(Redazione) - Speciale "I Mostri" - "Di mostruosa maternità" di Anna Rita Merico
di Anna Rita Merico
Sono
stesa qui, su questo divano, ne fisso il broccato giallino e questi
fiori che paiono bocche affamate. A Villa Diodati le notti scure
scendono traballanti da dentro le ombre di lampade a olio. Se penso
che in questi luoghi Milton ha calcato passi mentre scriveva… non
so solo un tempio sacro dell’immaginazione, come questo, può
contenere tanto. Percy mi è accanto ma c’è un’esperienza dentro
il mio corpo che, in questo momento, mi dona lontananze da
chicchessia e vicinanze con i baratri di mondi che non conosco. Siamo
tutti così scossi da fenomeni potenti. In questi giorni l’esplosione
del vulcano Tambora, in Indonesia… non saprei… credo che un
fenomeno del genere trasporti energie anche qui a migliaia di
migliaia di distanze. Ad esempio penso che voraci temporali, come
quello in cui sono ora, abbia - per colori e suoni - qualcosa che
venga da lontano. Lord Byron, stasera, ha avuto un fitto colloquio
con John Polidori e gli chiedeva di nervi e collassi.
Claire,
beata, è l’unica a sentirsi lontana dalle onde che, qui,
attraversano l’aria.
L’idea
di Byron è originale. E’ idea che mi attrae e mi annichilisce
insieme. Una competizione sull’orrore. Ohhh! Devo smetterla.
Lasciar riposare il mio pensiero. Non posso stare sempre tirata in
questa corda della creatività. Da stamattina mi lancina un dolore
nel ventre. Dolore sottile, insistente, metallico. Come se un filo di
vetro filato si fosse infilato bucandomi qualcosa. Dovrei alleggerire
questo pensare. Percy mi stira i pensieri portandomi in una fretta
che non mi appartiene. Sono tesa da quando ho saputo degli
esperimenti di Galvani: sembra che qualcosa attraversi e riporti in
vita, non saprei cosa mi affascina di questo fatto che Galvani sta
sperimentando. Notte buia, suoni spettrali, pensieri accesi che
vengono da questo temporale furioso.
Da
qualche mese il mio corpo cambia. Non ne ho mai parlato con Percy,
non sento di poterlo fare. Qui siamo tutti nell’immaginazione
creatrice, letteratura, poesia mi sembra che siamo tuttocervello, io
– non so perché – da un po’ mi sento tuttocorpo ma è strano.
Come se il mio corpo volesse pensare. Esiste un corpo pensante? Mi
manda in marasma l’idea di questo corpo che mi sembra di non poter
controllare. Da quando ho saputo di questa gravidanza ho nella mente
una linea di confusione che cerco di schiacciare ma che mi sovrasta.
Come se dal mio grembo fuoriuscisse una materia primordiale che mi
chiede di fare retrocessioni rispetto al mio pensiero e cadere in
emozioni antiche. Sento di perdere il controllo del mio pensiero
razionale. Percy mi direbbe che sono le solite incongruenze femminili
e che noi donne… sono stanca ma devo restare all’altezza delle
loro maschili presenze. Quando partorirò tutto questa confusione
scomparirà, ne sono certa. E se fosse vero che, noi donne, abbiamo
un cervello più piccolo di quello maschile? Cos’è questo
sconquasso emotivo dentro il mio ventre che gonfia? Uno sconquasso,
mi sale sin dentro il cervello.
Il
mio corpo: non so, non dico nulla a Percy ma vedo queste cosce che mi
si rimpolpano, i miei fianchi mi si allargano a dismisura, i seni si
gonfiano, non riconosco i miei capezzoli. Mi viene da urlare. Mi
sento mostro dentro e fuori di me e, poi, questo silenzio in cui mi
calo mentre mi obbligo a parlare di John Locke, Plutarco, Goethe,
Milton. Ho capogiri, potenti. Cosa vuole il mio corpo da me? Io
pensavo che in una gravidanza il corpo facesse cose per fatti propri
e il pensiero potesse continuare a produrre anch’esso per fatti
propri. Ognuno per fatti propri, separati. Mi frulla un’idea di
nascita dal nulla. Mi attacca l’idea di una fondazione dal niente.
Sento un’origine ma non è più l’origine dagli elementi
naturali. Cosa mi sta accadendo?
Sentirsi
all’origine, esperienza ai primordi. Dare vita senza aver mai
pensato al proprio corpo. Dare vita ed essere nel vuoto di una
mancanza di sé. Dare vita con il corpo senza conoscere il proprio
corpo. Oddio, con chi dirne? Ma tutte provano questo? E se io già
fossi fortunata perché posso rifletterne mentre per tante altre vi è
solo l’abbandono alla regressione dell’emozione sconquassante
dell’origine? E’ tutto così talmente mostruoso!
