(Redazione) - Estratto da "Storia della bambina infranta (dialoghi-nudi)" di Luisa Trimarchi (Puntoacapo ed., 2023) - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati

 


Noi non sappiamo nulla dei percorsi e delle direzioni che la parola poetica prende attraversandoci. Sappiamo per certo che un certo fenomeno di attraversamento caratterizza ogni scrittura che aspiri al dire poetico. 
Che sia una parola che dalla nostra interiorità batte forte per emergere o, al contrario, l'ascolto profondo di voci lontane a muovere il nostro pennino (o le nostre dita sulla tastiera), una cosa però è certa: chi scrive è sempre e solo un tramite tra mondi che solo attraverso di lui/lei possono comunicare. 
E per preparare il proprio terreno perché sia idoneo al fenomeno di attraversamento che sto cercando di descrivere, la via è unica: vivere o aver vissuto. 
Il non detto e l'esprimibile comunicano? Sì, forse, ma a condizione che il nostro mondo interiore sappia accogliere e trasformare in parola un vissuto che nasce come magma afono.
La raccolta di Luisa Trimarchi "Storia della bambina infranta (dialoghi-nudi)" (Puntoacapo ed., 2023), che oggi vi presento obbliga il lettore ad un perenne questionamento. L'opera, che è corredata di un magnifico apparato di immagini, che egregiamente accompagnano i testi rappresenta in un certo senso un unicum quanto a descrizione di un movimento dall'interno dell'Autrice verso la parola in cui allo stesso tempo traspare una potente intenzione di dire, spesso rappresentata da incisi fulminanti, ciò che una mera descrizione dei propri moti interiori non può dire. 
C'è come un borbottio lento e profondo nella scrittura di Luisa Trimarchi, una sorta di scoppio di bolle magmatiche profonde che accompagna i versi che un lettore attento non può ignorare, perché da (o forse DI) quello stesso magma la parola della poeta si costituisce. 
Leggere le poesie di Luisa Trimarchi è un po' come assistere al lavorio incessante, non privo di fuliggini, di ciò che amo chiamare la fucina della parola. 
Il rifiuto etico, molto prima che poetico, di Trimarchi del vezzo poetico, della leziosità artefatta e l'uso costante del trattino, eletto quasi ad unico segno di interpunzione, come elemento di incisione della parola sul foglio, forzano - e il verbo non è usato a caso da chi certo non ignora la tentazione di fuga dal vero di ogni lettore - chi legge a restare. 
Ecco, Luisa Trimarchi obbliga chi la legge ad un atto di stasi, ossimoro questo evidente e fertile. 
Chi legge la poeta resta e, restando, fa atto di testimonianza, quindi si rende soggetto più che attivo nel percorso che la parola di Trimarchi compie.
Vi lascio qui dunque qualche testo estratto dalla raccolta perché anche voi possiate godere di un lavoro profondo sugli elementi costitutivi della parola. 

Per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati

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ESTRATTO DALL'OPERA
Ninnante

Cullo me - nel sogno di te:
la bambina è tornata - esangue
ma vigile - di nuovo nel tratto
mobile della gabbia - chiusa -
guardinga - randagia - pronta
alla fuga.

Ringhia - scossa accorta -
annusa nella notte nera
il freddo lungo le ossa-
scorticate - ma intatte.

Dorme - poi - in attesa
dello squarcio che liberi.
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Nell'abisso

Sgangherata - trafelata
raccoglie le ultime parole
svuotate - senza guscio -
solo polpa flaccida e morente -
nuda.

Corrucciata cerca la via -
tenta - impotente - l'uscita.

(bambina malandata - non troverai
nuova luce - mai e poi mai!)
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Brutalmente


La bambina non sa dove andare:
brutale lo strappo dalla vita a ogni 
morte - nella perdita rivede sé:
urlavi - macerie ovunque.

(non torneremo a ritroso-
annientati dall'inerzia - pavidi
anneghiamo)




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