Estratto dalla raccolta inedita "Elaborazione di un lutto" Ornella Mereghetti, con breve ante-nota di Sergio Daniele Donati

 
L'AUTRICE - RITRATTO

La Poesia deve dar spazio al dolore, alla ferita e alla sofferenza? E, se sì, in che modo la scrittura può divenire strumento di elaborazione? 
Sono domande antiche che trovano risposte con declinazioni diverse, a volte persino opposte, ma che, in ogni caso, devono tener contro del dato primario della libertà di ogni parola. 
Personalmente non credo che la scrittura in sé sia per forza un veicolo di elaborazione di alcunché, eppure lo diventa se è accompagnata da una spinta silenziosa al movimento.
Lo so sembra un paradosso ma, perché la scrittura possa aiutarci ad elaborare, non basta saper scrivere - altrimenti la nostra diviene una semplice de-scrizione.
È necessario, prima e durante e dopo la scrittura, sapersi ascoltare a fondo. Solo così il balsamo della scrittura diviene elaborazione e lenimento. 
Ogni ferita si sutura col filo sottile dei lemmi solo se - e a patto che -  si sia in grado di ridare a quel filo fatto di suoni ogni sua potenzialità.
In altre parole, la parola sutura esiste se esiste, prima e nel silenzio, un atto di fiducia verso la parola stessa, se si concede alla parola di fare ogni percorso possibile perché la ferita smetta di suppurare.
Questo Ornella Mereghetti appare saperlo benissimo e la sua scrittura, che è certo anche anatomica descrizione di una sofferenza profonda, si muove per percorsi che respirano nel limine tra conscio ed inconscio, tra oblio e ricordo, tra detto e tacitato.
La cultura ebraica detta i tempi di un lutto, o meglio, della sua esteriorizzazione. 
Un anno deve durare un lutto, per un anno si lascia la barba crescere incolta, si recitano delle preghiere in privato e collettivamente, ci si veste in particolari modi. 
Sono i tempi lenti del ritorno e della rinascita. E sono tempi che devono aver fine al termine dell'anno. 
Perché, anche se la sofferenza permane, la stessa rinascita deve essere, dopo quel lungo anno, esteriorizzata. 
Si regolano le barbe, ci si veste di nuovi colori, come a chiamare, se non fosse già giunta, una nuova primavera del sentire. 
Ogni lutto si formalizza nel gesto ma anche l'uscita dal lutto si formalizza nel gesto e la parola si fa più rada e meno pesante e allo strazio, proprio in virtù di quella chiamata, subentra ciò che la mistica ebraica chiama il dolce ricordo. 
Chi parte, se il lutto è elaborato, non lascia assenza ma una presenza dolce di ricordo. 
Tutto questo ho risentito nel rileggere questa raccolta per la quale ometto volutamente ogni commento sulla struttura lessicale, metrica, linguistica: tutto ciò, in altra parole, che attiene la tecnica poetica. 
No, non qui, o almeno non ora. Perché prima c'è un tempo di ascolto che il lettore deve fare nel profondo delle sue stesse ferite perché la parola, prima ancora di essere rielaborazione, sia cura, anche e soprattutto per chi la legge.

Per la Redazione de LE PAROLE DI FEDRO
Il caporedattore - Sergio Daniele Donati 









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ESTRATTO DALL'OPERA

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TRA L’INCAVO DEL MURO E LA PIETRA

Tra l’incavo del muro e la pietra
tenere nascosto l’Amore.
Fare appello ai fiori notturni
(che negli anni sono sbocciati per te).

Insieme alla neve, che in questo giorno cade
sperare nelle gemma che tornerà sul ramo:
tenere viva la grazia!

Tra le parole che,
negli anni, per te
ho dipinto,
coloro rose sopra l’altare del tempo.

Ora che stai in un letto d’ospedale
le mie lacrime gocciolano da un vetro.
Il Mare
il Cielo e la Terra
piangono con me.



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TI TOCCO ANCORA SANGUE E OSSA

Campane in croce:
taglia il mattino la tua voce!
Cerco un tuo libro
in cui mi chiami Amore.

Le barche
sono anatre
ferme nel porto.
Gridare anche oggi
mentre Trieste
si risveglia.

E’ finito tutto il tempo
(lo urlano le tue sveglie),
chi si è preso la mia?

