La musica delle dita/un sogno (scrittura spontanea - a mia madre)
È là, tra la pieghe del sogno,
che risiede un canto
quasi mai ascoltato
una voce che pare
d'altri mondi e d'altra vita
un suono piegato
verso la spirale
che è vortice nel baricentro
della mia postura.
Lasciare andare lontano
i propri respiri
quasi fossero neve,
lasciarli calare
lenti su lande sconosciute,
su terreni inesplorati
e far che coprano
quel suono d'arpa
che strappa il calore
delle lacrime
dalle mie retine.
Stavi lì,
— e io ero lì
e altrove,
allo stesso tempo —
a dirmi col tuo canto
che saresti tornata
a essere bambina;
per scelta,
che avresti vissuto
nel tuo presente
l'infanzia
che ti fu strappata
dai fumi della storia.
Tu madre
di te stessa bambina,
io come sempre
figlio di un soffio
troppo sottile e asmatico
per essere vero;
inconsistente,
senza contorni,
capace solo
di testimonianza
dell'altrui grandezza.
Eppure
tra le mie dita
nel sogno restava
un controcanto
e si alzava lento
e muovevo le dita
quasi fossero
bacchette magiche
che creavano
negli strati gassosi
dell'esistenza
alchimie senza tempo.
Nel sogno ero mago
di gomma
parete contro cui
ogni cosa rimbalza.
E tu tornavi,
passo dopo passo,
bambina e mi guardavi
dicendomi piano
"io vado, non piangere".
Ma io piangevo,
e piango ora
che le mie dita
battono impazzite
su una tastiera
che porta memorie
e odori.
E il mio cuore, lo sai,
è ballerino,
danza senza ritmo
con salti nel silenzio,
prima di ripartire.
Trascrivere un sogno
è atto folle, mamma,
ché il sogno
ha le sue regole sintattiche
e parla di una lingua
balbettata e incerta
nell'ora del risveglio.
I colori pastello
dell'alba mescolano
quella lingua
a quella della finzione
di un sole
che si adombra
di nebbie milanesi.
E tu mi dici
“io vado, non piangere”,
ma io, ribelle, piango
perché nel vederti
tornare bambina
anche io ho rivissuto
un'infanzia mai vissuta.
Eravamo troppo legati
a quello strappo,
a nomi da ripetere
nel silenzio della stanzetta
perché non fossero
in eterno dimenticati.
Io li inventavo, sai?
[tanto tra sei milioni,
o forse sette,
uno che si chiamava
Isaac Bergovitz
ci sarà pur stato]
Questo è stato
il mio modo da bimbo
di partecipare
alla testimonianza
di un abisso che ancora
brucia l'epitelio
e tatua numeri senza senso
sui miei polpastrelli.
Ho inventato nomi
perché ricordassero
quelli che, veri,
io non potevo conoscere.
Questo ho fatto per anni
ogni notte da bimbo,
mamma,
senza che voi sapeste,
senza che conosceste
quale fardello
avevo deciso allora
di mettermi sulle spalle.
Me lo avreste impedito?
O vi sareste seduti
sul bordo del mio lettino
a dondolarvi con me
ripetendo
nomi alla rinfusa?
E ora mi dici nel sogno
“io vado, non piangere”.
E io piango, ribelle,
ché l'autunno
è la ribellione
della vita alla morte.
Può darsi che io vada
prima di te
o forse che io
non sia mai nato.
Ma nel sogno poi
c'era un'arpa,
e la spirale
e una postura imparata
quando credevo
- lo credo ancora, sai -
che il corpo sia
un luogo sacro,
anzi la dimora del Sacro;
soprattutto se si ammala
e non regge più
l'imperativo etico
che il Sacro stesso
pretende.
Allora si piega,
il cuore brucia,
salta e riprende,
come una macchina
che tossisce, ingolfata.
Andiamo, mamma,
andiamo
assieme nel pianto.
Ci aspettano due infanzie
mai colte, da liberare
da erbe malsane,
da far respirare
di nuovo o, forse,
per la prima volta.
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Foto e testo - inedito 2023 -
di Sergio Daniele Donati
È troppo bella. E quindi amica intima delle lacrime, caro mago di gomma
RispondiEliminaGrazie di cuore davvero
EliminaÈ troppo bella, caro mago di gomma. E quindi amica intima delle lacrime
RispondiEliminaGrazie dal profondo
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