribellino o, ancor peggio, si secchino. 
Perché, sì, sono ben interrate in un deserto, ma non è il deserto della trasformazione degli avi. 
Non c'è alcun nutrimento in questa assenza, nel mio assentarmi da me stesso e dal mondo. 
È l'ora, finalmente è giunta, di dirmi vinto e di accogliere un silenzio statico e duraturo. 
A te continuerò a scrivere, perché solo tu sai accogliere la diluizione e l'evanescenza del mio muto grido. 

Ma se, per un tuo giusto impulso di sopravvivenza, volessi ignorare queste mie lettere, lo capirei. 
Ti chiedo allora di appoggiarle a una panchina in un parco e lasciare che siano abbracciate dal caso. 

E che sia un ironico gioco da settimana enigmistica a permettere al caso di ricomporre il caos del mondo. 

D.o si è nascosto 
dietro i muri abbattuti 
di un Kibbutz, 
tra le grida di bimbi innocenti. 
Si è nascosto e ha paura. 
Lo consoli il tratto tremante 
di questa mia ultima penna, 
incapace di liberare scintille
di creazione nel mondo. 

D.o piange e il suo pianto 
sia eterno senso di colpa 
per chi l'ha abbandonato 
a una solitudine senza fine. 

Tuo per sempre, lo sai
Milano, 12.10.2023

Testo di Sergio Daniele Donati

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