Boris Karloff |
Victor Frankenstein |
Boris Karloff, attore inglese, ha impersonato Frankenstein nella trasposizione cinematografica del 1931 per la regia di James Whale. Immagini da rete.
Ecco: creazione letteraria e creazione di una vita hanno un filo che le rende comunicanti, vicine. Mostruoso: mai nessuno ha riflettuto su ciò stando (come sta accadendo a me) all’interno di un corpo che muta e si trasforma e genera. Potrei immaginare un dialogo con Ovidio no, no! In Ovidio la creatura scompare, io penso alla generazione di una perfezione. Evoluzione e perfezione: questo il binomio che può cancellare il male e lasciare tutto nella prossimità del creatore, senza ripudio alcuno. Devo iniziare a sentirmi uomo per cogliere la perfezione, essere creatore e non creatrice per superare questo inganno del corpo.
Sento tutto molto incalzante. Mi sento nata dal nulla. Come dire l’origine dinanzi al vuoto che configura il non esperito, l’abnorme?
Sfinita mi annullo. Nel silenzio di questa tempesta tutto si frulla, unendosi e perdendosi. Stringo le palpebre. Una contrazione mi lacera non so se stia lacerando il mio pensiero o il mio ventre. Mi schiacciano forze che rollano un eccesso a me sconosciuto. Sto partorendo qualcosa senza chiudere corpo. Ci sono parti di me che si staccano. Sento tutta l’angoscia del nascere affratellata all’angoscia del morire. Sono nel punto esatto in cui morte e vita s’incistano. Sono nel dentro di un aborto del corpopensiero. Mi assale l’idea del sogno fatto l’altra notte: quel feto appena corpo che si stacca dalla morte e rientra nella vita. Dalla melma delle mie paure emerge questo urlo che trattengo in gola…ecco!
Ora posso andare di là, partecipare anch’io alla competizione letteraria. Mi aggiusto il busto di quest’abito, la treccia madida di sudore, guardo il pulsare sconcio di queste azzurre vene acquose… vado: Victor Frankestein è il mio parto, la mia competizione, il mio stare con loro, uomini di cultura, poeti. Vado: sarà un romanzo scritto tutto al maschile. E’ stato il parto di corpo immaginario nato dalla sforma che il mio corpo reale sta conoscendo. Ho trasceso il mio nato da donna perché, qui, non esiste immaginazione femmina e se io la pretendo ne nasce mostro. Ho partorito l’idea di una vena di vita infiltrata in un corpo morto. Che altre, dopo di me, tessano la metamorfosi di questa ossessione fatta mostro. Mostro da me partorito in una notte in cui corpo e pensiero si sono impastati all’interno di un eccesso che non m’era stato dato conoscere ma che, fondo, m’appartiene. Di ciò vi faccio dono, a me non è dato altro. Vieni Victor, andiamo.
(Anna Rita Merico)
Sento tutto molto incalzante. Mi sento nata dal nulla. Come dire l’origine dinanzi al vuoto che configura il non esperito, l’abnorme?
Sfinita mi annullo. Nel silenzio di questa tempesta tutto si frulla, unendosi e perdendosi. Stringo le palpebre. Una contrazione mi lacera non so se stia lacerando il mio pensiero o il mio ventre. Mi schiacciano forze che rollano un eccesso a me sconosciuto. Sto partorendo qualcosa senza chiudere corpo. Ci sono parti di me che si staccano. Sento tutta l’angoscia del nascere affratellata all’angoscia del morire. Sono nel punto esatto in cui morte e vita s’incistano. Sono nel dentro di un aborto del corpopensiero. Mi assale l’idea del sogno fatto l’altra notte: quel feto appena corpo che si stacca dalla morte e rientra nella vita. Dalla melma delle mie paure emerge questo urlo che trattengo in gola…ecco!
Ora posso andare di là, partecipare anch’io alla competizione letteraria. Mi aggiusto il busto di quest’abito, la treccia madida di sudore, guardo il pulsare sconcio di queste azzurre vene acquose… vado: Victor Frankestein è il mio parto, la mia competizione, il mio stare con loro, uomini di cultura, poeti. Vado: sarà un romanzo scritto tutto al maschile. E’ stato il parto di corpo immaginario nato dalla sforma che il mio corpo reale sta conoscendo. Ho trasceso il mio nato da donna perché, qui, non esiste immaginazione femmina e se io la pretendo ne nasce mostro. Ho partorito l’idea di una vena di vita infiltrata in un corpo morto. Che altre, dopo di me, tessano la metamorfosi di questa ossessione fatta mostro. Mostro da me partorito in una notte in cui corpo e pensiero si sono impastati all’interno di un eccesso che non m’era stato dato conoscere ma che, fondo, m’appartiene. Di ciò vi faccio dono, a me non è dato altro. Vieni Victor, andiamo.
(Anna Rita Merico)
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