Se bastasse la mia voce
per riportarti in vita.
Ho il cervello attorcigliato
mentre nel sonno
ti tocco ancora Sangue e Ossa.

I tuoi figli, tuo fratello
la tua amata Olga
stanno nella terra dei vivi!
Puntellata tra alberi e acqua
invento una preghiera
per tenerti vivo.
Tu resta qui
non mi dimenticare!


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DA QUEL POCO CHE SIAMO

Se un giorno si arrestasse
il nostro correre,
se di colpo si fermassero gli autobus,
taxi, treni ed ambulanze;
se le strade tornassero di sassi.
(Noi e lo spettacolo urbano
fatto di gente finta).
Se smettessimo di farci i selfie,
di arrivare in prima fila,
di far vedere che ci siamo
a tutti i costi.
Se,... Se non potessimo più distrarci
da quel poco che siamo,
da questo breve tratto di pelle e carne.

Fermarmi vorrei
in uno spazio umano,
guardarmi dentro senza vedere il fuori.


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CON LATTE DI MADRE

Ho cercato
di cantare il tuo sangue
e il mio gli corrispondeva:
eran brividi
i nostri momenti!
Amore fiore calore ardore:
per anni sono resuscitata
dalle tue labbra!
Non dedicarmi più poesie
mi hai detto un triste giorno.
Ho scritto tremante i nostri sogni,
ti ho accudito con latte di Madre,
ho respirato tra la tua carne;
il Mare ci aveva dato le ali.
Nella delizia del ricordo
(fattosi ormai dolore)
nascondo il diamante dei giorni.
Smemorata e ' ormai
la mia bianca veste;
stringo oggi al mio Cuore
il tuo gelido ghiaccio.


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TI HO TOCCATO, MI HAI TOCCATA

Molte volte
per uscire dall'ombra
mi sono fatta Poesia.
(Mi riconosco
nelle parole in cui
mi faccio memoria).
Tu eri
la dolce ebbrezza
del premio,
la risposta ai perché
di un incontro
e di una rinascita.
Sono entrata, per anni
nel tuo pensiero,
prendendomi cura
delle tue parole.
Ho rincorso i tuoi gesti
dentro un'infinita pazienza.
Ho tremato come una Stella
nelle tue depressioni.
Ho cercato di essere voglia,
luce, speranza, bellezza.
Ti ho toccato, mi hai toccata.
Mille volte mi hai abbandonata
e rincorsa,
sono rimasta Anima-Fiore.
Oggi innalzo la coppa intatta
del Cuore,
e brindo al tuo silenzio
che si è fatto tempesta.


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DICE L'AUTRICE A POPOSITO DI SÈ

Nasco a Treviglio (BG) il 4 aprile 1961, da una ragazza Madre (mamma è rimasta incinta a 16 anni).
Ho conosciuto mio padre biologico in tarda età (55 anni), ma non fu una scelta sana cercarlo.
Inizio a scrivere Poesie a 15 anni, durante la permanenza in Orfanotrofio.
Ho denunciato il mio Patrigno-Orco a 11 anni (mamma si sposò con lui che io avevo 8 anni e mio fratello sei, da lui ebbe altre tre figlie). Ho fatto togliere le figlie naturali per infanzia negata ed abuso.
Mi diplomo Infermiera ( ho la propensione per salvare il Mondo). Lavoro da 43 anni , ora assisto anziani in Casa di Riposo. Ho curato per tutta una vita una mamma provata da scelte sbagliate e allettata da 12, è morta circa tre mesi fa ( sto elaborando il lutto, scriverò una raccolta di Poesie anche per lei). La Poesia, da sempre, mi salva la Vita. Ho pubblicato sei raccolte di Poesia con diverse Case Editrici. Sono presente in diverse Antologie. Ho partecipato e vinto un po’ di Concorsi. Ho fatto la Speaker Radiofonica con una rubrica interamente dedicata alla Poesia. Ho portato in Teatro lavori miei, quasi sempre per beneficenza. Mi stanno a cuore il tema dell’infanzia negata e dell’abuso, forse per questo ho amato profondamente l’anima tormentata dello scomparso Pino.
Di recente mi sono diplomata attrice con Accademia Artisti.
Sto frequentando un corso di Doppiaggio a Milano, ho fatto una MasterClass con Luca Ward.
Ho nel cassetto molti lavori che non so se vedranno mai la Luce ma, tengo stretta la Poesia che mi è Faro, Luce e Speranza.
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