(Redazione) - a proposito della raccolta "Le cose come sono" di Luigi Cannone (Puntoacapo ed., 2011) - Nota di Sergio Daniele Donati


 



Oh sì, la mente spesso si sposta da un oggetto all'altro, ne sfiora la superficie come un vento leggero, poi vola lontano, alla ricerca di altri oggetti su cui posarsi. Ma esiste ancora un modo di vivere la poesia che si situa tra un misticismo ritroso e non dichiarato e una rivisitazione del legame profondo tra il poetare e una attitudine meditativa. 
È sicuramente questo il caso della raccolta Le cose come sono Puntoacapo ed., 2011) del poeta Luigi Cannone. 
La Sua è una scrittura che si situa a tratti tra il nostalgico e l'osservazione di una sofferenza profonda, ma capace sempre di far percepire  la potenza trasformatrice di saper dire della ferita così come si manifesta.
Intendiamoci bene, c'è una cosa che la poesia di Luigi Cannone decisamente non è. Non è mai inutilmente e meramente descrittiva. Al contrario è sempre capace di creare in chi la legge una sorta di sospiro di sospensione, una piccola apnea che permette di percepire il legame stretto tra una visione netta e limpida delle cose come sono e le potenzialità trasformative che una visone così netta porta sempre con sé.
Spesso poi le composizioni si colorano di sfumature di sorriso lieve, come quando il poeta descrive la caduta come elemento laterale e benefico, in cui la nostra umana caduta diventa archetipo.

"Cadere
          e al fondo delle cose
          le cose come sono
perché fuori c'è una sera d'inverno
e il mondo cede al mio stupore."

Come in gioco di specchi in questa composizione l'Autore descrive con una lingua solo apparentemente piana e semplice, ma in realtà densa di simboli, il perenne e perpetuo trasformarsi reciproco tra osservato e osservatore. 
L'osservazione delle cose come sono è una caduta nelle profondità delle stesse, un evento penetrativo e molto legato al registro meditativo. 
Ma esiste un altrove, un fuori che manifesta la sua alterità piena (la sera è in un certo senso anche il simbolo del mondo altro, dell'onirico che si prepara davanti ai nostri occhi, e l'inverno è anche il simbolo di una necessaria stasi...per rinascere).
E la sussistenza di questo altrove, accompagnato dalla caduta dell'osservatore nelle profondità dell'osservato, sarebbe una descrizione quasi cinematografica sufficientemente densa di poeticità.
Ma l'Autore è ben cosciente che manca un tertium, ed è in esso che manifesta la sua alchemica propensione ad misticismo delle piccole cose.
È il mondo a cedere allo stupore di chi osserva. Un mondo che si piega, anzi che piega la sua oggettività, al taglio di uno sguardo soggettivo. Un cedimento che non può non essere anche una cessione di significati. Qui dunque le cadute sono due, connesse tra loro, anche se non se ne descrive alcun legame eziologico. 
Il tutto svolto con la sapiente semplicità di chi non ha necessità di complicare il detto, perché ciò che si dipana davanti ai suoi occhi è già sufficientemente denso di complessità.
In altre composizioni il poeta ci trascina in un mondo più denso di richiami classici, ma lo fa, quasi come un gioco di contrasti, usando metriche  libere, e una versificazione non copiosa. 
È il caso della lirica il testo qui sotto si riporta.

Scordarci tutto dunque,
finché disfati ai glicini azzurri potremo dirci in piena luce.

Come non scorgere in questa composizione un richiamo a una certa delicatezza estremo orientale e a una visione tipica della filosofia di quelle aree per la quale l'oblio di sé e del tutto è luogo e il tempo in cui emerge la nostra natura più profonda. 
L'uomo occidentale ha eletto la memoria come valore supremo e non sarò certo io, con le radici storico-familiari che mi hanno costruito, a negare alla memoria un valore fondativo dell'identità.
Ma quanto può essere intenso a volte rivalutare il ruolo della dis-memoria o, passatemi io gioco di parole, della dis-cordanza di sé e del tutto, per poter cogliere la nostra stessa luce interiore?
in due incisivi versi Luigi Cannone ci mostra tutta la potenza di un pensiero che radici antiche e lontane. 

"Esisto perché non ho memoria di me, di un me ingombrante. Esisto perché io stesso sono parte di quel come le cose sono al di là del mio percepirmi, e fuori da ogni definizione di me stesso", sembra dirci l'Autore.
Ma lo dice con un gesto lieve e un tratto delicato, senza voler sollevare polemica o ampie disquisizioni filosofiche. 

Siamo tutti immersi in una luce che non è trafiggente come il raggio di sole di quasimodiana memoria.
Sì, questa breve composizione sembra una risposta indiretta alla magnifica Ed è subito sera del grande maestro dell'ermetismo italiano. 
La solitudine, l'oblio, sono qui elemento positivo di pacificazione e di essenza, ciò che permette ad una luce altra di illuminarci, fuori da ogni nostra richiesta di definirci illuminati. 
Quanta meditazione contiene questa breve poesia? Quanta docile e delicata armonia crea nel lettore una parola di pacificazione con le nostre dimenticanze? Quanta consolazione?

La breve ma densa raccolta in esame ha tutte queste tracce e, finalmente, è per il lettore fonte di una riflessione lenta e senza strappi sulla condizione umana, anzi di un uomo capace di riflettersi nel tutto che ci avvolge di luce, dimenticandosi di sé.

Per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore -  Sergio Daniele Donati


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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE
Nato a Milano nel 1965, città dove vive e lavora, Luigi Cannone, da sempre innamorato della poesia e della letteratura mistica, ha pubblicato nel 2008 il volume “Larghe chiazze chiare” per la Joker edizioni, nel 2011 il volume “Le cose come sono” per la Puntoacapo editrice, nel 2014 il volume “La resa” sempre per la Puntoacapo editrice, nel 2015 il volume “Estremi d’amore” per la collana I fiori del torchio e nel 2019 il volume “Il campo di nessuno” per la collana Rubedo – Contatti edizioni. Ha pubblicato poi nel 2021 il volume “Ancora meno” per la Puntoacapo editrice.







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